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L’amico immaginario 

L’invenzione di un amico immaginario rappresenta una soluzione creativa a cui il bambino può ricorrere per far fronte ai suoi conflitti.

Di Annalisa Balestrieri

Pubblicato il 24 Dic. 2019

Il bambino che usa la sua fantasia per creare un amico immaginario vitale a risolvere i suoi problemi è un bambino che lavora per la propria salute mentale, mantiene il contatto con la realtà coltivando nello stesso tempo il contatto con il mondo reale.

 

La tavola deve sempre essere apparecchiata per un commensale in più, anche se nessun ospite è in arrivo. Vostro figlio rifiuta di iniziare la cena se accanto a lui non c’è una sedia vuota, anche se nessuno si siederà.

Se è capitato anche a voi, non preoccupatevi: è arrivato l’amico immaginario!

Ma chi è un amico immaginario?

Il termine amico, o compagno immaginario si riferisce a un personaggio invisibile dotato di un suo nome proprio a cui si fa riferimento nella conversazione con altre persone o con cui si gioca direttamente per un certo periodo di tempo. Almeno per alcuni mesi riveste un senso di realtà per il bambino pur senza avere un’evidente base oggettiva. Di solito ha la stessa età del bambino o è di poco più piccolo.

Questa definizione esclude di conseguenza quel tipo di giochi immaginativi nei quali un oggetto è personificato o nei quali il bambino stesso assume il ruolo di persone appartenenti al suo ambiente.

Una spiegazione approfondita di questo fenomeno ci viene fornita da un libro, Il compagno immaginario, appunto, che ci offre una serie di testimonianze sul ruolo svolto da questa figura.

Perché un compagno immaginario?

L’invenzione di un compagno immaginario rappresenta una soluzione creativa a cui il bambino può ricorrere per far fronte ai suoi conflitti evitando di cadere in soluzioni patologiche e deve essere vista in funzione del suo bisogno di colmare uno specifico vuoto nel suo sviluppo personale e nella sua struttura di personalità, piuttosto che come necessità legata ad una specifica età.

La ricerca psicoanalitica del compagno immaginario mostra la pluralità di significati e funzioni che questo fenomeno può assumere. Agli estremi si trova, da un lato, la costruzione immaginaria di un bambino dotato di unica fantasia che resta sempre consapevole della natura fittizia del suo compagno e, dall’altro lato, una costruzione patologica sostitutiva dei rapporti con altri esseri umani e investita di concretezza allucinatoria.

La creazione di un compagno immaginario si colloca frequentemente in un periodo evolutivo intermedio tra una fase in cui il controllo delle istanze pulsionali è interamente gestito dalle autorità genitoriali e una fase in cui esso è introiettato e assunto dall’istanza del super io; tra le tante funzioni del compagno immaginario rientra quella di essere adoperato come portavoce di sentimenti particolarmente difficili o dolosi da esprimere per un bambino. In questi casi risulta più facile proiettare le proprie paure e speranze in un compagno immaginario e comunicarlo in questa forma piuttosto che ammettere che queste paure e questi desideri appartengono a lui; il compagno immaginario offre perciò la possibilità di comunicare in maniera indiretta sentimenti troppo intensi o dolosi

Otto Sperling, psicoanalista, ipotizza che un tale comportamento consenta al bambino di salvaguardare il proprio narcisismo attraverso la possibilità di attribuire gli ordini e le istanze educative dei genitori ad una creatura da lui stesso inventata.

Secondo il Dott. Humberto Nager, psichiatra, ciò di cui bisogna parlare non è tanto una condizione oggettiva di solitudine, quanto di un sentimento di solitudine che può insorgere anche in situazioni particolari, quali la nascita di un fratellino o una crisi familiare, che attivano nel bambino vissuti di abbandono e di trascuratezza.

Winnicott e il compagno immaginario

Per Winnicott il compagno immaginario è un rifugio per l’individuo perpetuamente impegnato nel suo compito umano di tenere le due realtà, interna ed esterna, separate e pur tuttavia in relazione l’una con l’altra. Per quanto sembri un paradosso, la capacità di essere soli si sviluppa in presenza dell’atro. Il bambino ha bisogno della madre, al tempo stesso disponibile e discreta, per pensare, giocare, sentirsi sicuro e in relazione con il suo Io ed è questa esperienza preliminare di poter essere da solo in presenza di qualcuno che permette al bambino di sopportare momentaneamente la solitudine dell’assenza, senza essere sommerso dall’angoscia, dalla paura e dalla tristezza.

Riprodurre se stesso sdoppiando la propria immagine per metterla al posto dell’altro è il tentativo che fa l’Io per riconoscere la differenza e la singolarità di quest’altro che è ribelle ai suoi desideri, contesta la sua onnipotenza e lo mette a confronto con la sua mancanza.

Questi custodi narcisisti sono adoperati allo scopo di proteggere lo sviluppo di una rappresentazione di sé, soprattutto nei periodi di vulnerabilità, collegati all’età o a tensioni psichiche. Sono creati dai bambini e dagli adolescenti in risposta a bisogni evolutivi.

Un valido aiuto contro le frustrazioni

E’ sbagliato immaginare che il compagno immaginario sia un povero sostituto di compagni reali e non dobbiamo confondere l’uso nevrotico dell’immaginazione con quello sano. Il bambino che usa la sua fantasia per creare compagni immaginari vitali a risolvere i suoi problemi è un bambino che lavora per la propria salute mentale, mantiene il contatto con la realtà coltivando nello stesso tempo il contatto con il mondo reale. Il contatto con il mondo reale viene rafforzato dalle periodiche escursioni nel regno della fantasia. Diventa più facile tollerare le frustrazioni del mondo reale e accedere alle richieste della realtà se è possibile di tanto in tanto rifugiarsi in un mondo dove i desideri più profondi posso essere immaginativamente esauditi.

L’amico immaginario in età adulta

Generalmente i compagni immaginari scompaiono nel momento in cui il bambino ha imparato a padroneggiare le proprie paure.

Ma in alcuni casi e forme particolari l’amico immaginario può continuare ad esistere anche in età adulta. Un esempio citato nel libro è quello del poeta e scrittore portoghese Fernando Pessoa che viene preso ad esempio con i suoi eteronimi. Nella lettera ad Adolfo Casais Monteiro del 13 gennaio 1935, interrogato da questo sulla genesi dei suoi eteronimi, Pessoa scrive:

L’origine dei miei eteronimi è il tratto profondo di isteria che esiste in me. […] L’origine mentale dei miei eteronimi sta nella mia tendenza organica e costante alla spersonalizzazione e alla simulazione. Questi fenomeni, fortunatamente, per me e per gli altri, in me si sono mentalizzati; voglio dire che non si manifestano nella mia vita pratica, esteriore e di contatto con gli altri; esplodono verso l’interno e io li vivo da solo con me stesso.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Adamo S. M. (a cura di), (2006). Il compagno immaginario, Roma: Astrolabia Ubaldini
  • Winnicott, D.W. (1974). Gioco e realtà. Roma: Armando Editore.
  • Lettera di Pessoa ad Adolfo Casais Monteiro del 13 gennaio 1935, citata in Tabucchi A., Un baule pieno di gente. Scritti su Fernando Pessoa, Milano, Feltrinelli, 1990.
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