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Balbuzie: cause, disagio e nuove vie terapeutiche con la neurostimolazione

La terapia della balbuzie dovrebbe basarsi su un intervento di logopedia sulle aree deficitarie del linguaggio, aggiungendo un intervento psicologico

Di Enrico Caruso

Pubblicato il 03 Giu. 2021

Aggiornato il 12 Giu. 2023 17:22

La balbuzie colpisce circa l’1,5% della popolazione mondiale, e quasi un milione di italiani balbetta.

 

La balbuzie riguarda particolarmente il sesso maschile, con un rapporto di 4 a 1, anche se, negli ultimi anni, la percentuale femminile è in costante aumento.

Nella primissima infanzia il 5% dei bambini è affetto da disfluenza, ed entro i 6 anni l’80% della popolazione guarisce spontaneamente, con una percentuale di 4 bambini su 5 (Yari & Ambrose, 1999). Le femmine tendono a guarire con una maggiore frequenza rispetto ai maschi, e questo sottolinea come il maschio possa essere più vulnerabile nell’evoluzione psicolinguistica.

Nella maggioranza dei casi, la balbuzie compare tra i 3 e i 7 anni. Può comparire anche in età pre-puberale (10-12 anni), e solo in casi rari potrebbe manifestarsi in età adulta dopo un evento traumatico, anche se ciò non è attualmente dimostrabile attraverso la letteratura scientifica.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce questo disturbo del linguaggio nel seguente modo:  “La balbuzie è un disordine nel ritmo della parola, nel quale il paziente sa con precisione ciò che vorrebbe dire, ma nello stesso tempo non è in grado di dirlo a causa di involontari arresti, ripetizioni o prolungamenti di un suono”.

La definizione ben sottolinea la mancanza di coordinazione tra i centri motori deputati al linguaggio ed i centri cognitivi che formulano la frase. I centri motori non seguono di necessità la formulazione del linguaggio. Tale mancanza di coordinazione viene esacerbata in particolari situazioni sociali, soprattutto quando alla persona con balbuzie viene richiesta una perfomance verbale.

Per Büchel & Sommer (2004) esistono due tipi di disfluenze:

  • balbuzie inerente allo sviluppo, definita “balbuzie primaria“, che compare tra due e cinque anni di età, senza cause apparenti e/o evidenti problematiche a livello del sistema nervoso centrale;
  • balbuzie inerente allo sviluppo persistente, definita “balbuzie secondaria”.

Nella balbuzie quindi si riconoscono degli “indici primari” (ripetizioni di suoni, sillabe, parole o frasi, blocchi silenziosi o prolungamento dei suoni), che si differenziano dalle disfluenze fisiologiche e tipiche di molti bambini all’inizio del loro percorso di apprendimento linguistico.

Si notano poi degli “indici secondari”, che sono meccanismi di evitamento su base psicogena, che si manifestano successivamente all’insorgenza della balbuzie. In questo caso, il balbuziente si troverà ad esempio a cambiare la parola su cui balbetta, a modificare continuamente la sintassi o la grammatica della frase, oppure cercherà di evitare situazioni o persone che sollecitano angoscia da prestazione.

Quando questi accorgimenti non funzionano, la persona con balbuzie si troverà ad esacerbare i blocchi con sincinesie (movimenti involontari del corpo), o con l’interruzione totale della parola (blocco tonico). A causa degli “indici secondari”, la persona con balbuzie sviluppa un linguaggio “protettivo”,  ovvero cercherà di parlare il meno possibile. Questo comportamento nell’arco degli anni potrà provocare altre problematiche, quali per esempio diminuzione della capacita semantica, sintattica e grammaticale, con difficoltà anche nella codifica della lettura a voce alta.

Per ciò che concerne gli studi italiani su tale materia, nel 1906 compare la prima pubblicazione di Antonio Sala dal titolo “Cura della balbuzie e dei difetti di pronunzia”. Dagli anni ‘60 in poi, a livello mondiale ci sarà un vasto proliferare di testi, e già nel 1950 lo statunitense Charles Van Riper conteggiava circa 8.000 lavori scritti in materia.

Secondo Kidd et al. (1981) all’interno di tale disordine è rinvenibile una predisposizione genetica che rimanda ad un problema organico di base, ma solo a partire dal 1997 la scienza ha effettuato i primi passi per isolare il gene della balbuzie.

Da un punto di vista linguistico, Pellowski & Conture (2005) sostengono che la disfluenza sia dovuta ad una diminuita capacità sintattica e semantica rispetto ai soggetti normofluenti. Si potrebbe quindi ipotizzare che le alterazioni rinvenute a livello genetico possano determinare una serie di alterazioni strutturali e funzionali, evidenti a livello del sistema nervoso centrale, alterando la capacità di elaborare correttamente i piani linguistici e quelli motori complessi, quali per esempio quelli necessari per la corretta realizzazione del linguaggio (si veda Etchell et al., 2018, per una esaustiva e recente revisione della letteratura).

Partendo da questi presupposti, la terapia quindi dovrà riguardare gli “indici primari” (in altre parole concerne la balbuzie dal punto di vista funzionale), intervenendo sulle aree deficitarie del linguaggio mediante la logopedia, preferibilmente aggiungendo un intervento psicologico proteso a ridurre i meccanismi di evitamento che esasperano il blocco.

Secondo molti ricercatori è necessario intervenire precocemente sul bambino: il trattamento dovrà essere proposto già al di sotto dei sei anni, prima che il soggetto in età evolutiva si confronti con la realtà scolastica, senza inutili attese che potrebbero facilitare il passaggio ad una balbuzie secondaria.

Nella comorbidità del bambino è facile rilevare solitamente la presenza di altri disturbi motori, così come la presenza di altri disturbi specifici dell’apprendimento (dislessia), dell’attenzione ed iperattività. Nell’adulto con balbuzie è possibile anche rilevare alcune patologie di tipo psichiatrico, quali per esempio Disturbi Dell’Umore (depressione), Disturbo d’ansia, Disturbo Ossessivo Compulsivo e Disturbi di Personalità.

Infatti, diversi ricercatori sottolineano che spesso nell’adulto balbuziente si sviluppa un disturbo d’ansia specifico (Pravesh Arya & Geetha 2013), che s’innesca dalle esperienze negative scolastiche e sociali collegate al disturbo.

Compatibilmente, la quasi totalità degli adolescenti e degli adulti con balbuzie presenta frequente angoscia e fobia sociale.

Per questo motivo, specialmente negli adulti e nei casi più severi, la balbuzie potrebbe diventare gravemente invalidante: la ricerca di Klein & Hood (2004), effettuata su un campione di 232 persone con balbuzie in età adulta, ha messo in luce che oltre il 70% delle persone esaminate è del parere che la disfluenza interferisca negativamente sulla loro qualità di vita, ove il 20% del campione ha addirittura rifiutato un lavoro o una promozione a causa del disturbo.

Per ciò che concerne la terapia, la balbuzie è definita da molti operatori del settore come “la bestia nera della logopedia”, essendo una patologia mal compresa e poco trattata. In alcune regioni del nostro Paese, come nel sud Italia e nelle isole, diventa veramente difficile trovare una struttura pubblica che si occupi di persone con balbuzie.

Nel sistema pubblico la cura della disfluenza è riconosciuta solo per i soggetti in età evolutiva, mentre adolescenti ed adulti devono spesso ricorrere a centri privati. Nel nostro Sistema Sanitario Nazionale, dopo circa un anno o due di attesa, il bambino con balbuzie viene preso in carico dall’età di 6/7 anni con la somministrazione di un trattamento logopedico, a cui si può aggiungere un intervento psicologico.

In ambito privato, oltre alla presenza di una serie di professionisti sanitari validi che hanno dedicato la loro vita professionale alla cura della balbuzie, partendo da solide basi teoriche e scientifiche, ci troviamo molte volte alle prese con una “comunicazione mediatica selvaggia”, i cui contenuti possono essere basati su evidenze non scientifiche e non dimostrate, e soprattutto, non soggetti ad un controllo attento da parte delle autorità competenti.

Tutto il campo della terapia della balbuzie andrebbe perciò normato, dal tipo di pubblicità fino agli attori deputati alla riabilitazione, che dovrebbero essere operatori sanitari (medici, psicologi e logopedisti) che abbiano acquisito un’evidente esperienza nel trattamento della balbuzie.

Infatti, questo disturbo è un problema serio che va sempre trattato con cautela, sulla base di una diagnosi logopedica, foniatrica, neuropsichiatrica e psicologica.

Una procedura che tenga conto solo della balbuzie in quanto tale, senza considerare il quadro psicologico del soggetto, potrebbe determinare anche un peggioramento della sintomatologia con effetti collaterali.

La balbuzie è un problema di tipo multifattoriale, che abbraccia l’aspetto logopedico, psicologico e somatico, e quindi di necessità l’approccio terapeutico dovrebbe prevedere una metodologia multidisciplinare, in grado di sollecitare tutte le variabili comunicazionali.

La balbuzie non si può curare in tempi brevi: nella letteratura scientifica non esistono forti evidenze a favore di interventi che assicurano risultati istantanei; onde per cui è sempre meglio affidarsi nelle mani di professionisti accertati, che possano seguire il paziente nel tempo, verificandone i progressi.

In questo contesto, anche il contributo della ricerca scientifica è fondamentale per proseguire nella comprensione e nel miglior trattamento del disturbo. Anche in Italia, come in ambito internazionale, sono vari i filoni di ricerca impegnati nello studio della balbuzie, che stanno provando a tradurre le evidenze riscontrate in nuove proposte da sperimentare in ambito terapeutico.

Per esempio, nel nostro Paese, presso il Laboratorio di Balbuzie e Logopedia dell’IRCCS San Camillo di Venezia è attivo il Dott. Pierpaolo Busan (psicologo) che sostiene come la balbuzie possa essere il risultato di una serie di erronei processi di programmazione motoria, da ascrivere principalmente al non corretto funzionamento di un complesso circuito cerebrale cortico-striato-talamo-corticale, che comprende strutture quali i gangli della base e l’area supplementare motoria. Tale circuito è responsabile del corretto apprendimento motorio e del suo corretto recupero, funzione fondamentale per l’esecuzione di sequenze motorie complesse quali per esempio quelle collegate al linguaggio. La persona con balbuzie sembrerebbe perciò non riuscire ad attivare e a controllare nella maniera più funzionale tali circuiti cerebrali, favorendo perciò la comparsa delle disfluenze. Intervenire direttamente su tali processi potrebbe aiutare nel controllare con maggiore efficacia il disturbo.

A tal riguardo, il progetto di ricerca avviato presso l’IRCCS San Camillo di Venezia, in collaborazione con l’Istituto Italiano di Tecnologia (sede di Ferrara), sta cercando di verificare l’utilità di un protocollo di neuromodulazione non invasiva (tramite l’utilizzo di stimolazione elettrica transcranica) per migliorare l’attività del circuito cortico-striato-talamo-corticale e della corteccia motoria, in modo da potenziare l’efficacia di un intervento più classico (logoterapia) sulla fluenza verbale della persona affetta da balbuzie.

L’obiettivo di questo progetto di ricerca è perciò quello di implementare nuove modalità di intervento da affiancare alle terapie già esistenti, in modo da migliorarne l’efficacia (per maggiori informazioni al riguardo contattare l’indirizzo mail [email protected]).

In conclusione, la balbuzie è un problema complesso e, come tale, il trattamento di questo disturbo richiede una sempre migliore comprensione delle sue caratteristiche e delle sue cause. Di conseguenza, un approccio di tipo multidisciplinare, che richiede una piena collaborazione tra clinica e ricerca, ma anche delle Istituzioni atte a normare questo campo di intervento, è oggi più che mai necessario per individuare nuove vie di intervento per migliorare la qualità di vita delle persone affette da questo problema.

 

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