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La comunicazione, tra il detto e il non detto. Tra il linguaggio e la comunicazione non verbale.

Il fatto che diverse specie animali comunichino senza l'uso della linguaggio verbale induce a pensare che tra loro avvenga una forma di comunicazione

Di Giuseppe Licitra

Pubblicato il 20 Mag. 2020

Elemento importante che contraddistingue l’essere umano rispetto gli animali è l’uso della parola per riuscire a rapportarsi insieme ai suoi simili, e per riuscire anche in quello che è il ruolo della sopravvivenza dell’essere umano, perché grazie al linguaggio gli esseri umani riescono ad avvertire i propri simili della presenza di un eventuale pericolo, oppure a renderli partecipi dei propri stati d’animo e sentimenti.

 

Il linguaggio è stato uno dei più grandi misteri che ha accompagnato l’uomo. Si è attribuita a questa capacità una visione religiosa e mistica, in quanto, nessun altro essere è in grado di attribuire un nome agli oggetti, oppure di utilizzare simboli per rapportarsi a questi. Ai giorni d’oggi è vista come oggetto di studi esaminato da parte di psicologi, psicolinguisti, e psicologi dello sviluppo; questo perché molti sono stati attratti dalla la visione della scoperta del processo che porta il bambino allo sviluppo del linguaggio e a imparare quella che è la lingua madre e le altre lingue. Da sempre molti studiosi si sono chiesti come questo avvenga. Su questo tema sono sorte diverse teorie e anche diversi punti di vista con lo scopo di spiegare i possibili sviluppi che si manifestano nel bambino e la loro relazione con gli organi deputati al linguaggio;  ma queste stesse teorie manifestano anche un’incapacità nel riuscire a spiegare lo sviluppo di determinati fenomeni linguistici.

Partendo da quanto dice il Vocabolario Zanichelli (2007) il linguaggio non è altro che la:

Capacità peculiare della specie umana dì comunicare per mezzo di un sistema di segni vocali […] la quale presuppone l’esistenza di una funzione simbolica[…].

Gli autori mettono in evidenza come per gli esseri umani sia rilevante e stretto il collegamento tra la funzione comunicativa e quella linguistica. Ma qual è, effettivamente il legame che esiste tra il linguaggio e la comunicazione? Non è sempre così evidente come sembra. Si può notare come le diverse specie animali comunicano tra di loro anche senza l’uso della parola, questo induce a pensare che tra di loro stia avvenendo una forma di comunicazione; un esempio è la danza delle api le quali muovono il loro corpo con la finalità di trasmettere un messaggio. Anche la capacità da parte dell’essere umano di riuscire a trasmettere dei messaggi ai suoi simili grazie alla condivisione di alcuni gesti, ad esempio la lingua dei segni, comporta l’utilizzo di questo metodo. Da questo, allora, si deduce che la comunicazione necessita della condivisione di uno stesso codice, ma è possibile comunicare anche con altri sistemi oltre ad adoperare un codice prettamente verbale. L’uso della lingua parlata ha in sé la capacità di poterla modificare, tale processo di modifica viene definito come la ‘creatività del linguaggio’. Il linguaggio è articolato su due livelli: il livello dei suoni (fenomeni) e quello delle parole (dualità di struttura). I suoni in sé non hanno alcun significato; a loro volta combinando le parole tra loro otteniamo le frasi il cui significato è più della somma delle parole. Infatti la creatività del linguaggio sta proprio in questo: nella capacità di poter variare in maniera infinita i discreti elementi delle parole così da poter formare le varie frasi con diverso significato. In linguistica con il termine di competenza ci si riferisce alla piena conoscenza di una lingua, tale termine è molto usato da parte degli psicologi che si occupano dei processi dì elaborazione del linguaggio. Importante è distinguere la competenza, dall’utilizzo effettivo della lingua, cioè l’esecuzione linguistica. Una proprietà importante riguardante l’implicazione dello studio e l’elaborazione linguistica è la sua forma arbitraria di comunicazione; cioè la sua trasmissione arbitraria che è impossibile da cogliere senza la preliminare comprensione della sua forma e del significato. In una posizione diametralmente opposta vi è la dimensione iconica, all’interno della quale è possibile individuare il significato del messaggio espresso dal soggetto.

Ma naturalmente non è possibile esprimersi attraverso la sola forma iconica, anche se di gran lunga più facile da imparare; perché un messaggio necessita di un segno concordato in precedenza per designare parti particolari del messaggio. Quindi la rappresentazione arbitraria del significato è essenziale alla piena creatività di una lingua, i messaggi espressi solo esclusivamente in forma iconica, trasmetterebbero solamente una stretta forma di messaggi, compromettendo la creatività linguistica.

La capacità di linguaggio è una capacità umana ed è possibile che ci sia un salto qualitativo tra noi e le altre specie animali, specialmente quelle più prossime. Molti, infatti, sono gli studi attuati su diversi animali, tra i quali i più importanti sono gli esperimenti fatti sugli scimpanzé.

Uno tra i più famosi di questi è quello svolti da Hayes e Hayes (1951). Questi allevarono per 6 anni uno scimpanzé di nome Vicky insegnandogli la lingua inglese, ma quest’animale, dopo tutto il periodo di addestramento, era riuscito ad acquisire la capacità di dire 4 parole.

Una ragione dell’insuccesso totale di questi studi è sicuramente il fatto che l’apparato fonatorio dei primati non umani non è adatto a produrre suoni linguistici; per esempio, i primati non umani, come nell’esperimento di Hayes e collega, non sono in grado di controllare le labbra e la lingua in modo da ostruire l’aria come gli umani, e la loro laringe è troppo alta per poter permettere la produzione dei suono tipici del linguaggio. Nel tentativo di superare i limiti anatomici dei primati non umani, i ricercatori hanno utilizzato diverse strategie per quanto riguarda l’acquisizione di un linguaggio diverso da quello orale.

I coniugi Gardner (1969,1971) utilizzarono la lingua dei segni americana (ASL), cercando di insegnarla allo scimpanzé femmina di 10 mesi, Washoe. Da 11 a 51 mesi Washoe fu esposta a una forma semplificata del lingua dei segni americana e acquisì circa 150 segni attraverso l’ imitazione, o in altri casi attraverso l’addestramento specifico, in cui l’insegnante faceva alla mano di Washoe la forma del segno e poi ne guidava il movimento. Washoe imparò a combinare i segni, in modo abbastanza simile a quanto fanno i bambini di 2 anni (es. “tu bere, andare, mangiare”); tuttavia ad un esame attento si è osservato che l’ordine dei segni nella produzione di Washoe era meno rigido e più caotico rispetto a quanto si osserva nelle combinazioni dei bambini. Washoe era in grado di distinguere ordini diversi delle parole ( “tu picchi me ” ; “io picchio tè”). Tutta via non era in grado di svolgere spontaneamente dette domande nei confronti di chi l’accudiva, cosa che invece i bambini fanno. I dati ottenuti dagli esperimenti dei Gardner furono in seguito riesaminati e ne fu sottolineata la difficoltà nell’interpretare i diversi segni di Washoe in termini di abilità linguistiche. Riesaminando il lavoro di Gardner, Terrace, Petitto Sanders e Bever (1979), osservando le registrazioni di Washoe, hanno notato come l’animale imitasse i movimenti che produceva l’istruttore .

Conclusioni simili sono state tratte nei confronti delle abilità di Nim, uno scimpanzé studiato da Terrace e colleghi (1979). Anche questo scimpanzé ha imparato durante i suoi primi 4 anni di vita la lingua dei segni americana, ha acquisito numerosi gesti e ha prodotto circa 20.000 combinazioni formate da 2 o più gesti rispettando un certo ordine. Ma a un’analisi attenta è risultato che, a differenza di quanto accade nei bambini, che col tempo acquisiscono una maggiore padronanza della lingua e producono frasi sempre più lunghe ed elaborate, questo non avviene in Nim, che invece, produce sempre frasi brevi e poco elaborate. Inoltre, si è evidenziata una scarsa capacità d’iniziativa da parte di quest’ultima, la quale tende a terminare frasi già iniziate dall’istruttore e, come nel caso di Washoe, a riprodurre i gestì forniti dall’istruttore .

Premack (1971), invece, ha usato con Sarah, un altro scimpanzé di 7 anni, un linguaggio artificiale in cui dei gettoni di plastica, di forma, colore, dimensione, differente l’uno dall’altro, diventavano delle vere e proprie lettere che venivano cambiate in modo da formare una comunicazione linguistica con le proprie regole arbitrarie.

A differenza degli altri animali degli studi esposti prima, Sarah era stata cresciuta in un laboratorio e inizialmente le erano stati insegnati due segni, tra i quali essa doveva scegliere quello corretto e veniva premiata con del cibo. Così Sarah imparò ad associare simboli e oggetti o eventi, parole che stavano per attributi, azioni e relazioni astratte. Successivamente, lo scimpanzé è stato addestrato a rispondere a sequenze e simboli. Combinando i gettoni in un ordine differente Sarah riusciva produrre delle frasi differenti. Essa manifestava una certa sensibilità all’ordine delle parole nell’esecuzione dei compiti. Tuttavia, fuori dal laboratorio Sarah si mostrava come indifferente rispetto agli stimoli simbolici; questo suggerisce che non aveva imparato a parlare ma a risolvere determinati problemi con l’ausilio dei simboli e dei gettoni.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Hayes,K.J., Hayes,C.(1951),”The intellectual development of a home-raised chimpanzee”. In  Proceedings of the American Philosophical Society,95,pp105-109.
  • Gardner,R.A., Gardner, B.T.(1971)”Twoways communication whit an infant chimpanzee”. IN SCHERIER ,A.M.,HARLOW,H.F.,STOLLNITZ,F.,Behavior of Nonhuman Primates , vol. 4. [ pp.117-184] Accademic Press:New York
  • Terrace,H.S., Petitto, L.A.,Sanders,R.J., Bever,T.G.(1979) “Can an ape create a sentence?”.
  • In Scienze,206[pp.891-902.]
  • Terrace,H.S.,(1979),”Nim:A Chimpanzee who Learned Sing Language. Knopf:NewYork.
  • Premack,D. (1971)”Language in chimpanzee?”. In Scienze, 172,pp.808-822.
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