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Single per scelta o per scarsa abilità? Un nuovo studio indaga i moderatori del successo nella ricerca di un partner

La nostra società è molto cambiata e sembra si siano accentuate le difficoltà per l'individuo di formare una coppia nel nuovo ambiente.

Di Giulia Samoré

Pubblicato il 17 Dic. 2019

In società in cui la scelta del partner non viene mediata dai familiari, ma è deliberata e spontanea, caratteristiche come l’abilità nel flirtrare, la capacità di individuare un potenziale pretendente e la timidezza nell’approcciare l’altro sono estremamente rilevanti.

 

Tutti sanno che la coda riccamente colorata del pavone esiste per una sola ragione, quella di attrarre una compagna: questo perché il costo evolutivo di avere un attributo tanto ingombrante, testimonia l’eccellenza dell’esemplare che la porta, auspicabilmente spingendo le femmine a scegliere proprio quel corredo genetico per procreare. Allo stesso modo un esemplare di alto rango nel branco o con maggiori capacità nel procacciare cibo e risorse, risulteranno irresistibili agli occhi delle femmine della loro specie.

Negli uomini, invece, i rituali di accoppiamento hanno presto finito per distaccarsi dalla selezione basata su indici di fitness genetica ed infatti, già nelle protosocietà che andavano costituendosi agli albori della nostra specie, le donne venivano date in sposa dalla propria famiglia che sceglieva il candidato socialmente più prestigioso (Apostolou, 2007; 2010), oppure esse venivano conquistate alla stregua di un bottino di guerra, a seguito di violenti scontri tra uomini, come testimoniato da evidenze storiche ed archeologiche (Ghiglieri, 1999; Bowles, 2009; Puts, 2016). Ancora oggi, nell’analizzare 190 popolazioni nomadi contemporanee, si riscontra come in circa il 70% di esse i matrimoni combinati siano una pratica comune, mentre in solo il 4% delle società avvengono matrimoni a seguito della libera selezione del partner (Apostolou, 2007).

Tuttavia, nelle nostre società industrializzate, siamo abituati a pensare la scelta del partner come frutto di una nostra deliberata scelta, guidata da principi come la compatibilità caratteriale, il sentimento reciproco, la condivisione di valori e interessi: secondo la teoria del mismatch evolutivo, la velocità con la quale sono cambiate le nostre società non ha permesso al processo di selezione di eliminare quelle caratteristiche che rendono meno facile per un individuo il formare una coppia nel nuovo ambiente.

In un contesto in cui la scelta del partner non fosse deliberata e spontanea, caratteristiche come l’abilità nel flirtrare, la capacità di individuare un potenziale pretendente e la timidezza nell’approcciare l’altro, avrebbero avuto sicuramente un effetto meno deleterio di quanto non abbiano invece nella nostra società, dove ci si aspetta invece che gli individui selezionino il proprio partner senza la mediazione dei propri familiari, né tantomeno utilizzando la forza.

Apostolou, Papadopoulou, Christofi e Vrontis (2019) si sono preposti di indagare il ruolo di questi tre tratti nel predire il successo nell’accoppiamento (mating performance n.d.t), ipotizzando in particolare come essi possano rivestire un ruolo cruciale specialmente nella fase di formazione di una relazione intima, più che nel suo mantenimento.

Hanno raccolto i dati provenienti da 587 partecipanti (309 donne e 278 uomini) in differenti condizioni sentimentali: il 30% era infatti single, il 33% era sposato e il 3,6% divorziato, di questi il 41,7% riportava difficoltà in almeno una delle aree esaminate. I soggetti hanno poi risposto a diversi questionari circa la propria bravura percepita nell’intrattenere flirt con potenziali partner, della propria capacità di cogliere i segnali di interesse di altri e del proprio livello di timidezza. Da ultimo, gli autori hanno proposto una scala composta da cinque items per determinare il successo generale dell’individuo nell’iniziare e mantenere delle relazioni intime.

Dai risultati è emerso come il successo nell’accoppiamento risentisse maggiormente della scarsa capacità del soggetto di sostenere il flirt, seguita da una scarsa capacità di cogliere i segnali e in ultima battuta dalla timidezza dell’individuo. I ricercatori hanno poi condotto analisi di regressione logistica binomiale, creando delle variabili ad hoc distinguendo in due categorie, separando i soggetti più performanti sotto un particolare aspetto, da quelli meno performanti. La variabile dipendente era in questo caso la mating performance. I partecipanti con una bassa capacità di flirtare avevano una possibilità di 2,33 volte maggiore di avere scarsi risultati di successo nell’accoppiamento rispetto a quelli che si attribuivano una buona capacità nel farlo. Similarmente, i soggetti con scarsa capacità di cogliere i segnali provenienti da potenziali partner registravano una probabilità di 2,06 volte maggiore di avere scarso successo nelle relazioni intime rispetto ai soggetti che si riconoscevano una certa abilità nel percepire l’interesse degli altri. Da ultimo, i soggetti che riferivano maggiore timidezza avevano una possibilità di 1,62 volte superiore di trovarsi nella fascia inferiore di successo nella mating performance. Né il sesso, né l’età hanno dimostrato di avere interazioni significative sul successo nelle relazioni intime.

In futuro, altri studi si dovranno occupare di estendere i risultati ottenuti a contesti culturalmente differenti, così come a differenziare la performance nelle relazioni a lungo termine da quelle a breve termine, situazioni nelle quali è plausibile ipotizzare differenti pattern di influenza. Tuttavia, questo studio contribuisce ad ampliare il corpo di ricerche che sembra supportare la teoria del mismatch evolutivo e che rende ragione delle difficoltà riscontrate nelle società industrializzate nel formare e mantenere delle relazioni intime.

 

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