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Metti una sera a cena … in 3D

Le biotecnologie modificheranno la nostra alimentazione. Un esempio? La bistecca con “etica multidimensionale”, economica ed ecocompatibile..

Di Mariateresa Fiocca

Pubblicato il 05 Nov. 2019

Il settore delle biotecnologie alimentari si sta rinnovando molto rapidamente con il cibo finto, che sta coinvolgendo e appassionando scienziati, chef, studiosi, esperti di cambiamento climatico, imprenditori di tutto il mondo. La food experience del domani sicuramente cambierà il modo con cui le persone interagiscono con il cibo.

 

In passato la scuola francese era punto di riferimento per la formazione del gusto e dell’etichetta, successivamente il mondo ha preferito mangiare à l’italienne. La sua cucina si ispira alla Dieta Mediterranea, riconosciuta dall’UNESCO come bene protetto e inserito nella lista dei patrimoni immateriali dell’umanità nel 2010: oltre a essere salutare e dai sapori squisiti, la Dieta mediterranea è identità culturale, tradizione, radici di appartenenza, stile di vita, senso di comunità e ospitalità, paesaggio, competenze, pratiche, territorio.

Il cibo è sempre stato un mezzo incredibilmente potente per riunire le persone, celebrare, condividere, avviare una conversazione, stimolare idee. Grazie a tutte queste sfaccettature, il cibo, più di altri prodotti, per vocazione si presta allo storytelling come strategia di marketing di un brand (Fiocca, 2018). Oggi il processo di coltivazione, lavorazione e produzione del cibo diventa una storia da raccontare e che i consumatori desiderano conoscere. Il consumatore “etico” ha ulteriormente accentuato l’importanza dei valori positivi che un brand deve incarnare e che devono entrare nel racconto.

Il settore delle biotecnologie alimentari si sta rinnovando molto rapidamente con il cibo finto e, in particolare, con la carne artificiale, chiamata anche clean meat. Sta coinvolgendo e appassionando scienziati, chef, studiosi, esperti di cambiamento climatico, imprenditori di tutto il mondo. La food experience del domani sicuramente cambierà il modo con cui le persone interagiscono con il cibo. Un fattore di non poco momento sotto tanti profili, visto il crescente protagonismo del cibo oggi. Ci saranno impatti economici, tecnologici, etici, psicologici. Addio identità culturale, tradizione, radici di appartenenza, stile di vita, senso di comunità e ospitalità, paesaggio, competenze, pratiche, territorio… Ma, si sa, la vita è un trade-off: mentre si perdono alcune evocazioni e pezzi di storia, dall’altro si creano nuove e importanti opportunità.

Comunque, è necessaria ancora molta attività di ricerca per trasformare il battage e il dialogo scientifico in realtà. Molte sono le questioni aperte e, in primo luogo, quali tutele per il consumatore? Il cibo sintetico richiede norme per la sua produzione e trasformazione e gli studi in corso serviranno anche a definire le norme legislative, come le caratteristiche dei substrati, gli additivi chimici, le norme di sicurezza degli impianti. Quali industrie del comparto alimentare saranno influenzate dalle nuove tecnologie del cibo finto? Quali componenti di cibo potranno essere stampati in un futuro prossimo tramite la stampante tridimensionale? E quali aspetti dovranno essere presi in considerazione per garantire la sicurezza e il mantenimento del cibo ad esempio stampato in 3D? Queste sono molte delle questioni che verranno affrontate in occasione della “3D Food Printing Conference, 5th edition”, che si terrà nei Paesi Bassi (23-24 giugno 2020, Brightlands Campus Greenport, Venlo).

Sebbene ancora agli albori, il settore della carne sintetica ha fatto passi da gigante. La prima degustazione televisiva di un hamburger nato in laboratorio è avvenuta nel 2013. La carne di manzo cucinata era stata fatta crescere partendo da un campione di tessuto muscolare prelevato da una mucca. Le cellule staminali sono state poi coltivate e tagliate in modo tale da diventare filamenti successivamente stratificati per formare un tessuto che avesse la consistenza della carne bovina. Ha guidato la ricerca Mark Post, professore di fisiologia presso l’Università di Maastricht.

La carne sintetica parte quindi da cellule staminali muscolari (di maiale, pollo, manzo, anatra, ecc.) che vengono poste in un particolare contenitore (bioreattore) insieme a un substrato liquido di coltura, che generalmente è siero di sangue fetale, o a una soluzione sintetica di sostanze chimiche per ottenere una composizione simile al siero. In tali condizioni le cellule vengono alimentate in modo che possano svilupparsi e moltiplicarsi fino a formare uno strato di fibre.

La carne artificiale allevata in laboratorio, oltre a richiedere un processo lungo e costoso, non ancora è in grado di imitare né il gusto della carne né la sua consistenza fibrosa. La carne in vitro presenta, di conseguenza, problemi di tempistiche di realizzazione e di scalabilità economica significative, viene fatta crescere con un “mangime” a base di siero bovino fetale. Insomma, sempre con altre risorse animali. E’ un settore ancora lontanissimo dalla produzione industriale.

Alcune start-up – soprattutto statunitensi – vendono già carne artificiale, come la “carne impossibile”, di origine vegetale, ma dal gusto molto simile alla carne originale. Impossible Foods e Beyond Meat sono le maggiori imprese. La differenza rispetto ai normali hamburger vegetali, in vendita già da parecchio tempo, è che gli hamburger di Impossible Foods e Beyond Meat sono destinati a chi mangia abitualmente carne – e al cui gusto non rinuncerebbe mai -, anziché ai consumatori vegetariani, abituali fruitori degli hamburger di soia e quinoa.

Gli “hamburger impossibili” sono prodotti unendo tra loro ingredienti di origine vegetale, ma scelti e assemblati in modo da riprodurre il più possibile la consistenza, le sembianze e il sapore della carne, anche durante la fase di cottura. Per farlo, le imprese su cui sono impegnate hanno investito anni a studiare campioni di carne in laboratorio, scandagliando tutti i mutamenti chimici alle varie temperature, provando centinaia di ingredienti diversi per riprodurre perfino il sangue tipico degli hamburger poco cotti (che poi non è davvero sangue ma mioglobina, una proteina simile).

L’“Impossible Burger”, il più famoso prodotto di questo tipo, attualmente viene venduto anche negli oltre 7.000 ristoranti della catena Burger King degli Stati Uniti. Secondo Impossible Foods, per essere prodotto l’“Impossible Burger” richiede circa l’87 per cento di acqua in meno, il 97 per cento di terra in meno e l’89 per cento di emissioni in meno rispetto agli hamburger di manzo. Le sue proprietà nutritive, afferma l’azienda, sono uguali o superiori al corrispettivo animale.

A differenza di Impossible Foods, Beyond Meat – che oggi vende i suoi prodotti in moltissimi supermercati in tutto il mondo ed è quotata in Borsa – si è servita di un approccio diverso: usa ingredienti vegetali senza modificarli in laboratorio. L’hamburger è composto da piselli, riso, fagioli indiani verdi, amidi vegetali, olio di cocco e barbabietola rossa, che serve a dare l’impressione del tipico colore rosso della carne di manzo.

Il The New Yorker ha dedicato un ampio articolo sull’argomento, fornendone lo stato dell’arte.

In Italia non esistono ancora gli hamburger di Impossible Foods, mentre sono disponibili gli hamburger di Beyond Meat nelle catene Well Done e The Good Burger, e le polpette nella catena The Meatball Family.

Un salto in avanti – iperbolico – è avvenuto con Giuseppe Scionti, ingegnere biomedico italiano, passato dai laboratori nel campo dei biomateriali e dell’ingegneria tissutale del Politecnico della Catalogna fino a fondare una sua startup, Novameat, brevettando una tecnologia innovativa per l’industria alimentare. Il brevetto di Scionti è il risultato dei suoi studi scientifici sulla rigenerazione dei tessuti. La sua biostampante tridimensionale è in grado di generare tessuti artificiali che assomigliano a quelli umani e animali, imitando la loro struttura originale a livello sia macroscopico sia microscopico. Si tratta quindi di carne a base vegetale in tre dimensioni con la consistenza fibrosa associata alla bistecca e alle altre pietanze di carne. Tuttavia, pollo, manzo, maiale hanno consistenza differente. Di conseguenza, ciascun prodotto richiede uno studio istologico della carne di partenza. Le proprietà meccaniche vengono esaminate altrettanto attentamente e quindi riprodotte nella carne sintetica.

I prototipi finora sviluppati dalla Novameat sono due: il petto di pollo e la bistecca di manzo. Attraverso una biostampante 3D, egli ottiene un succedaneo della carne di manzo e di pollo senza carne sebbene con i suoi medesimi sapori e, comunque, evitando i significativi effetti collaterali degli allevamenti intensivi.

La ricerca più recente infatti punta il dito sull’industria del bestiame e sugli allevamenti intensivi. L’impatto ambientale della filiera della carne è appunto elevatissimo, sia in termini di emissioni di gas serra sia di consumo delle risorse (quelle idriche e i terreni coltivabili). L’agricoltura consuma più acqua di qualsiasi altra attività umana, e di questa circa tre quarti sono destinati agli allevamenti. Circa un terzo delle terre coltivabili del mondo è usato per produrre mangimi per l’allevamento. In particolare, tra i vari tipi di allevamento, è quello dei bovini il più dannoso per l’ambiente a livello mondiale, perché causa una liberazione di metano nell’atmosfera che moltiplica l’effetto serra.

Gli scienziati ritengono che entro il 2050, quando la popolazione mondiale si sarà avvicinata ai dieci miliardi di persone, la domanda di carne raddoppierà. Entro quella data, si legge nel Rapporto della Banca Mondiale e dell’ONU – “Creating a Sustainable Food Future” -, sfamare la Terra si tradurrà nella distruzione della maggior parte delle foreste, nell’eliminare migliaia di nuove specie e nel rilascio di quantità di gas serra da superare la soglia di sicurezza. In più, contribuirà ad aumentare i migranti climatici, cioè le persone che saranno costrette a lasciare la propria casa e la propria terra di origine per circostanze ambientali. Quindi, viene offerto… su un piatto d’argento un succedaneo “eco-friendly” e “cruelty-free”.

Tuttavia, per quanto riguarda le emissioni gassose, c’è da considerare che nel mondo la maggiore la concentrazione di bovini (ritenuti i maggiori responsabili della emissione di gas serra) si trova in India dove, essendo considerati sacri, non sono utilizzati ai fini alimentari e non sono macellati.

La carne ottenuta con la tecnica della biostampante 3D non è un organismo geneticamente modificato, poiché il brevetto usa solo biomateriali come le proteine vegetali, i carboidrati, le vitamine, i grassi vegetali che permettono di produrre la carne. Essendo le proteine utilizzate già presenti in natura, il brevetto non richiede lo stravolgimento dell’ecosistema. In particolare, l’inventore argomenta in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera:

Grazie a una particolare tecnica mista ereditata dalla biomedicina, le proteine vegetali possono essere organizzare a livello nanometrico come se fossero fibre muscolari. Si può così ottenere una bistecca stampata in 3D con la consistenza fibrosa tipica della carne animale. Del tutto priva di OGM.

I materiali di origine vegetale possono derivare sia da piante sia da alghe. Anche il problema della sicurezza alimentare sembra essere superato poiché i materiali utilizzati sono quelli già approvati dalle autorità europee e dalla Food and Drug Administration americana.

Sebbene il futuro della carne sintetica rimanga tutto da decifrare, l’avvento delle biostampanti tridimensionali e la costante riduzione del loro prezzo potrebbero rivoluzionare la nostra concezione di cibo. Gli alimenti prodotti attraverso questa tecnologia possono essere pastorizzati e confezionati per essere trasportati nelle zone più remote.

Una prospettiva intrigante, tanto da attirare le attenzioni della FAO, commenta l’autore di un articolo su la Repubblica. Ad esempio, la carne sintetica di origine vegetale può contribuire a contrastare la carenza di specifici nutrienti nei paesi più poveri. La sua distribuzione sarebbe più pratica ed efficace rispetto a quella degli attuali “beveroni”, peraltro difficili da far accettare alla popolazione. Sotto questo aspetto, tale modo di nutrirsi diventa fattore che contribuisce a ridurre i gap delle disuguaglianze e a ridurre la fame nel mondo. La bistecca è un pezzo di muscolo, possiede elementi, come le terminazioni nervose, che ai fini alimentari non servono a nulla. Una carne vegetale contiene invece esclusivamente gli ingredienti necessari al nutrimento.

Quindi: sarà una bistecca vegan che costerà di meno, che concorrerà a evitare gli sprechi alimentari, che sarà “ecocompatibile”, di aiuto ai paesi più poveri, che eviterà la crudeltà verso gli animali di allevamento intensivo e la loro morte. Sicché, una bistecca con un’“etica multidimensionale”. Per gli umani, per gli animali, per l’ambiente. Insomma la carne stampata a tre dimensioni costituisce l’ottimizzazione di un prodotto.

Quando arriverà sulle nostre tavole? Non presto, sebbene la rivoluzione alimentare sia ormai avviata. Afferma l’inventore che il vantaggio della carne “stampata” è che cerca di indurre un cambiamento nelle abitudini alimentari della popolazione, senza rappresentare un sacrificio, … ma circa il sacrificio sarà tutto da vedere!

Succede a volte di assaggiare dei piatti che ci lasciano sensazioni positive. Non è questione di “magia del cibo” e nemmeno di vedere un impulso primario soddisfatto. La risposta sta nel nostro cervello. Il termine coniato negli Stati Uniti è “comfort food”, cioè quel cibo che fornisce felicità a livello psicologico. Sono per lo più cibi collegati al passato e alle nostre memorie, ma anche alla cultura, valori, religione in cui si è cresciuti. In Italia classici esempi, sono la torta della nonna o il ragù della mamma. Sono piatti che ci ricordano tempi felici oppure una specifica persona della nostra vita. Quando assaggiamo un cibo che ha fatto parte della nostra infanzia, è molto probabile che il ricordo di quei momenti riaffiori velocemente, lasciandoci una sensazione di buon umore, felicità o nostalgia. Gli elementi in questo tipo di memoria (autobiografica) sono immagazzinati in modo inconscio, ma possono produrre effetti sul comportamento. Ad esempio, la sazietà sensoriale specifica è quel fenomeno che fa sì che alla fine di un’abbondante cena, quando non si ha più appetito, rimane sempre un po’ di spazio per il dolce. Inoltre, le immagini, il profumo, l’idea, il parlare di cibo producono, tra i tanti altri effetti, la salivazione (la famosa “acquolina in bocca”).

Probabilmente, il cibo sintetico ci farà perdere questo patrimonio interiore, sebbene la carne finta, nelle alternative vegetali, rifletta le preferenze etiche di molti consumatori. Chissà se questa futuristica food experience avrà veramente un futuro e la nuova cultura alimentare attecchirà.

Il paniere del consumatore è destinato a diventare un paniere di “novel food” contenente stampe tridimensionali, cibo riprodotto in vitro, altro cibo sintetico, nonché insetti. E sì, la FAO da anni promuove gli insetti come “proteina del domani”, una risposta efficace e a basso impatto ambientale al crescente bisogno di cibo conseguente all’aumento della popolazione terrestre.

Il consumatore ne guadagnerebbe senz’altro in efficienza, ma allo stesso tempo perderebbe pezzi di sé – attraverso una rimodellizzazione delle sue preferenze. Inoltre, il cibo sintetico sarà ugualmente buono? Come reagirà il consumatore al trade-off efficienza vs. gusto, tradizioni tramandate, evocazioni, antichi profumi del cibo che fu? La strategia del food storytelling diventerà particolarmente impegnativa, ma anche affascinante! Dovrà suscitare empatia, galvanizzare sentimenti, coinvolgere, far immedesimare il consumatore in un portatore dei valori etici che connotano questa nuova fase dell’alimentazione.

Certo, il pianeta ringrazia… il romanticismo un po’ meno.

Guardando il menù del ristorante: “Amore, preferisci la bistecca di manzo di rape o di cavolfiore? Se vuoi, il piatto del giorno è il petto di pollo di alghe”. Lei si rivolge al cameriere: “Mi andrebbe una braciola di maiale di carciofi”. Interviene, allora, il cuoco – un ologramma: “Mi dispiace, non la stampano ancora!”

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Berberi, L. (2018). La bistecca vegetale (di un italiano) stampata in 3D. E low cost, Corriere delle Sera/Scienze, 4 novembre 2018.
  • Fiocca, M. (2018). Il binomio digitale “influencer-storytelling”: la nuova pubblicità e la tutela dei consumatori, Ciberspazio e Diritto.
  • Friend, T. (2019). Can a Burger Help Solve Climate Change? The New Yorker, 23 settembre 2019.
  • Michielin, D. (2018). Petti di pollo e bistecche stampati in 3D, così mangeremo in futuro, la Repubblica - Medicina e Ricerca, 21 settembre 2018.
  • Searchinger, T. et al. (2018). Creating a Sustainable Food Future, World Resources Institute.
  • Vicky, S. (2019). A che punto siamo con gli hamburger senza carne, Il Post/Scienza, 29 settembre 2019.
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