Il paziente con disturbo da attacchi di panico tende a percepire il pericolo là dove non esiste, il locus coeruleus si attiva come se fosse in presenza di un reale pericolo e prepara in pochi secondi l’organismo all’attacco o alla fuga.
Il nucleo del disturbo di panico è alimentato da un evidente squilibrio neurochimico, come documentato da referenze internazionali dagli anni ‘80 a oggi. La patogenesi del disturbo consiste in un’alterata regolazione del centro dell’allarme di cui tutti i primati dispongono, situato nel locus coeruleus (dal lat. punto blu), centro nevralgico noradrenergico. In condizioni normali questo centro si attiva in condizioni di allarme reale percepito e nel volgere di 15-30 secondi attiva tutte le funzioni del corpo umano predisponendolo alla difesa della propria incolumità: attacco o fuga. (Gorman et al.,1989-2000; Gold, Machado-Vieira, Pavlatou, 2015).
La reazione di attacco o fuga (in inglese: fight or flight response) fu descritta per la prima volta agli inizi del secolo scorso da Walter Bradford Cannon (Cannon, 1915), affermando che gli animali reagiscono agli eventi/stimolo minacciosi con una forte scarica del sistema simpatico, che serve appunto a preparare l’organismo a una reazione di tipo aggressivo o alla fuga.
Il paziente con disturbo da attacchi di panico ha una disregolazione congenita di questo meccanismo per predisposizione familiare (Pauls et al., 1980; Crowe et al., 1983; Kim, 2018) o acquisita successivamente mediante utilizzo di sostanze psicostimolanti o in seguito a un evento di vita fortemente stressante (Faravelli, 1985; Faravelli e Pallanti, 1989). A causa di questa disregolazione, che può essere già evidente sin da bambini, il paziente percepisce il pericolo là dove non esiste. Il locus coeruleus si attiva come se fosse in presenza di un reale pericolo e prepara, sempre nel volgere di 15-30 secondi l’organismo all’attacco o alla fuga.
A livello fisiologico questa attivazione generale generata dal locus coeruleus determina vasocostrizione, aumento della pressione arteriosa, tachicardia, aumento della frequenza respiratoria, sensazioni di morte imminente, sensazioni di perdere il controllo, sensazioni di svenimento, sensazioni di impazzire.
Risulta essere pertanto evidente che, in base a questo principio, se un soggetto normale dovesse incontrare un leone per strada, dietro un angolo, tutte queste manifestazioni psicofisiologiche che egli potrebbe esperire sarebbero considerate tipiche di una reazione di attacco/fuga e assolutamente normali in base alla situazione contingente. Se un paziente dovesse esperire invece tutti questi sintomi in assenza di uno stimolo minaccioso, senza un pericolo reale di varia entità, a ciel sereno, non si renderebbe conto di quello che gli starebbe per accadere e l’unica spiegazione cognitivamente valida che sarebbe in grado di darsi potrebbe essere questa: sto morendo.
Il punto chiave del disturbo di panico quindi, sembra sia rappresentato dalla tendenza, nei soggetti che ne soffrono, a iniziare in maniera inappropriata la reazione di attacco/fuga senza che vi sia un vero allarme da dover gestire e un vero pericolo da affrontare. Questa attivazione fisiologica inopportuna fa scivolare inevitabilmente gli individui panicosi in uno stato di perenne allerta, che in maniera inequivocabile, finisce per rovinare poi la produttività e il benessere individuale.