Il volume “Una nuova alternativa alla diagnosi psichiatrica” di Mary Boyle e Lucy Johnstone si propone come un’introduzione al Power Threat Meaning Framework, un nuovo approccio verso la diagnosi psichiatrica.
Di certo non è la prima volta che si avanza un’alternativa al modello egemone di cura in psichiatria, così come in altre branche mediche (Rossi, 2005). Già nel 1952, infatti, lo psichiatra inglese Maxwell Jones, insoddisfatto dei risultati del paradigma biomedico, fonda la prima comunità terapeutica con lo scopo di coinvolgere utenti e operatori in un processo attivo di cura, in cui ognuno è ugualmente e democraticamente responsabile del benessere proprio e collettivo. Sarà proprio dagli esperimenti comunitari inglesi che Basaglia trarrà alcuni spunti indispensabili per la creazione di una nuova idea di salute mentale, innovandola fino a trovare una sua espressione politica nella legge 180 del 1978, con cui si inaugura la grande stagione di demolizione degli istituti psichiatrici (Esposito, 2019). I
Il Power Threat Meaning Framework (PTMF) si colloca all’interno di tale eredità “eretica” puntando a definire una nuova cornice di approccio nei confronti delle difficoltà mentali, lavorando alla costruzione di una nuova narrazione di significati in alternativa alla diagnosi fatta secondo i manuali vigenti (DSM 5 e ICD-11). Anche la medicina narrativa offre una modalità di ascolto empatico, però il PTMF allarga il campo di indagine collocando il sofferente all’interno di una storia complessa dove fattori personali, familiari, sociali, economici e persino culturali interagiscono per portare inevitabilmente alla crisi attuale con i suoi sintomi e sofferenze. Sintomi e sofferenze che nascono come difese, ultimo baluardo per proteggere la persona dalle minacce che possono irrimediabilmente danneggiarla; per cui lo scopo del PTMF non è eliminare i sintomi, ma aiutare il paziente ad appropriarsi delle proprie modalità di difesa per costruirne altre. Possiamo fare un parallelismo con gli uditori di voci, un movimento internazionale, dove i propri membri imparano a dialogare in maniera costruttiva con la componente allucinatoria così da trasformare quello che sarebbe convenzionalmente considerato un disturbo mentale in una risorsa senza più stigma. Ancora più significativo, rispetto ai contenuti del PTMF, è che sia stato concepito in uno sforzo collettivo tra operatori e utenti in maniera simile, come scritto in precedenza, ai principi democratici delle comunità terapeutiche, sovvertendo così la visione in cui è il medico a detenere conoscenza e potere nella relazione di cura.
Il libro di Mary Boyle e Lucy Johnstone, che sono tra i principali creatori del PTMF, si propone come un’introduzione umile e chiara a una struttura concettuale che senza le giuste premesse può apparire confusa. Nella breve estensione delle circa 200 pagine, si sente la volontà delle autrici di rendere comprensibile l’opera anche ai non addetti ai lavori, adottando a volte alcune semplificazioni che però sono inevitabili nell’opera di sintesi di un lavoro assai più complesso. Poi toccherà al lettore, sia esso un operatore sanitario, un utente o un semplice curioso, attingere all’opera estesa del PTMF (Johnstone, 2018), per poter comprendere a fondo e padroneggiare in ambito clinico la capacità di accostarsi alla sofferenza senza la presunzione di risolverla ma di darle pienamente asilo (Borgna, 2017).