Il Meme diventa un modo per veicolare umorismo perché mira alla creazione di un “prodotto socio-culturale virale”, al fine di convertire la tipica risata del viso nelle comunicazioni faccia a faccia in reazioni (like o cuori) all’interno dei social network.
I social network e la Rivoluzione Digitale hanno fornito agli utenti nuove possibilità per comunicare in maniera umoristica. Nella comunicazione umana, l’umorismo ha una funzione principalmente emotiva, aiutando l’umorista a creare un rapporto di fiducia e di comprensione con il pubblico. In letteratura psicologica, ci sono molte teorie cognitive ed emotive che mirano a spiegare le funzionalità dell’umorismo, tra le più importanti c’è la “teoria dell’incongruenza” (Meyer, 2000), secondo cui l’umorismo è il risultato della rivelazione di una situazione inaspettata e incoerente con le premesse enunciative e/o con il proprio pensiero su un dato contesto.
Secondo queste teorie, quindi, le persone ridono se si trovano in situazioni inattese o, più precisamente, nel caso in cui, nell’atto comunicativo, è violata la massima della qualità della comunicazione e della relazione (Grice, 1975), in modo da veicolare il contenuto del messaggio in maniera velata. Quindi puntare sull’assurdità, sull’insensatezza e sulla sorpresa diventa vitale per comunicare in maniera umoristica.
Dal momento, perciò, che i sistemi di User Generated Content, come i social, amplificano la possibilità di praticare l’umorismo, quali sono gli strumenti che gli utenti usano per far ridere? Invero, i Social Network, come Facebook o Instagram, amplificano la possibilità di creare contenuti, assicurandosi che questi raggiungano un vasto pubblico. Infatti, ogni utente, anche non esperto, può generare contenuti online (foto, post, video), condividerli o imitarli. A partire dalla possibilità di imitare un contenuto virtuale, si sta diffondendo sempre più il fenomeno virale dei “Meme”. Concettualmente, il Meme è “l’unità culturale minima in grado di replicarsi” (Shifman, 2014, 341). Il termine “Meme” è stato coniato, per la prima volta, da Richard Dawkins (1976), riferendosi alla nascita di un’idea che si diffonde rapidamente: prendendo come riferimento una metafora biologica, il meme è paragonato ad un gene replicatore.
Declinato nel contesto virtuale e, in particolare, dei Social Network, il Meme può assumere diverse forme. Una delle funzioni tipiche dei Meme, in particolare su Facebook e Instagram, è l’imitazione di immagini semi-serie accompagnate da frasi. Il Meme, quindi, diventa un modo per veicolare umorismo perché mira alla creazione di un “prodotto socio-culturale virale”, al fine di convertire la tipica risata del viso nelle comunicazioni faccia a faccia in reazioni (like o cuori) all’interno dei social network. Un esempio attuale di artefatto culturale è il prodotto dell’evento sportivo della partita finale dell’Europeo di calcio, da cui sono stati creati e replicati, in maniera virale e veloce, i Meme relativi a diversi momenti, che vanno dalla reazione dei duchi di Cambridge al gesto di Chiellini verso il giocatore inglese. In questi casi, ad esempio, l’elemento replicato sono i protagonisti, che, in genere, sono posti al centro dell’immagine. A modificarsi, invece, sono i contesti, che sono, in parte o totalmente, ricostruiti, con il riferimento a quadri famosi come sfondo o a contesti incongrui rispetto a quello calcistico.
Da uno studio recente condotto in ambito psicologico (Papapicco & Mininni, 2020), infatti, si dimostra come l’umorismo derivante dai Meme sia proprio il risultato di un’incongruenza tra soggetti rappresentati e conosciuti a tutti perché replicati e il contesto di enunciazione, che viene ricostruito.