È scomparso, probabilmente per una infezione da coronavirus, Arthur Freeman, psicoterapeuta, ricercatore e studioso cognitivo comportamentale dai molteplici interessi.
Freeman partecipò storicamente alla elaborazione del modello cognitivo comportamentale classico sviluppandolo in direzioni diverse da quelle iniziali della depressione e dei disturbi d’ansia, incoraggiandone l’applicazione a scenari clinici fino a quel momento poco esplorati come la terapia di gruppo per adolescenti e bambini (Christner, Stewart e Freeman, 2007), gli interventi cognitivi in situazioni di crisi e pronto intervento (Dattilio e Freeman, 1994), l’intervento sociale (Freeman, 2006) o quello educativo e scolastico (Mennuti, Freeman e Christner 2006) e soprattutto la terapia cognitiva per i disturbi di personalità, curando con Beck in persona la stesura del testo di riferimento “Cognitive therapy of personality disorder” (Beck, Davis, Freeman, 2015).
Già questa opera di allargamento del campo di applicazione della terapia cognitiva comportamentale classica segnalava l’apertura mentale di Arthur Freeman, eppure non poteva bastargli. Freeman collaborò anche allo sviluppo di trattamenti cognitivi diversi da quello di Beck, come la terapia razionale emotiva e comportamentale di Ellis o gli orientamenti costruttivistici di Mahoney. Eccolo quindi scrivere un lavoro di analisi dell’azione dei pensieri irrazionali insieme ad allievi diretti di Ellis come Daniel David e Raymond DiGiuseppe (David, Freeman, DiGiuseppe, 2010) oppure curare con Mahoney un libro sulla cognizione in senso ampio in psicoterapia (Freeman, Mahoney, DeVito, Martin, 2004). Ai congressi era facile incontrarlo a tavole rotonde di confronto tra diversi modelli, tavole in cui egli rappresentava sia l’esponente del modello classico di Beck che lo spirito critico che cercava stimoli, punti di discussione ma anche di contatto. Il suo non era un facile eclettismo, dato che teneva ben ferme le differenze tra i vari orientamenti, ma un indefesso confrontare rigoroso e scientificamente fondato.
Era un uomo cordiale e aperto alla collaborazione. Poche settimane fa alla Sigmund Freud University di Milano, purtroppo non di persona ma online a causa del coronavirus, ha fatto una delle sue ultime lezioni dedicata alle influenze della terapia psicodinamica sulla terapia cognitivo comportamentale. Anche questo suo ultimo argomento testimonia la varietà dei suoi interessi. Col senno di poi comprendiamo che era già provato per l’infezione da coronavirus ma lui non aveva voluto annullare l’incontro. In Italia è stato tradotto e pubblicato il suo libro sui disturbi di personalità già citato, purtroppo da tempo fuori catalogo. Tuttavia siamo felici di annunciare che ne stiamo curando una nuova traduzione e pubblicazione per l’anno prossimo. È il migliore saluto che possiamo fare a Freeman.