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Neurobiologia del tempo (2020) di Arnaldo Benini – Recensione del libro

La neurobiologia del tempo, come viene spiegato nell'omonino libro, è certamente uno dei meccanismi fondamentali della coscienza.

Di Mariapia Ghedina

Pubblicato il 15 Ott. 2020

Il libro Neurobiologia del tempo si propone di spiegare la controversa realtà del tempo.

 

Mentre la fisica nega l’esistenza del tempo, le neuroscienze ne descrivono la natura e i meccanismi; tale contraddizione fra le due discipline sull’esistenza di una categoria essenziale della vita resta ancora poco comprensibile.

Incertezze e perplessità sul tempo, e sul tempo come quarta dimensione dello spazio, accompagnarono Einstein per tutta la vita.

Con la teoria della relatività generale, Einstein introdusse la forza di gravità, che agirebbe come onda gravitazionale increspando lo spaziotempo. La conferma recente delle onde gravitazionali non modifica però la neurobiologia del tempo.

Il tempo non dipende solo dal movimento, come nella relatività ristretta, ma anche dalle masse e dalla gravità che esse esercitano nello spazio. La gravità esercitata da grandi masse rallenta il tempo.

L’idea newtoniana del tempo eterno e assoluto è invece per Leibniz inaccettabile poiché il tempo eterno e assoluto avrebbe gli stessi attributi di Dio. Mentre la fisica continua a ripetere che il tempo non esiste, le neuroscienze cognitive hanno cominciato a capire e a spiegare la realtà e la natura del tempo.

La neurobiologia del tempo, come viene spiegato nel libro, è certamente uno dei meccanismi fondamentali della coscienza. Il senso del tempo è reale ed è una dimensione essenziale della vita. Come il linguaggio e il senso dello spazio. Si tratta di eventi biologici prodotti da meccanismi nervosi emersi tramite la selezione naturale. Le neuroscienze cognitive, da almeno trent’anni si occupano di comprendere i processi che danno vita ai contenuti della coscienza, quali il dolore fisico, lo spazio, il senso del bene e del male, la volontà, la musica, il silenzio e il movimento, ma alcuni dilemmi fondamentali restano ancora da chiarire.

In passato la ricerca sperimentale del senso del tempo si fermò e riprese solo con Benjamin Libet (1916-2007), negli anni sessanta del Novecento. Il lungo intervallo fu dovuto al fatto che non si poteva studiare il senso del tempo in cervelli asportati durante le autopsie, perché era indispensabile la collaborazione cosciente della persona esaminata e non c’era la possibilità d’individuare e circoscrivere le aree del cervello attive.

Nel 1936 il biologo Hudson Hoagland, sorpreso che la moglie, quando aveva la febbre per l’influenza, percepisse la sua assenza per le solite commissioni come molto più lunga degli effettivi 20 minuti, studiò per primo le modificazioni elettroencefalografiche in pazienti con febbre alta.

La neurobiologia comparata dimostra e conferma che non esistono esseri dotati di sistema nervoso centrale che non abbiano il senso del tempo.

Secondo le neuroscienze il tempo è infatti un prodotto del cervello.

La temporalità è parte costituente della nostra natura, ed è essenziale a essa.

Si tratta di un aspetto paradossale: da un lato la fisica teorica la nega come fosse un’illusione, dall’altro le neuroscienze e la biologia comparata trovano dati sui meccanismi nervosi del senso del tempo nell’uomo e in esseri viventi, anche con un sistema nervoso piccolissimo, a conferma della realtà di un evento biologico le cui origini risalgono a sistemi nervosi minuscoli e a età assai remote. “Verità e certezza”, come scrive il fisico Roman Sexl, “sono ardenti desideri dell’umanità che non possono che rimanere insoddisfatti”.

Questa nuova edizione è aggiornata con gli studi più recenti sul senso del tempo, sia negli uomini, sia negli animali, e fornisce numerosi dati scientifici interessanti.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Benini, A. (2020). Neurobiologia del tempo. Raffaello Cortina Editore.
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