Alcuni studi di imaging strutturale hanno fornito indicazioni che i pazienti con disturbo borderline di personalità presentino una morfologia specifica delle strutture cerebrali coinvolte nel processamento emotivo, sociale e cognitivo, consistentemente con quanto emerso dai dati clinici e funzionali.
Introduzione
Il disturbo borderline di personalità (DSM-5), anche definito disturbo di personalità emotivamente instabile (ICD-10) è una grave condizione psicopatologica che si manifesta con un quadro sintomatologico complesso e diversificato che comprende problematiche legate alla sfera dell’umore, del pensiero, delle relazioni interpersonali, del comportamento e dell’identità. Diversi autori, tuttavia, concordano nell’identificare come core symptom del disturbo la disregolazione emotiva, caratterizzata da un’elevata sensibilità emotiva, affetti – intesi come spettro sentimenti ed emozioni – negativi particolarmente accentuati e deficit nella messa in atto di strategie regolative appropriate, a favore di modalità disfunzionali e maladattive (Carpenter & Trull, 2013; Clarkin, Hull, Cantor, & Sanderson, 1993; Linehan, 1993-1995). Alle difficoltà di processamento emotivo possono accompagnarsi alterazioni nel riconoscimento delle emozioni altrui – in particolare un bias nel categorizzare le emozioni come più negative di quanto effettivamente espresse – che vanno ad influire su un altro sintomo caratteristico del disturbo: l’instabilità e la difficoltà nelle relazioni interpersonali (Fenske, Lis, Liebke, Niedtfeld, Kirsch, & Mier, 2015). Dal punto di vista cognitivo, non è infrequente riscontrare distorsioni cognitive, episodi dissociativi (Scalabrini, Cavicchioli, Fossati et al, 2017), ma anche deficit a livello delle funzioni esecutive, come attenzione, concentrazione e processi di memoria (Fertuck, Lenzenweger, Clarkin, Hoermann, & Stanley, 2006). Alcuni individui, durante periodi di forte stress possono sviluppare sintomi simil psicotici di tipo allucinatorio o paranoide (Slotema, Blom, Niemantsverdriet, & Sommer, 2018). Dal punto di vista comportamentale, il vortice di emozioni incontrollato può scatenare intensi stati eccitativi di ansia, tensione o ira, che si traducono in pattern impulsivi e disregolati, azioni autolesive e autodistruttive (Leichsenring, Leibing, Kruse, New, & Leweke, 2011; Schmahl et al., 2014). Il rischio suicidario tra persone con disturbo borderline si colloca tra il 3% e il 10% (Gunderson et al., 2011).
Secondo Linehan (1993-1995), la maggior parte dei problemi manifestati dagli individui affetti da disturbo borderline di personalità è la conseguenza, più o meno diretta, della disregolazione emotiva e del tentativo di modulare le reazioni emozionali intense; in questa prospettiva, molti dei comportamenti autolesivi e autodistruttivi tipici della costellazione sintomatologica del disturbo, possono essere compresi come prodotto della disregolazione emotiva stessa. Alla sua base si troverebbe ciò che Linehan definisce “vulnerabilità emotiva”, a sua volta costituita da tre elementi fondamentali: una sensibilità molto elevata agli stimoli emotigeni, un’intensa reattività e un lento e prolungato ritorno alla baseline.
Dal punto di vista eziologico, il disturbo sarebbe riconducibile all’interazione tra una vulnerabilità genetica e un ambiente di crescita invalidante, negligente o abusante. Secondo la teoria diatesi – stress (Linehan, 1993), il disturbo borderline si sviluppa nel momento in cui un bambino che ha difficoltà a regolare le sue emozioni a causa di una diatesi biologica, viene cresciuto in un ambiente che nega la sua esperienza emozionale. Ad esempio, un bambino che presenta un deficit nella regolazione emozionale può porre richieste in grado di esasperare i caregiver che, di conseguenza, ignorano, invalidano o puniscono le intense manifestazioni emozionali, costringendo il bambino a reprimerle. Le emozioni represse si accumulano fino ad esplodere, ricevendo allora l’attenzione dei caregiver e andando a innescare un circolo vizioso tra disregolazione emozionale e invalidazione.
Anomalie cerebrali funzionali
Come anticipato, i fattori biologici sembrano giocare un ruolo di primaria importanza nello sviluppo del disturbo. È stato dimostrato, ad esempio, che le persone con disturbo borderline hanno una funzionalità serotoninergica più bassa rispetto a quella dei gruppi di controllo (Soloff, Meltzer, Greer, Constantine, & Kelly, 2000). Inoltre, diversi studi suggeriscono il contributo dei fattori biologici nella dimensione della regolazione emozionale, sottolineando in particolare il coinvolgimento del sistema limbico e delle aree prefrontali nel riconoscere, processare, esprimere e regolare le emozioni. Quasi 20 anni fa, uno studio condotto tramite risonanza magnetica funzionale (fMRI) ha permesso di osservare un’aumentata risposta dell’amigdala – nel gruppo di pazienti rispetto al gruppo di controllo – alla presentazione di volti con espressioni emotive (Donegan et al., 2003). Successivamente, ulteriori indagini hanno evidenziato una diminuzione dell’assuefazione dell’amigdala e una sua attivazione prolungata in risposta agli stimoli emotivi (Hazlett et al., 2012; Koenigsberg et al., 2014). Questi risultati sono poi stati replicati in una serie di studi riassunti in una recente metanalisi (Schulze, Schmahl, & Niedtfeld, 2016) in cui i pazienti con disturbo borderline presentavano un’aumentata attivazione dell’amigdala – soprattutto sinistra – e della corteccia cingolata posteriore, associata a brusche risposte da parte della corteccia prefrontale bilaterale dorsolaterale durante l’elaborazione degli stimoli emotivi negativi. Schulze e colleghi (2016) sostengono che le disfunzionalità di regioni cerebrali facenti parti del sistema limbico siano una caratteristica fondamentale del disturbo, e che avvallino l’ipotesi che esso possa essere considerato un disturbo della regolazione emotiva. Inoltre, il complesso nucleare dell’amigdala riveste un ruolo importante, oltre che nel processamento e nella gestione delle emozioni, nella modulazione della vigilanza: per questo, alcuni autori ipotizzano che una sua iperattività contribuisca anche all’ipervigilanza e alle difficoltà relazionali tipiche del disturbo. Donegan et al. (2003), attraverso la tecnica dell’fMRI, hanno indagato le risposte neurali a blocchi di espressioni facciali neutre, felici, tristi, spaventate e a un punto di fissazione. Dai risultati è emersa un’attivazione dell’amigdala, soprattutto sinistra, in risposta alle emozioni facciali piuttosto che per il punto di fissazione, maggiore nel gruppo di pazienti rispetto al gruppo di controllo. Inoltre, dallo studio è emerso che alcuni pazienti avevano difficoltà a disambiguare i volti neutri, e tendevano a considerarli minacciosi. Daros, Zakzanis, & Ruocco (2013) hanno suggerito che l’alterazione nel riconoscimento delle emozioni facciali sia dovuta all’interruzione o al disturbo dell’attenzione causata dall’ipersensibilità e l’ipervigilanza per gli indizi emotivi che potrebbero costituire una minaccia dal punto di vista interpersonale. Questa ipersensibilità getterebbe luce sul bias per cui gli individui con disturbo borderline tendono a percepire i valori neutri come negativi e i sottili segnali di minaccia come più negativi rispetto agli altri. Dal punto di vista neurobiologico, la minaccia sarebbe correlata all’aumento, ma anche al prolungamento, delle risposte amigdaloidee, mentre la regolazione inadeguata delle emozioni sarebbe riconducibile anche a una ridotta inibizione dell’amigdala da parte dei circuiti prefrontali (Bertsch, Hillmann, & Herpertz, 2018). Alcune evidenze hanno infatti permesso di riscontrare attività minori nelle aree coinvolte nella regolazione cognitiva delle emozioni, come la corteccia prefrontale dorsolaterale, mediale, orbitale e la corteccia cingolata anteriore (Kohn, Eickhoff, Scheller, Laird, Fox & Habel, 2014). Questi risultati sono supportati dalle evidenze emerse nella metanalisi di Schulze et al. (2016) in cui è stata riscontrata, insieme all’iperattività dell’amigdala sinistra, una riduzione dell’attività della corteccia prefrontale dorsolaterale in risposta agli stimoli negativi. Inoltre, alcune evidenze suggeriscono l’esistenza di una compromissione nella connettività tra la corteccia prefrontale e l’amigdala (New et al., 2007), indicando che i deficit nella regolazione delle emozioni potrebbero essere correlati a un disturbo di coordinazione tra aree prefrontali e limbiche (Schulze et al., 2016)
Anomalie cerebrali strutturali
Alcuni studi di imaging strutturale hanno fornito indicazioni che i pazienti con disturbo borderline di personalità presentino una morfologia specifica delle strutture cerebrali coinvolte nel processamento emotivo, sociale e cognitivo, consistentemente con quanto emerso dai dati clinici e funzionali. Rossi e colleghi (2015) hanno infatti riscontrato, nel gruppo di pazienti rispetto al gruppo di controllo, una densità di materia grigia corticale inferiore, con particolari picchi di densità ridotta nella corteccia frontale dorsale, nella corteccia orbitofrontale, nel cingolato anteriore e posteriore, nel lobo parietale destro, nella corteccia temporale mediale e nel giro fusiforme. La distribuzione delle anomalie risultava essere simmetrica nell’aspetto dorsale della corteccia cerebrale, mentre coinvolgeva maggiormente l’emisfero sinistro, dal punto di vista mesiale. Una constatazione regolare, negli studi sulla misurazione volumetrica della materia grigia in pazienti con disturbo borderline, è la riduzione del volume dell’amigdala e dell’ippocampo: la metanalisi condotta da Schulze e colleghi (2016) ha confermato le anomalie presenti nel sistema limbico, riscontrando anche una riduzione del volume di materia grigia nella corteccia cingolata anteriore subgenuale, regione implicata, anch’essa, nel processamento emozionale. Dunque, gli autori hanno concluso che, parallelamente a quanto emerso dal punto di vista funzionale, i risultati strutturali indicavano anomalie in regioni chiave nell’elaborazione delle emozioni (Schulze et al., 2016). Inoltre, indagando le possibili correlazioni tra età e alterazioni della materia grigia, i ricercatori hanno scoperto che le anomalie volumetriche nelle aree prefrontali erano presenti fin dall’inizio del disturbo – spesso in età adolescenziale – mentre i deficit di materia grigia relativi alle aree limbiche si sviluppavano più tardi nel corso del disturbo – ad esempio nella prima età adulta. Secondo gli autori, questi dati spiegherebbero perché, come emerso da alcuni studi cross-sezionali, i sintomi di impulsività – più correlati a disfunzioni prefrontali – raggiungerebbero il loro picco durante l’adolescenza per poi decrescere in età adulta, mentre i sintomi di affettività ed emotività disturbata – più correlati ad anomalie del sistema limbico – rimarrebbero più stabili nel tempo (Arens et al., 2014; Stevenson, Maeres, & Comerford, 2003).
Psicoterapia
I risultati ottenuti sin ora suggeriscono che le alterazioni neurali descritte, soprattutto dal punto di vista funzionale, possano essere modulate attraverso un trattamento psicoterapeutico incentrato sulla regolazione delle emozioni. Alcune evidenze, in letteratura, suggeriscono che l’attività dell’amigdala in risposta alla visione passiva di stimoli avversivi diminuisca dopo il miglioramento dei sintomi del disturbo in seguito a un percorso psicoterapeutico. In particolare, sono stati rilevati dei cambiamenti nell’attivazione prefrontale e limbica e negli accoppiamenti funzionali in seguito alla terapia dialettico comportamentale (DBT). Essa si concentra sul trattamento dell’instabilità affettiva attraverso l’apprendimento di skills di regolazione emozionale. Uno studio di imaging funzionale ha permesso di osservare l’attività cerebrale di pazienti prima e dopo i 12 mesi di DBT: i risultati hanno mostrato una diminuzione dell’attività dell’amigdala, una sua maggior abituazione a stimoli spiacevoli e una miglior regolazione emotiva complessiva (Goodman et al., 2014; Schnell, & Herpertz, 2007).