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Dalla biologia alla psicologia: abbiamo dimenticato i padri?

Negli anni passati, gli studi nel campo della biologia, della sociologia e della psicologia hanno trascurato la figura paterna. Cosa sta cambiando oggi?

Di Claudio Lombardo

Pubblicato il 03 Ott. 2019

La plasticità transgenerazionale (TGP) si verifica quando l’ambiente vissuto da un genitore influenza lo sviluppo della propria prole. Per anni ci si è concentrati solamente sulla trasmissione materna, ma con le recenti ricerche sembra che il padre sia stato incluso sui meccanismi epigenetici che facilitano gli effetti transgenerazionali.

 

Sorgeva, il padre, nell’atmosfera psicologicamente
non surrogabile dell’insopprimibile.

Introduzione

Esistono realtà che si presentano sotto forma di paradossi, metafore o magie, come accade nel mondo subatomico della ricerca quantistica in cui un momento l’elettrone c’è, un altro momento sparisce. E dove va a finire? Questo non si sa. Allo stesso modo alcuni “soggetti” di studio spariscono per un breve arco temporale per apparire successivamente.

Riferendoci alla ricerca scientifica, ma rimanendo sul piano della concettualizzazione fisica, se concepiamo il sistema-famiglia alla stregua di un atomo, possiamo quasi vedere la madre come un protone e il figlio un neutrone, accanto alla madre, sempre presente, sempre lì con lui, in una sintonia profonda e imprescindibile. E il padre?  Un elettrone gravita attorno al nucleo, respinto ma attratto allo stesso tempo, quasi a preservare la propria indispensabile distanza: ogni tanto è presente, ogni tanto scompare. Ma perché è proscritto a questo teatro passivo? Sarà l’archetipo della Grande Madre a produrre questa eclissi?

Il padre, nell’immaginario collettivo di sempre ha vissuto sotto un’atmosfera di impressioni superficiali di chi contempla da una posizione sopraelevata e distanziata dalla famiglia, anziché da quelle più profonde, di chi vive davvero all’intero ricavandone delle autentiche relazioni narrate nei secoli dei secoli: è il connubio indissolubile madre/figlio. La madre, è pensata come la perfetta sintesi di tutto il mondo del bambino.

Epigenetica e fetal programming

Il crescente e innovativo campo dell’epigenetica ha fornito negli ultimi decenni scoperte sensazionali, soprattutto in riferimento allo stato di salute degli individui. L’epigenetica è quella branca della biologia molecolare che studia specificamente le modifiche molecolari indotte dalle sollecitazioni e informazioni provenienti dall’ambiente (e in particolare dal microambiente tissutale) nel genoma delle cellule, utili/necessari per una migliore comprensione della rivoluzione epidemiologica in atto (Burgio, 2013). Secondo questa definizione, le sollecitazioni in atto dal nostro ambiente (e.g. inquinamento) metterebbero in uno stato di allarme e successivo tentativo di adattamento l’organismo inducendolo ad una – parafrasando Burgio, 2013 – “formattazione epigenetica” adattativo-predittiva di miliardi di cellule. Questo è vero soprattutto in quel periodo iniziale della vita definito dagli esperti fetal programming, ovvero durante lo sviluppo embrionale e fetale, un periodo critico in cui vengono creati tessuti e organi che possono predisporre il feto a determinate malattie post-natali (Barker, 1998).

Il fetal programming è il programma-base per la costruzione del nostro fenotipo individuale – ovvero, specifica il “nostro funzionamento” come esseri viventi – ed è valido per tutta la vita. É proprio in questa fase che l’ambiente svolge il ruolo più importante (Burgio, 2013). In tal senso è stato anche detto che il DNA è una sorta di vocabolario, ma che “a scrivere il libro è l’ambiente” (ibidem). Ma questo effetto riguarda solamente l’individuo che subisce tali sollecitazioni?

Di generazione in generazione: i padri in Biologia

La plasticità transgenerazionale (TGP) si verifica quando l’ambiente vissuto da un genitore influenza lo sviluppo della propria prole, ovvero esistono meccanismi della TGP nel contesto della comunicazione tra genitori (mittenti) e prole (riceventi) analizzando i passaggi tra un segnale ambientale ricevuto da un genitore e i suoi effetti risultanti sul fenotipo di una o più generazioni future. Orbene, mentre la maggior parte del lavoro sugli effetti intergenerazionali e transgenerazionali si è concentrato sulla trasmissione materna (Baxter, 2019), con le recenti ricerche sembra che il padre sia stato incluso sui meccanismi epigenetici che facilitano gli effetti transgenerazionali.

Ribadendo quanto scritto poc’anzi, numerosi studi sull’uomo e sui modelli animali hanno dimostrato che l’esposizione a condizioni ambientali sfavorevoli nella prima infanzia comportano cambiamenti strutturali e funzionali a lungo termine in un organismo, aumentando il rischio di disturbi cardiometabolici, neurocomportamentali e riproduttivi in ​​età avanzata. Ma la scoperta più sorprendente è che, tali effetti, si trasmettono non solo alla prole di prima generazione, ma possono essere trasmessi a una seconda o a un numero di generazioni successive, attraverso meccanismi non genomici. Mentre la trasmissione di effetti “programmati” attraverso la linea materna potrebbe avvenire come conseguenza di molteplici influenze, ad esempio l’alterata fisiologia materna, l’eredità degli effetti attraverso la linea maschile è più difficile da spiegare e c’è molto interesse in un ruolo potenziale per l’eredità epigenetica transgenerazionale (Baxter, 2019).

Un messaggio emergente è che l’esposizione dei maschi ad alcuni (ma non tutti) insulti ambientali nella prima infanzia produce effettivamente modifiche epigenetiche nello sperma e cambiamenti nei fenotipi della prole generati da questi. Tuttavia, non è stato ancora stabilito un nesso causale tra le modifiche epigenetiche degli spermatozoi e la variazione fenotipica della prole […]. Studi più recenti suggeriscono che gli RNA potrebbero essere il meccanismo epigenetico più importante che media le influenze paterne sul fenotipo della prole (Jablonka, 1999; Soubry, 2018; Kuijper, 2019; Ho, 2010).

Sfortunatamente, nell’uomo questa area è rimasta sotto esplorata. La mancanza di interesse per la ricerca nel ruolo del padre è spesso sorprendentemente evidente in quanto la maggior parte delle conferenze relative alle esposizioni precoci non ha una sezione sulle influenze paterne. Ciò nonostante i modelli animali forniscono la prova di un effetto epigenetico transgenerazionale attraverso la linea germinale paterna, ma può essere tradotto nell’uomo? Ad oggi, la letteratura sui padri è scarsa. Gli studi sull’uomo non incorporano sempre strumenti adeguati a valutare le influenze paterne o gli effetti epigenetici. Nel rivedere la letteratura, sottolineo la necessità di esplorare e riconoscere i contributi paterni alla prole (e.g. Paradigma paterno delle origini della salute e delle malattie: POHaD; Heindel, 2015). Una migliore comprensione delle origini preconcettuali della malattia, attraverso la totalità delle esposizioni paterne (‘esposoma’ paterno), potrà fornire raccomandazioni sulla salute pubblica basate sull’evidenza per i futuri padri.

I dati sugli animali già danno prove di un’alterazione epigenetica indotta dall’ambiente nei gameti (spermatozoi o ovociti), che può influenzare l’embriogenesi, la fecondità o la salute nelle generazioni successive. In alcuni casi, sono state scoperte epimutazioni negli spermatozoi e nei tessuti della prole dopo esposizioni paterne a determinate condizioni dietetiche, condizioni stressanti, contaminanti ambientali, ecc … La letteratura contiene numerosi articoli sui dati degli animali relativi alle influenze ambientali (Soubry, 2014; Hur,  et al., 2017).

Ma questa trasmissione è solo biologica? Facciamo un passo indietro.

Il genitore “naturale”

Intorno al periodo dell’industrializzazione, l’attenzione primaria si è spostata dalla leadership morale al progresso e al sostegno economico della famiglia. Quindi, forse a seguito della Grande Depressione, che rivelò molti uomini sfortunati come poveri “fornitori”, gli scienziati sociali arrivarono a ritrarre i padri come modelli di ruolo sessuale, con i commentatori sociali che esprimevano preoccupazione per i fallimenti di molti uomini nel modellare il comportamento maschile per i loro figli.

Dal momento che le donne sono state a lungo considerate i genitori “naturali”, per la loro predisposizione biologica al ruolo e per il loro presunto istinto materno, ogni deviazione dalla tradizionale divisione dei ruoli è stata considerata con sospetto, sulla base della convinzione che gli uomini avrebbero svolto il ruolo genitoriale con minore successo delle donne. In effetti si registrano profonde differenze tra le varie culture nella misura del coinvolgimento del padre nella cura del figlio, qualcosa suggerisce la differenza di sesso. A questo riguardo è una questione di convenzione sociale e non una componente fissa e mutabile dell’essere maschio o femmina. Per quanto il fatto di essere allevato da un uomo concerne conseguenze per il bambino, le scarse prove non indicano che tali bambini abbiano uno sviluppo diverso dai loro pari cresciuti in condizioni diverse. Inoltre, osservazioni dirette di uomini impegnati nel loro ruolo di caregiver (chi presta accudimento) hanno mostrato di essere persone capaci di calore e sensibilità non inferiori a quelli delle donne. In breve, il risultato dello sviluppo del bambino sembra influenzato non tanto dal sesso del genitore, ma dal tipo di relazione instaurata all’interno di ogni coppia genitore figlio (Parke, 2002).

I padri in sociologia: il “nuovo padre educatore”

Nel corso del XX secolo, i padri furono invitati a essere coinvolti (Griswold, 1993) e, a seguito delle critiche femministe e accademiche sulla mascolinità e la femminilità, alla fine degli anni ’70 emerse una preoccupazione per il “nuovo padre educatore”, che interpretava un ruolo attivo nella vita dei suoi figli. Come ha spiegato Elizabeth Pleck (2004) le discussioni popolari e accademiche sulla paternità si sono soffermate a lungo sull’importanza del coinvolgimento e sulla paura di una paternità inadeguata. Contrariamente alle precedenti concettualizzazioni dei ruoli dei padri, spesso focalizzate in modo piuttosto limitato sul “guadagno del pane”, le discussioni successive si sono concentrate strettamente sul “coinvolgimento”. I ricercatori, i teorici e i professionisti non si aggrapparono più alla convinzione semplicistica che i padri idealmente riempiono un ruolo in un universo unidimensionale e universale nelle loro famiglie e negli occhi dei loro figli; al contrario, riconoscono anche ai padri di svolgere una serie di ruoli significativi – compagni, prestatori di cure, coniugi, protettori, modelli, guide morali, insegnanti ecc. – la cui importanza relativa varia in epoche storiche e gruppi subculturali. Solo considerando la prestazione dei padri di questi vari ruoli e tenendo conto della loro relativa importanza nei contesti socioecologici interessati, è possibile valutare l’impatto dei padri sullo sviluppo del bambino.

Sfortunatamente, teorici e commentatori sociali in passato hanno enfatizzato solo un ruolo paterno alla volta, con diverse funzioni che attirano la maggior attenzione nelle diverse epoche storiche. Concentrandosi sul comportamento dei padri quando sono con i loro figli, gran parte dei dati osservativi e di indagine raccolti dagli psicologi dello sviluppo e sociologi negli anni ’70 e all’inizio degli anni ’80 (ad esempio Lamb, 1977) hanno suggerito che madri e padri si impegnano in tipi di interazione piuttosto diversi con i loro bambini, specialmente nei paesi anglosassoni come gli Stati Uniti. Questi studi hanno costantemente dimostrato che i padri tendono a “specializzarsi” nel gioco, mentre le madri sono specializzate nella cura, specialmente (ma non solo) in relazione ai bambini. Sebbene tali risultati sembrino abbastanza affidabili, sono stati spesso travisati e hanno portato a ritratti eccessivamente stereotipati e unidimensionali di padri come partner di gioco. Rispetto alle madri, i padri in effetti trascorrono una parte maggiore del loro tempo con i bambini impegnati nel gioco, ma trascorrono ancora la maggior parte del tempo con i bambini impegnati in altre attività. In termini assoluti, la maggior parte degli studi suggerisce che le madri giocano con i propri figli più di quanto non facciano i padri, ma poiché il gioco (in particolare il gioco turbolento, stimolante, emotivamente eccitante) è più importante nell’interazione padre-figlio, la giocosità paterna e la relativa novità possono aiutare a rendere i padri particolarmente importanti per i loro figli (Lamb, Frodi, Hwang e Frodi, 1983).

Le funzioni indirette dei padri

Dal punto di vista economico, nella famiglia i padri costituiscono un modo indiretto, ma importante con cui contribuiscono all’allevamento e alla salute emotiva dei loro figli. Inoltre, il sostegno economico (o la mancanza di esso) è uno dei modi in cui i padri non affidatari influenzano lo sviluppo dei loro figli.

Una seconda importante fonte indiretta di influenza deriva dal ruolo del padre come fonte di supporto emotivo e strumentale alle altre persone, principalmente alle madri, coinvolte nella cura diretta dei bambini. Tale funzione tende a migliorare la qualità delle relazioni madre-figlio e quindi a facilitare l’adattamento positivo da parte dei bambini. Al contrario, quando i padri non sono di supporto e il conflitto coniugale è elevato, i bambini possono soffrire (Cummings, Goeke-Morey & Raymond, 2004) e i dati riferiti alle separazioni parlano chiaramente sulla drammaticità di tale questione, sia per le madri che per i padri che, sotto un profilo psico-sociale, possono trovarsi nella condizione di essere  “sganciati” dalla perfetta conoscenza delle abitudini dei figli non vivendoli in prima persona – e ciò non riguarda solamente la fase successiva della separazione. Si potrebbe menzionare il citato articolo scientifico di Allen e Hawkins (1999).

L’essenzialità paterna

Negli ultimi 30 anni gli studiosi hanno chiaramente compiuto notevoli progressi. Centinaia di studi hanno arricchito la letteratura empirica, mentre i teorici hanno elaborato e perfezionato le strutture concettuali progettate per chiarire la paternità, relazioni padre-figlio e ruoli paterni.

La tesi dell’essenzialità paterna sostiene che i padri danno un essenziale, unico e, più specificamente, contributo unicamente maschile allo sviluppo del bambino. Inquadrare l’ipotesi di essenzialità nel contesto del Modello di paternità-mascolinità suggerisce che l’essenzialità paterna comporta sei idee fondamentali: (a) differenze di genere nella genitorialità, (b) associazioni tra presenza del padre e risultati del figlio, (c) la mediazione di tali associazioni in particolare per coinvolgimento paterno, (d) l’attribuzione degli effetti della presenza paterna alla mascolinità del padre, (e) l’unicità degli effetti della paternità sugli esiti del bambino e (f) l’associazione dell’orientamento della mascolinità paterna al coinvolgimento paterno e gli esiti del bambino (Lamb, Michael E., 2004).

Psicologia dello sviluppo: i padri in Psicologia

La nascita di un bambino viene vissuta, in base a come viene formulata nella cultura specifica, come un’esperienza pericolosa e dolorosa, interessante e avvincente, prosaica e leggermente rischiosa, o ammantata di un enorme pericolo sovrannaturale. ( Margaret Mead, 1967)

Molte delle ricerche (anche in) psicologia sono state condotte solo con le madri, in conformità con l’opinione vigente al tempo sulla relativa insignificanza dei padri. Ora che il focus è stato ampliato negli ultimi anni, sono disponibili risultati di un certo numero di studi che ci consentono di mettere a confronto l’attaccamento al padre e l’attaccamento alla madre. Si riscontra, molto spesso, coerenza tra le categorie di appartenenza che, presumibilmente, rispecchia la coerenza di trattamento da parte dei due genitori (Schaffer, 2005). Lamb ha trovato che il bambino dirige l’attaccamento verso ambedue i genitori, ma con una preferenza verso la madre, mentre il comportamento di affiliazione è più sviluppato verso il padre (Lamb; Michael E., 2004).

Studi sulla Strange Situation Procedure (focalizzata sulla reazione del bambino al momento della separazione dalla figura di attaccamento) hanno inoltre mostrato che, quando un bambino ha un attaccamento sicuro al padre, in sua presenza mostra maggior interesse verso l’estraneo e questo potrebbe ricondursi al fatto che il tipo di interazione maggiormente fisica con il padre, centrata sul piacere del rischio (es. far roteare il bambino, lanciarlo in aria ecc.) possa rendere il bambino maggiormente interessato alle situazioni nuove (ibidem).

Conclusioni

Abbiamo visto con l’epigenetica che alcune modificazioni possono essere “ereditate”. Sappiate, e qui mi fermo in vista di uno spazio tiranno, che tale trasmissione, secondo alcuni ricercatori, può portare a feedback intergenerazionali in cui il comportamento di un individuo può somigliare a quello delle generazioni precedenti, come nel caso, ad esempio, dell’aiuto spontaneo e gratuito verso le persone che vivono in condizioni di indigenza. Questo è un campo che aprirà nuove strade alla conoscenze relative alla biologia, della sociologia della famiglia e della psicologia sociale e dello sviluppo.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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