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L’importanza delle relazioni nei modelli terapeutici: l’approccio teorico e clinico di Gilliéron

Per Edmond Gilliéron il termine relazionale implica il legame tra le relazioni interpersonali e oggettuali interne, ma anche le relazioni oggettuali esterne

Di Maria Cristina Arpaia

Pubblicato il 11 Gen. 2022

La teorizzazione originalissima di Edmond Gilliéron si fonda su un approccio di tipo bio-psico-sociale, ossia sul fatto che lo sviluppo individuale è determinato da diversi fattori: biologico, psicologico e sociale.

 

Per parte nostra siamo partiti dal postulato che la realtà psichica è inconoscibile. Se ne conoscono tutt’al più certi derivati che si manifestano nella relazione interpersonale.

L’aggettivo relazionale ha avuto varie precisazioni nel corso della evoluzione del pensiero psicoanalitico, dopo Freud. Inizialmente designava il legame tra le relazioni interpersonali e le relazioni oggettuali interne. Le relazioni umane, caratterizzate da specificità ed unicità, giocano una funzione fondamentale sia nella genesi del carattere e della psicopatologia sia nella pratica clinica psicoanalitica. Con l’approfondirsi della riflessione teorica e clinica dopo Freud si è allargato il campo di interesse, dall’intrapsichico all’interpersonale.

Non soltanto dal punto di vista professionale, ma anche da quello esistenziale è di un certo interesse per la persona sapere che esiste una circolarità di influenze tra il mondo interno dei vissuti e il mondo esterno, fatto di luoghi – non solo fisici – dove questi vissuti vengono esperiti; tra la vita reale e quella fantasmatica, tra l’intrapsichico e l’interpersonale.

Le relazioni che viviamo tutti, soprattutto quelle più significative e dei primi mesi di vita, incidono – insieme con i fattori biologici – sulle nostre caratteristiche, ossia il nostro temperamento, la nostra costituzione somatica, la responsività fisiologica del nostro corpo. La stessa idea del conflitto (che in Freud avviene tra pulsioni e difese) in senso relazionale ha come attori principali le differenti e opposte configurazioni relazionali.

Non siamo il risultato di un riduzionismo biologico, in senso freudiano, ma nello svolgimento evolutivo delle nostre configurazioni caratteriologiche sono molto importanti i concetti di motivazione e attribuzione di significato, elementi essenzialmente relazionali, che nascono cioè perché veniamo in contatto con rapporti umani.

La teoria di Edmond Gilliéron

Il termine relazionale, quindi, implica non solo, come accennato prima, il legame tra le relazioni interpersonali e le relazioni oggettuali interne; esso si riferisce anche alle relazioni oggettuali esterne, ossia all’oggetto esterno reale. Oggetto, come si dice in psicoanalisi, indica la persona. Tale assunto è il punto di partenza della teoria dell’appoggio oggettuale, secondo la teorizzazione originalissima di Edmond Gilliéron. Essa si fonda su un approccio di tipo bio-psico-sociale, ossia sul fatto che lo sviluppo individuale è determinato da diversi fattori: biologico, psicologico e sociale. Questi fattori sono tutti complementari, perché insieme concorrono a formare la personalità. Secondo la teoria dell’appoggio oggettuale, pertanto, l’individuo si appoggia sull’ambiente esterno allo scopo di mantenere il suo equilibrio psichico. La strutturazione dello psichismo del bambino sembra quindi discendere da fattori complessi, da un equilibrio dinamico e circolare, che implica il contesto culturale, il comportamento dei genitori e le tensioni intrapsichiche individuali.

L’organizzazione di personalità secondo tale modello è l’insieme dei fattori che costituiscono l’individuo, ossia il corpo, lo psichismo e la relazione con l’ambiente. La descrizione della sua struttura – come cioè è fatta la personalità – si basa su una teoria, dunque non è visibile la personalità, ciò che invece è visibile di una persona, ciò che appare manifesto, è il suo carattere, perché esso si mostra nelle sue relazioni con l’ambiente. La struttura perciò si potrebbe dedurre dalle formazioni caratteriali dell’individuo. Questo si riallaccia alla questione della relazione oggettuale. In psicoanalisi, parlare di relazioni oggettuali ha sempre significato far riferimento alla relazione con gli oggetti interni (cioè le rappresentazioni) e non alla relazione con gli oggetti esterni. E’ invece molto realistico ciò su cui pone l’accento la teoria di cui stiamo parlando: considerare l’appoggio oggettuale come uno degli indici più sicuri dell’organizzazione permanente della personalità e della sua struttura.

Il modello di Edmond Gilliéron è innovativo e interessante, infatti, perché il carattere rappresenterebbe in questa visione quell’elemento che può essere osservato, in quanto emergente grazie alle reazioni che l’ambiente mette in atto nei confronti dell’individuo. L’ambiente reagisce alla modalità di relazione del soggetto il quale inconsciamente anticipa quelle reazioni, sentendosi così confermato nei propri fantasmi. L’equilibrio psichico di una persona, infatti, dipende anche dall’ambiente. Se, ad esempio, una persona con tendenze paranoiche si aspetta delle ingiustizie, attraverso il suo atteggiamento inconscio provoca delle risposte di rifiuto dall’ambiente, inconsciamente. In una sorta di circolo vizioso, essa, in questo modo, è confermata nella sua certezza che il mondo è ingiusto. Quando si considera la persona non si può non pensare che il suo funzionamento psichico si appoggia da un lato sulla biologia (la sua integrità biologica) e, dall’altro, sull’ambiente (il suo carattere).

Si attua con questa impostazione il superamento di un modello di funzionamento psichico basato su un meccanicismo pulsionale di matrice esclusivamente intrapsichica, dove prevale la natura biologica del desiderio e si tende a considerare la persona nella sua unicità e totalità di fattori. Si intuisce quanto questa teoria abbia una grande funzionalità dal punto di vista psicoterapeutico, perché si può guardare alla persona in tutti i suoi aspetti, tentativamente.

I bisogni nell’approccio di Edmond Gilliéron

Nel modello di derivazione biologica di Freud, invece, lo sviluppo individuale procede da interessi corporei, che sono orientati da dimensioni differenti (quella orale, anale, fallica) così come predominanti nelle varie fasi evolutive; per arrivare alla dimensione adulta (quella genitale), seguendo in questo modo le disposizioni naturali della persona. Ma c’è una dimensione essenziale dell’uomo: il desiderio. Se questa dimensione è reale, occorre trovare una dimensione teorica che ne spieghi la genesi. Il desiderio può avere un abbrivio biologico, aver a che fare con i bisogni, innanzitutto corporei, ma emerge nella sua natura sostanziale a livello superiore.

Un primo bisogno è la fame, legato alla sopravvivenza, e sta all’origine di una tensione. La madre che procura il cibo al bambino (il seno) placa questa tensione. In questa dinamica materna, il seno – che rappresenta l’immagine della madre soddisfacente – ha un posto privilegiato nella formazione dei desideri del bambino. Quando avrà di nuovo fame, in assenza della madre, egli cercherà di ripetere questa esperienza di soddisfazione in modo allucinatorio: l’esito sarà un abbassamento di tensione, almeno temporaneo.

Ma la soddisfazione allucinatoria non è minimamente comparabile con l’esperienza reale di soddisfazione avuta con la madre, perciò il bambino, secondo Edmond Gilliéron, vive una dinamica in cui è costretto al desiderio: l’eccitazione non si riduce tanto semplicemente e allo stesso tempo la madre non arriva per placarla, così non arrivando il sollievo, il bambino scopre il desiderio.

In tal modo, il desiderio, che nasce da un bisogno biologico non soddisfatto, si fissa su una rappresentazione che non è quella del bisogno medesimo, bensì attiene alla dimensione del piacere che normalmente accompagna la soddisfazione del bisogno. Il bambino esprime così una ricerca di piacere a scapito della realtà.

In questo processo, il desiderio si distaccherebbe dalla realtà biologica per costituire progressivamente l’apparato psichico del soggetto.

La prospettiva davvero innovativa di questa impostazione, all’interno della concezione psicoanalitica, risiede nella sottolineatura della natura relazionale del desiderio: il modo di soddisfazione allucinatoria della pulsione non può essere equiparato alla soddisfazione reale, quella che si ha nel momento dell’apparizione della madre che risponde adeguatamente al bisogno del bambino, estinguendo il suo bisogno della fame.

L’appoggio oggettuale pertanto descrive il tipo di interazione che si crea tra il bambino e l’ambiente in cui è immerso, e si basa sulla concezione freudiana della coazione a ripetere.

L’interazione è al di là della coscienza del soggetto, non si tratta di comportamento dal valore simbolico, ma semplicemente di un sistema ripetitivo di azioni che suscita reazioni specifiche nell’ambiente. Si tratta dunque di un sistema di atti e non di un sistema di pensiero. Secondo questa concezione, tutte le cosiddette psicopatologie sono alla ricerca di complici; uno psicotico ha bisogno di essere rifiutato dagli altri per rinchiudersi nel suo mondo autistico.

Nell’ottica di Gilliéron, dunque, l’assenza dell’oggetto (la madre in questo caso) non dà come risultato l’allucinazione, bensì rende possibile il realizzarsi di una potenzialità umana, ossia la capacità di provare piacere sulla base di un ricordo e non soltanto con un oggetto reale.

Implicazioni dell’approccio di Edmond Gilliéron in psicoterapia

Perché è importante tutto questo in psicoterapia? Per la questione del metodo.

Se la persona può subire un attacco biologico, una difficoltà relazionale o un disturbo dell’organizzazione dell’apparato psichico, questi fattori possono provocare una crisi, quella combinazione di fattori, cioè, è responsabile dell’incrinatura dell’equilibrio della personalità.

Alla luce di quanto descritto, il campo di osservazione per l’analisi terapeutica è un insieme oggettivo di elementi osservabili anche dall’esterno, insieme che rappresenta un aggregato di indizi con cui esplorare le dinamiche relazionali che usualmente la persona mette in atto, ripetendole –  circostanza molto importante – anche nella relazione terapeutica. Il carattere è dunque una manifestazione visibile della struttura di personalità che si esprime in segni concreti.

Dal punto di vista metodologico, nel setting terapeutico, il momento di crisi rappresenta un punto focale, poiché rimette in discussione l’equilibrio della personalità.

Poiché l’adulto ripropone la sua organizzazione – ormai cristallizzata – di sentimenti, reazioni affettive, pensieri, atteggiamenti difensivi, investendo il mondo esterno con l’immaginario interno e riproponendo pertanto le esperienze infantili nella visione attuale del mondo, l’interazione che avviene all’interno del setting terapeutico è osservabile e permette di inferire l’organizzazione di personalità del soggetto, riproponendo nella dinamica terapeutica le medesime dinamiche relazionali che vive nella vita ordinaria.

Metodologicamente, viene dato molto rilievo al primo colloquio, alla relazione che si instaura tra terapeuta e paziente, la quale è in grado di fornire nel suo dipanarsi la chiave della diagnosi, attraverso cui si possono rilevare i meccanismi di difesa, il tipo di angoscia e la natura dei conflitti vissuti dal soggetto.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • E. Ghent, Foreword, in N. J. Slolnick e S. C. Warshaw (a cura di), Relational Perspectives in Psychoanalysis. The Analitic Press,  Hillsdale, NJ, 1992
  • E. Gilliéron, Il primo colloquio in psicoterapia, Borla, Roma, 1995
  • E. Gilliéron, Psicopatologia della personalità. La personalità: tra oggetto interno e oggetto esterno. In Quaderni di Psicoterapia, Borderline, a cura di E. Gilliéron e M. Baldassarre, Edizioni Universitarie Romane, Roma, 1999
  • E. Gilliéron, Sogni e realtà traumatica, in Sogno e psicopatologia, Alpes, Roma, 2010,
  • E. Gilliéron, La questione dell’orientamento sessuale in Psicoanalisi, in Perversione e relazione, Alpes, Roma, 2012
  • E. Gilliéron, Trattato di psicoterapie brevi, Edizioni Borla, Roma, 1998
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