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Skin-to-skin contact o marsupioterapia: il ruolo del contatto cutaneo tra mamma e bambino prematuro sulla qualità delle loro interazioni

La marsupioterapia è una tecnica che consiste nel contatto cutaneo prolungato tra madre e bambino ed è particolarmente utile nei casi di neonati prematuri

Di Giulia Samoré

Pubblicato il 13 Feb. 2020

Un recente studio si è proposto di indagare le potenziali differenze nella qualità delle interazioni tra i bambini e le loro madri, dopo aver seguito due differenti modalità di marsupioterapia, volendo inoltre chiarire se ad un maggior tempo di contatto corrispondessero in effetti interazioni qualitativamente migliori.

 

La gestazione della donna dura tipicamente quaranta settimane, al temine delle quali generalmente segue un parto naturale; tuttavia per quindici milioni di famiglie l’anno in tutto il mondo, l’arrivo del proprio bambino può giungere inaspettatamente o a causa di complicanze occorse durante la gravidanza, anche mesi prima della data prevista. Fortunatamente, gli sviluppi della moderna medicina e delle tecnologie impiegate nei reparti di terapia intensiva neonatale hanno portato ad un abbassamento della mortalità perinatale ai minimi storici negli ospedali occidentali; tuttavia le statistiche riportano una mortalità più alta in altre parti del mondo dove l’accesso alle strutture sanitarie è difficile o le condizioni socio-economiche sono svantaggiate.

Il rischio per i nati pretermine è che insorgano problemi di adattamento alla vita extra-uterina, dovuti all’immaturità funzionale degli organi e del sistema nervoso del neonato, che non hanno infatti completato la propria maturazione. Tra le problematiche più frequenti i bambini pretermine sono soggetti ad una sindrome chiamata ‘malattia respiratoria del neonato preterminine’ e a problemi di controllo della temperatura, in quanto il sistema endogeno di termoregolazione non è ancora sviluppato. Nel trattamento di queste criticità, la culla termica, o incubatrice, ha costituito un rimedio efficace per consentire ai medici di controllare ossigenazione, temperatura e umidità in modo da aiutare il nuovo nato ad adattarsi gradualmente alla vita extrauterina. Tuttavia, ancora una volta, l’accesso a questi macchinari è spesso riservato agli abitanti di centri urbani economicamente avanzati, ponendo la necessità di trovare delle valide alternative da implementare in tutti quei casi in cui non vi sia l’opzione dell’incubatrice.

Gli anni ’70 hanno visto il diffondersi di un protocollo medico nei reparti di neonatologia degli ospedali occidentali che prende il suo nome dai marsupiali che trasportano la prole in una sacca addominale: marsupioterapia, Kangaroo Mother Care o skin-to-skin contact. La tecnica consiste nel creare situazioni di contatto epidermico tra un genitore e un neonato pretermine ed è stato dimostrato come questo metodo sembri diminuire le apnee e la bradicardia, favorendo l’inizio dell’allattamento al seno e garantendo inoltre una maggiore stabilità della temperatura (Conde-Agudelo & Diaz-Rossello, 2016; Robles, 1995). Vi sono studi che hanno suggerito che la marsupioterapia possa avere addirittura maggior efficacia di uno strumento tecnologicamente avanzato come l’incubatrice (Ludington-hoe , Ferreira, Swinth, & Ceccardi, 2003; Westrup, 2004). Una meta-analisi ha inoltre rivelato che lo skin-to-skin contact diminuirebbe il rischio di depressione post-partum nelle donne che vi ricorrono (Scime, 2019).

Un recente studio di Helmer e colleghi (2019) si è proposto di indagare le potenziali differenze nella qualità delle interazioni tra i bambini e le loro madri, dopo aver seguito due differenti modalità di contatto pelle a pelle, volendo inoltre chiarire se vi fosse un’effetto dose-response ovvero se a un maggior tempo di contatto corrispondessero in effetti interazioni qualitativamente migliori. La marsupioterapia veniva seguita dalle mamme e dai loro bambini dalla nascita fino alla dimissione dal reparto di terapia intensiva neonatale: diciassette diadi madre-bambino sono state assegnate casualmente alla condizione di contatto continuo, ovvero venendo istruite nel mantenere il contatto con il loro bambino per tutto il tempo, mentre altre quattordici diadi hanno seguito una modalità intermittente, nella quale potevano somministrare quanto contatto pelle a pelle volessero (per ovvie ragioni etiche), ma senza che venisse loro prescritto un contatto ininterrotto e risultando da ultimo in una differenza statisticamente rilevante in termini di tempo.

In seguito, si è indagata la qualità delle interazioni madre-bambino a quattro mesi di distanza, utilizzando il paradigma della Still-Face somministrato in video e valutando poi l’interazione faccia a faccia della diade mediante l’Ainsworth’s Maternal Sensitivity Scales e il Maternal Sensitivity and Responsivity Scales-R, che consentono di codificare l’interazione secondo parametri come la sensibilità verso il bambino, l’interferenza vs. cooperazione nel favorire l’autonomia, la disponibilità e infine l’accettazione o il rifiuto verso i bisogni espressi dal bambino.

Contrariamente alle ipotesi degli autori, la somministrazione di un contatto pelle a pelle continuo non garantiva punteggi migliori rispetto a quello intermittente in nessuna delle scale qualitative sulla relazione esaminate; in modo simile non è stata riscontrata alcuna evidenza che un maggior tempo dedicato al contatto pelle a pelle comportasse una più alta qualità relazionale, disconfermando anche la seconda ipotesi sperimentale dello studio. Una doverosa osservazione, che costituisce tra l’altro il maggiore limite dello studio presentato, è che entrambe le condizioni comportavano tempi estremamente alti di contatto pelle a pelle mantenuto nelle diadi: l’impossibilità etica di manipolare la quantità di contatto skin-to-skin somministrato ai bambini pretermine, non ha consentito di verificare se una discrepanza maggiore avrebbe comportato un quadro differente.

Studi futuri dovranno indagare se vi sia una ‘giusta dose’ o una soglia temporale minima, che garantisca di massimizzare i benefici ottenibili ricorrendo alla pratica della marsupioterapia senza rischiare di incorrere in inutili esagerazioni che potrebbero alimentare le ansie dei neogenitori pretermine, già verosimilmente provati dalla condizione di fragilità del proprio bambino e dalle difficili circostanze della sua nascita.

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