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Personalità: stabilità e cambiamento

La stabilità è stata osservata come una caratteristica della personalità, tuttavia è possibile che la personalità vada incontro a cambiamenti

Di Tatiana Pasino

Pubblicato il 20 Dic. 2021

Nel linguaggio comune, una persona autorevole spesso viene definita come una persona con ‘molta personalità‘, mentre una che stimiamo viene etichettata come avente una ‘bella personalità‘.

 

La definizione di personalità indica delle qualità psicologiche che formano delle strutture coerenti e stabili nel tempo, cioè persistenti, che caratterizzano il singolo e che lo determinano come quella specifica persona e non come un’altra (Psicocultura, n.s.). Ci sono diverse espressioni, come il sentire, il pensare e il comportarsi, che definiscono il soggetto nel tempo a livello mentale o sociale (Psicocultura, n.s.).

Etimologicamente parlando, personalità deriva dalla parola greca ‘pròsopon’, cioè ‘persona’, facendo riferimento alle maschere utilizzate dai greci nelle opere teatrali. Nel 1994, Cloninger affermò che la personalità si forma dall’insieme degli aspetti ereditari e biologici, cioè da parte del temperamento, e degli aspetti socioculturali che permettono all’individuo di apprendere, cioè da parte del carattere. (Psicocultura, n.s.). Nel DSM 5, i disturbi di personalità vengono definiti come modelli di esperienza abituali che, in termini comportamentali, percettivi e relazionali, si discostano dal contesto sociale: sono schemi disfunzionali che contribuiscono alla sofferenza del soggetto (APA, 2013). Hopwood e Bleidorn (2018) cercarono di osservare la stabilità e i cambiamenti dei tratti di personalità. La stabilità è stata osservata come una caratteristica della personalità e dei disturbi correlati ed è molto difficile dare una definizione univoca, in quanto sono stati stimati differenti fattori relativi a come la personalità è stata studiata e concettualizzata nel corso degli anni.

Aspetti stabili e dinamici della personalità

Alcune ricerche recenti suggeriscono come ci siano degli aspetti della personalità sia stabili che dinamici (Hopwood e Bleidorn, 2018). Nello specifico, la stabilità differenziale riflette il grado in cui l’ordinamento relativo degli individui si mantiene nel tempo (Anusic e Schimmack, 2016), cioè indica il grado con cui le persone sperimentano un cambiamento maggiore o minore rispetto ad un altro soggetto (Hopwood e Bleidorn, 2018). Il cambiamento assoluto, invece, riflette il grado con cui una caratteristica della personalità diminuisce o aumenta mediamente tra i soggetti della popolazione (Hopwood e Bleidorn, 2018). Altri fattori stimati come importanti nel determinare la stabilità di una personalità, sono i costrutti di indagine osservati attraverso l’approccio dimensionale o categoriale: Zanarini e colleghi (2010) riscontrarono un miglioramento in pazienti con disturbo borderline di personalità nel Mclean Study of Adult Development (MSAD). Nello specifico, il 93% dei pazienti aveva avuto una remissione della sintomatologia nell’arco di dieci anni (Zanarini et al., 2010; Hopwood e Bleidorn, 2018). Nonostante la ricerca di base (Roberts et al., 2006), che suggerisce come la stabilità della personalità sia assoluta a brevi intervalli e con un periodo di cambiamento più lungo, tali risultati (Zanarini et al., 2010) danno speranza alle persone con diagnosi di personalità. Un altro fattore di rilevante importanza riguarda i criteri di inclusione ed esclusione del campione: sono stati osservati dei sintomi su un campione all’interno del contesto ospedaliero, composto da partecipanti che soddisfacevano i criteri diagnostici legati a condizioni di stress acuto. Dato questo disegno di ricerca, alcuni dei cambiamenti osservati possono essere una funzione della regressione alla media, degli impatti degli interventi stessi e di altri fattori associati al campionamento: ne consegue che le stime di stabilità assoluta potrebbero risultare più alte all’interno di studi naturalistici, cioè in studi coerenti con i risultati della ricerca di base sulla personalità (Widiger, 2005; Hopwood e Bleidorn, 2018, p. 7).

Valutazione della personalità

La fase di valutazione è un fattore importante, in quanto tiene in considerazione la distribuzione delle variabili, il tipo di metodo utilizzato e la scala temporale su cui viene svolta una ricerca. Ci sono differenti quesiti di interesse: in primo luogo, la personalità può essere concettualizzata in modo categorico, cioè in modo tale che le persone siano classificate come aventi o meno un disturbo di personalità. Markon e colleghi (2011) scoprirono che le variabili continue dell’approccio dimensionale sono più affidabili e valide rispetto a quelle categoriali, ne consegue quindi che la stabilità sia più elevata quando i disturbi vengono diagnosticati grazie ad un conteggio continuo e non grazie a dei criteri fissi (Samuel et al., 2011). Secondariamente, anche se i questionari sono il metodo più comune per valutare la personalità nelle ricerche di base, le interviste diagnostiche sono maggiormente popolari negli studi clinici e rilevano delle stime di stabilità meno elevate rispetto ai questionari stessi: Samuel e i suoi colleghi (2011) scoprirono come, nell’arco di due anni, la stabilità differenziale era r = .69 per una misura rilevata dal questionario e di r = .60 per quella rilevata dall’intervista, mentre il valore assoluto della variazione della personalità era d = .21 per il questionario e d = .30 per l’intervista (Hopwood e Bleidorn, 2018). Infine, le stime di stabilità tendono ad essere più alte se i partecipanti vengono campionati a intervalli più brevi, in quanto la personalità cambia nel corso di molti anni e non nel corso di pochi giorni (Fraley e Roberts, 2005; Kandler et al., 2010; Wright e Simms, 2016). Per l’appunto, attualmente le scale temporali diverse hanno portato ad una concettualizzazione delle variabili della personalità come dimensioni su cui le persone variano (Wright e Simms, 2016; Hopwood et al., 2015).

Lo sviluppo della personalità

Un altro fattore rilevante è lo sviluppo della personalità, che non è uguale per tutti i soggetti: le ricerche longitudinali suggeriscono come la differenza nella stabilità incrementi durante la vita adulta (Roberts e Del Vecchio, 2000; Briley e Tucker-Drob, 2014). Per questo motivo, è importante evitare campioni composti da un range di età ampio per non confondere la stabilità della personalità con i processi di sviluppo (Hopwood e Bleidorn, 2018). Il motivo per cui i disturbi di personalità vengono diagnosticati durante l’età adulta riguarda il fatto che la giovane età può essere indice di instabilità o immaturità nel tratto di personalità sottostante (Hopwood e Bleidorn, 2018). L’ultimo fattore, che riguarda l’influenza del cambiamento e della stabilità nella personalità di un soggetto, indica dei fattori comuni tra gli individui che seguono una traiettoria in qualche modo simile: la ricerca genetica e comportamentale suggerisce un ruolo chiave sia dell’ereditarietà che dell’ambiente (Reichborn-Kiennerud et al., 2015, Briley e Tucker-Drob, 2014; Bleidorn et al., 2009; Hopwood et al., 2011).

Gli umani, probabilmente, sono predisposti a rimanere stabili e a cambiare in certi momenti della vita grazie a dei fattori genetici, mentre le persone selezionano ambienti che influenzano il modo in cui la loro personalità si manifesta nel corso del tempo (Hopwood e Bleidorn, 2018). Non solo specifici tipi di fattori ambientali hanno un impatto sul cambiamento della personalità, bensì la ricerca suggerisce che le persone possano cambiare la loro personalità attraverso la volontà e la pratica (Hudson e Fraley, 2015): l’esempio specifico è la psicoterapia in sé, che può avere un ampio impatto nella riduzione dei tratti (Roberts et al., 2017) e nei sintomi disfunzionali della personalità (Cristea et al., 2017). Tali riflessioni evidenziano delle lacune in letteratura che portano i due autori (Hopwood e Bleidorn, 2018) a suggerire di valutare diversi tipi di stabilità in studi longitudinali, che tengano conto dei fattori sopradescritti (Hopwood e Bleidorn, 2018).

 

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