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L’Etologia

Il massimo esponente dell'etologia fu Konrad Lorenz, che arrivò a descrivere un fenomeno peculiare che si verificava nelle oche, cioè l'imprinting

Di Manuel Trasatti

Pubblicato il 30 Ago. 2022

Aggiornato il 02 Set. 2022 13:09

Nella concettualizzazione della teoria dell’attaccamento, Bowlby trasse interessanti spunti dalle formulazioni dell’evoluzionismo e dall’etologia, una branca delle scienze naturali che indaga e descrive, mediante studi osservazionali, il comportamento animale nel suo ambiente naturale.

 

La teoria dell’attaccamento

 John Bowlby (1907-1990), psicologo e psicoanalista inglese, è noto per aver formulato un’importante teoria, la teoria dell’attaccamento, secondo la quale fin dai primissimi anni di vita il bambino è biologicamente predisposto a legarsi in maniera indissolubile a una persona preferita e specifica, generalmente identificabile nella madre, che possa prendersi cura di lui e trasmettergli sicurezza, amore e senso di protezione. Il legame di attaccamento, che vincola profondamente il bambino a una figura di riferimento, si configura come un legame affettivo ed emotivo, particolarmente intimo e duraturo, che trova la sua origine in un periodo sensibile dell’età evolutiva, cioè il primo anno di vita. Il bambino ha un bisogno fondamentale di stare accanto a chi possa farlo sentire al sicuro, proteggerlo dai pericoli e fungere da base sicura, cioè un rifugio affettivo in cui il bambino può tornare e da cui può allontanarsi per esplorare il mondo ogni volta che lo desidera. Il legame di attaccamento si esprime attraverso dei comportamenti innati, di matrice biologica, che il bambino attua quando si sente in pericolo, ad esempio quando subentra il rischio che la figura di riferimento possa separarsi da lui, il cui fine è ottenere e mantenere costante la vicinanza affettiva e il contatto diretto con il caregiver. I comportamenti di attaccamento, come il pianto o la protesta nel momento della separazione, svolgono un’importante funzione adattiva, in quanto segnalano l’esistenza di un disagio e sollecitano le cure materne.

L’etologia e l’imprinting

Nella concettualizzazione della teoria dell’attaccamento, Bowlby trasse interessanti spunti dalle formulazioni dell’evoluzionismo e dall’etologia, o biologia comportamentale, una branca delle scienze naturali che indaga e descrive, mediante studi osservazionali, il comportamento animale nel suo ambiente naturale – procedura molto utile per la psicologia comparata, in quanto consente di effettuare parallelismi tra il comportamento animale e quello umano. Il massimo esponente dell’etologia fu Konrad Lorenz, il quale, effettuando studi e ricerche su oche selvatiche osservate nel loro ambiente naturale, arrivò a descrivere un fenomeno peculiare che si verificava nelle stesse oche, cioè l’imprinting. L’imprinting (dall’inglese “imprint”,”traccia”) si configura come un fenomeno innato, spontaneo e irreversibile, di carattere sociale e relazionale, in virtù del quale i cuccioli di alcune specie animali tendono a legarsi in maniera indissolubile al primo oggetto in movimento con cui entrano in contatto fin dalle primissime ore di vita. L’imprinting è una forma di apprendimento precoce, istintivo e specie-specifico, cioè caratteristico di una specie, per cui un individuo tende a manifestare un profondo attaccamento per un particolare individuo, che arriva a considerare come proprio genitore e a cui delega tutta la sua sopravvivenza psicobiologica. Tale apprendimento, una volta avvenuto, rimane fissato per sempre. Secondo la teorizzazione iniziale dell’etologo Lorenz, esisterebbe un periodo critico, cioè un periodo di tempo – circoscritto alle 48 ore successive alla nascita –  in cui il nostro cervello è particolarmente plastico, cioè sensibile alle esperienze ambientali e biologicamente predisposto a identificare come figura di riferimento il primo oggetto in movimento con cui l’individuo si relaziona fin dalle primissime ore di vita e stringere con esso un forte legame affettivo e con scopo adattivo. Se non avviene entro i periodi critici, tale forma di apprendimento può non verificarsi.

 Per avvalorare le sue ipotesi, Lorenz condusse un famoso esperimento, in cui raccolse venti uova di oca selvatica, per poi distribuirne una decina ad un’oca domestica e un’altra decina ad una tacchina. Dopodiché le inserì in un’incubatrice e attese che si schiudessero. Al momento della schiusa accadde qualcosa di singolare: i pulcini appena nati non cercavano né la tacchina né l’oca domestica e per nessuna delle due manifestavano comportamenti di attaccamento, cioè comportamenti innati, programmati geneticamente, che consentono l’ottenimento della vicinanza del genitore, piuttosto rivolgevano tali comportamenti – come l’atto di seguire – nei confronti dello stesso Lorenz, segno che l’imprinting possa vincolare anche individui appartenenti a specie animali differenti.

Il bisogno di vicinanza

Un altro importante contributo alla concettualizzazione del legame di attaccamento arriva dagli esperimenti di Harry Harlow (1905-1981) e della moglie Clara Mears Harlow, docenti all’Università del Wisconsin, che, studiando il comportamento dei piccoli di macachi rhesus, dimostrarono che l’attaccamento si fonda sulla ricerca di contatto fisico e sulle sensazioni tattili. Nel 1958, in un esperimento, dei cuccioli di macachi rhesus per sei mesi vennero allevati da una coppia di madri artificiali o surrogate, di cui una fatta di fili metallici, dotata di un biberon artificiale, tramite cui i piccoli potevano nutrirsi, e dal volto simile a quello di una scimmia vera e propria; mentre l’altra era coperta di un tessuto spugnoso, morbido e caldo, ma priva di qualsiasi fonte di nutrimento per i cuccioli. Gli sperimentatori calcolarono la quantità di tempo che le scimmie passavano in compagnia di ciascuna delle due madri, presto notarono che i piccoli tendevano a nutrirsi dal biberon della prima madre, quella più fredda e asettica, ma trascorrevano la maggior parte del tempo in compagnia della seconda, quella più calda e accogliente, in quanto essa trasmetteva ai cuccioli un senso di calore materno e di protezione. Si giunse alla conclusione che il bisogno di alimentazione sia meno impellente del bisogno di contatto fisico e di vicinanza, che sarebbe alla base di un solido legame di attaccamento e rappresenterebbe il senso di fiducia del piccolo nei confronti della madre, il senso di affiliazione, cioè il piacere che si avverte al contatto fisico con un individuo preferito e specifico, e la possibilità di esperire sicurezza attraverso sensazioni tattili.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Lorenz, K. (2012). L’anello di re Salomone. Adelphi Edizione.
  • Santrock J. W. (2017). Psicologia dello sviluppo. McGraw-Hill.
  • Bowlby, J. (2008). Attaccamento e perdita, Vol. 1: L’attaccamento alla madre. Boringhieri.
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