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Elogio dell’imperfezione di Rita Levi Montalcini – Recensione del libro

In "Elogio dell'imperfezione" la Montalcini ribadisce che, nello studio come nella vita, le imperfezioni sono inevitabili, ma non devono diventare pretesti.

Di Eliana Berra

Pubblicato il 23 Dic. 2019

La vita di Rita Levi Montalcini si snoda per quasi un secolo di storia attraversando la seconda guerra mondiale, le leggi antirazziali, ricerche mediche pionieristiche e scoperte scientifiche coronate dal premio Nobel. In questo libro, lei ne ripercorre ogni tappa, intrecciandola con ricordi intimi e familiari e un punto di vista critico e mai banale.

 

L’originalità dello sguardo con cui l’autrice descrive eventi privati, pubblici e storici è ben rappresentata dallo stesso titolo scelto per la propria autobiografia, che si ispira a quello della celebre opera Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam.

Scriveva nel 1509 il teologo e filosofo olandese:

 

Sono due i principali ostacoli alla conoscenza delle cose: la vergogna che offusca l’animo, e la paura che, alla vista del pericolo, distoglie dalle imprese. La follia libera da entrambe. Non vergognarsi mai e osare tutto: pochissimi sanno quale messi di vantaggi ne derivi.

A distanza di mezzo millennio, la scienziata italiana sembra confermare un’affermazione così ardita con la sua stessa esperienza di vita, ricordando che:

La mancanza di complessi, una notevole tenacia nel perseguire la strada che ritenevo giusta e la noncuranza per le difficoltà che avrei incontrato nella realizzazione dei miei progetti, (..) mi hanno enormemente aiutato a far fronte agli anni difficili della vita.

Non solo. Raccontando la propria storia, si cimenta nell’ardito compito di valorizzare un altro demonizzato stigma dell’essere umano: l’imperfezione.

Senza seguire un piano prestabilito, ma guidata di volta in volta dalle mie inclinazioni e dal caso, ho tentato (…) di conciliare due aspirazioni inconciliabili, secondo il grande poeta Yeats: “Perfection of the life, or of the work”. Così facendo, e secondo le sue predizioni, ho realizzato quello che si può definire “inperfection of the life and of the work”. Il fatto che l’attività, svolta in modo così imperfetto, sia stata e sia tuttora per me fonte inesauribile di gioia, mi fa ritenere che l’imperfezione nell’eseguire il compito (…) sia più consona alla natura umana così imperfetta che non la perfezione. (Rita Levi Montalcini)

Cresciuta nell’alta borghesia torinese, Rita sin da bambina è giudicata come più introversa e meno talentuosa dei fratelli, che possiedono spiccate doti artistiche. Critica fin da giovanissima sulle convenzioni sociali che limitano la libertà femminile e che relegano la donna ad una condizione subordinata e domestica, decide solo in tarda adolescenza di dedicare i suoi studi ad un ambito universitario, quello della medicina, ancora prettamente maschile, rifuggendo dall’idea del matrimonio e dei figli. Iscritta alla facoltà di medicina di Torino, diventa presto tirocinante presso l’Istituto di Anatomia sotto la guida del professor Levi, di cui delinea un burbero quanto affettuoso e indimenticabile ritratto. Anche tra le mura dell’Istituto torinese non spicca per particolari doti scientifiche a confronto con i compagni, tra cui si annoverano nomi come quelli de futuro premio Nobel Renato Dulbecco. Rita non possiede innatamente il cosiddetto “pollice verde” per le preparazioni istologiche, trova noiose e improduttive le sue prime mansioni di ricerca e fallisce del tutto uno dei progetti scientifici che le vengono assegnati. Tuttavia, sfide ben più ardue la attendono negli anni successivi. L’avvento del fascismo e delle leggi razziali comporta un giro di boa nella vita dell’autrice così come in quella della sua famiglia, dei colleghi, dell’Italia e dell’Europa intera.

L’autobiografia Elogio dell’imperfezione si suddivide in quattro grandi capitoli. Se il primo capitolo è interamente dedicato ai ricordi familiari dell’infanzia e agli anni universitari della giovinezza, il secondo si concentra sugli anni della seconda guerra mondiale, così difficili, eppure indispensabili per formazione di quella predisposizione all’ottimistica tenacia e lungimiranza che costituisce la “sana” ed elogiata follia, foriera di conoscenza, elogiata da Erasmo da Rotterdam.

Rita, giovane studiosa ebrea, con le leggi razziali viene privata della possibilità di svolgere i suoi studi in università. Combattuta tra due prerogative apparentemente inconciliabili, la prosecuzione delle sue ricerche all’estero o la vita familiare accanto ai suoi cari in Italia, Rita si adopera ingegnosamente per perseguirle entrambe. Così i ricordi degli studi scientifici iniziano a legarsi curiosamente e indissolubilmente a scene di vita intime e familiari. La sua piccola camera da letto torinese viene trasformata in laboratorio, dove accorrono professore e colleghi, egualmente impossibilitati a svolgere le loro attività. Il microscopio, acquistato a spese della famiglia, la accompagna ad ogni suono di sirena quando, annunciati i bombardamenti, Rita stringe a sé il materiale più costoso per i suoi esperimenti nelle interminabili ore trascorse nei rifugi. E quando vivere in città diviene troppo pericoloso, il laboratorio si trasferisce in un angolo del soggiorno della casa di campagna. In quell’angolo, la studiosa può continuare gli studi sugli embrioni di pollo, ricavati dalle stesse uova che prima vengono acquistate nelle cascine vicine e, a fine esperimento, diventano ingredienti di torte e frittate cucinate e servite ai sospettosi e attoniti familiari. Guerra, tentate fughe e malattie spezzano alcuni legami sentimentali e di amicizia, così come ne creano e rinforzano altri.

Paradossalmente, solo con l’avvento del Dopoguerra in Italia, Rita prende la decisione di recarsi all’estero. Quella che doveva essere un’esperienza di studio di sei mesi si trasforma in un soggiorno trentennale negli Stati Uniti.  Proprio a quei trent’anni è dedicato il terzo capitolo del libro, in cui l’autrice delinea un affresco della società americana, traccia affettuosi ritratti dei più stretti amici e collaboratori e ripercorre il suo percorso di studi, ricordando le sue prime grandi scoperte scientifiche insieme ai dubbi, alle perplessità, alle sfide che le hanno precedute. Per i non addetti ai lavori questa rappresenta senza dubbio la parte più complessa dell’opera. Per quanto l’autrice cerchi di rendere fruibile al grande pubblico il suo campo di studio, la complessità dei temi trattati e la specificità dei termini utilizzati fa sì che alcune parti risultino più lente e meno chiare rispetto alle pagine precedenti. Per coloro che si occupano di neuroscienze, sarà tuttavia estremamente interessante ripercorrere quali fasi sperimentali e quali ipotesi hanno preceduto la scoperta del Nerve Growth Factor, il fattore di crescita neuronale per la quale la scienziata ha meritato il Nobel. Coloro che si occupano di ricerca saranno invece incuriositi dal singolare affresco delle procedure dell’epoca, in cui mancavano le attuali tecnologie e mezzi di comunicazione; fitti scambi epistolari, che Rita arricchiva con i disegni di ciò che osservava al microscopio, erano la prassi per fornire e ricevere pareri tra colleghi. Infine, per qualsiasi lettore, risulterà di impagabile valore l’esempio di “folle” tenacia nel perseguire quell’intuizione che inizialmente professori e colleghi, increduli, osteggiavano, e nell’affrontare i periodi di “stallo”, in cui il lavoro compiuto appariva fallimentare.

A concludere l’opera vi è il quarto capitolo, che non coincide con il gli ultimi anni di vita della scienziata, ma chiude il cerchio del percorso di studi e familiare delineato in precedenza. E’ il capitolo del rientro in Italia, del ricongiungimento con la famiglia e dell’apertura del centro per lo studio delle neuroscienze, da lei diretto, a Roma. Il lutto per la morte della madre e le difficoltà nel dirigere un istituto di ricerca in Italia sono un’ennesima sfida. Rita, come in passato, non si tira indietro. E, con questo ultimo esempio, sembra voler ribadire la profonda convinzione che, sia nello studio del “meraviglioso e quanto mai imperfetto cervello dell’Homo Sapiens” sia nella vita privata, limiti e imperfezioni siano inevitabili e non debbano diventare pretesti per arrestare il cammino prefissato.

Considerando in retrospettiva il mio lungo percorso, quello di coetanei e colleghi, (…) credo di poter affermare che, nella ricerca scientifica, nè il grado d’intelligenza, nè la capacità di eseguire e portare a termine con esattezza il compito intrapreso, siano i fattori essenziali per la riuscita e la soddisfazione personale. Nell’una e nell’altra contano maggiormente la totale dedizione e il chiudere gli occhi davanti alle difficoltà: in tal modo possiamo affrontare problemi che altri, più critici e più acuti, non affronterebbero.”

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Rita Levi Montalcini. Elogio dell’Imperfezione. Baldini & Castoldi
  • Erasmo da Rotterdam. Elogio della Follia. Einaudi, ed 2005
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