Joker: le recensioni abbondano, i commenti impazzano nella rete per quello che è il film più discusso e più apprezzato del festival di Venezia.
Attenzione: l’articolo contiene spoiler
Todd Phillips, il regista, e Scott Silver, lo sceneggiatore, ci costruiscono un film intriso di solitudine in cui l’incomprensione è all’ordine del giorno e il degrado a tutti i livelli: la città è sporca, la criminalità dilaga, il menefreghismo pure e le istituzioni sono allo sbando. Non è un caso che la patologia mentale si origini in un contesto del genere; ce lo si può aspettare.
Sin dalla prima scena ci appare un protagonista, Arthur/Joker, vittima delle azioni (violente) degli altri e, talvolta, gli viene perfino scaricata addosso la colpa (come fa il suo capo); inoltre soffre l’incuria di una madre che non riesce a prendersi cura di lui ma è solo richiedente. Sarebbero queste le premesse perfette per sviluppare un disagio psichico significativo che, infatti, c’è ma non si comprende subito. Vediamo un uomo rassegnato sulla via dello spegnersi giorno dopo giorno, costretto alla lontananza dai suoi sogni, dalle circostanze avverse della vita, nel totale menefreghismo di chi gli sta intorno. E’ facile identificarsi in lui di fronte a una tal mole di ingiustizie: sarà capitato a ognuno di noi almeno una volta nella vita di aver avuto un capo che ci incolpava di qualcosa che non era sotto il nostro controllo, o di avere un genitore che, in qualche modo, anche solo una volta, è stato manchevole o di essere stati vittime di qualunque tipo di angheria da parte del mondo, magari proprio nel mentre eravamo in difficoltà e ci siamo sentiti soli ad affrontare queste cose. Un’esperienza di vita che potrebbe essere di chiunque, da cui è stata inflitta la ferita dell’incomprensione e che ha fatto soffrire la solitudine.
Arthur è stato abbandonato dalle istituzioni, altra cosa contro cui ce la prendiamo tutti, verso le quali finisce, e finiamo, col provare una rabbia atavica. Questa pellicola sbandiera sentimenti fin troppo condivisi, a cui si potrebbe anche attribuire parte della responsabilità dello scenario politico attuale. In effetti si potrebbe pensare che lo scenario socio-politico che dipinge il film sia ispirato a quello reale e non ha spazio se non per una crisi continua del sistema che riflette una crisi interiore (o la genera?) di un individuo.
Il punto di vista di questo film è un programma: il ribaltamento radicale, nel nostro immaginario, di quelli che sono gli archetipi del buono e del cattivo rappresentati dai personaggi; i buoni del fumetto originale (Mr. Waine) sono malvagi dentro e i cattivi (Joker) non sono altro che buoni vittime di un sistema corrotto su tutti i livelli. Il giudizio di un osservatore sui buoni (di cui fa parte, non solo Mr, Waine, ma anche il personaggio interpretato da De Niro) non poteva che essere una condanna morale in quanto, questi, si sono macchiati di ottusità, rigidità mentale, mancanza di comprensione di come va il resto del mondo, si crogiolavano nei loro immotivati privilegi ed erano eccessivamente inclini al giudizio selvaggio.
Dopo una fortissima identificazione (o quantomeno compassione) che ci fa provare all’inizio, dopo la rabbia e l’angoscia attraverso cui ci accompagna, questo film ci scaraventa nel desiderio di rivalsa e questo genera, nel protagonista, comportamenti criminali, devianti e pericolosamente scevri di sensi di colpa. E siamo spinti a giustificare anche tutto questo: perché sentirsi in colpa se stai rivendicando un diritto che ti è stato negato con violenza? Perché evitare impaurito una vendetta che sa di giustizia, di meritata rivalsa?
Prendendo in considerazione questo aspetto possiamo capire alcune critiche fatte a questo film che sostengono che la narrazione giustifichi atti criminali folli e violenti. L’omicidio è solo un’espediente narrativo, commesso alla leggera, quasi poco credibile allo spettatore per come è chiamato in causa. Per questo si possono non condividere le critiche che vedono questo film come un giustificativo di atti criminali.
Queste non peccano di arroganza solo per aver attribuito questo significato all’intento narrativo del film, ma anche perché accostano la follia alla violenza. Probabilmente la sceneggiatura non indugia sufficientemente su come il personaggio impazzisca; mancano dei passaggi, ma questo è inevitabile perché la domanda che riguarda il come della malattia mentale non ha spiegazioni. Quindi, se non ci sono risposte nella vita reale, come potrebbero esserci in un film?
Gli autori ci offrono solo uno spaccato di vita ipotetica, in una storia costruita in uno scenario parallelo alla realtà che gode di vita propria. Narrazione pura. E’ proprio questa una delle sensazioni che dà questo film: l’impressione che sia un’entità a sé, che prenda vita, si stacchi dalla realtà, segua le sue regole, con la sua logica semi-oscura che dilaga e ti trascina con sé in un turbine di emozioni quasi tutte negative a cui non si riesce a dare un ordine. Probabilmente era proprio questo che volevano ottenere gli autori: dare la sensazione di caos, far capire che esso esiste e non si controlla. Il Caos è Joker, da sempre, dalla nascita del personaggio nel 1940. Quindi riescono benissimo il personaggio rinnovato e la sua storia rivisitata e pericolosamente attraente. Un film che non lascia scampo: attiva lo spettatore nel bene e nel male (più nel male), lo turba, gli fa provare qualcosa che non è buono e che non si aspetta. Di certo questo film fa tutto eccetto che divertire.
Infine la scena finale ci dà, visivamente, l’impressione che non esista possibilità di redenzione, ormai siamo tutti Joker, impazziti, criminali, una folla scatenata che si ribella con violenza alle istituzioni. Ma ciò che fa il branco sembra assai poca cosa rispetto a ciò che ha fatto Joker. Lui ha indicato la via, tutti gli altri l’hanno seguita volontariamente ma senza critica, come se non aspettassero altro. Un altro Dio forse? Che sia tutta una metafora della nascita di una nuova religione e di un profeta imperfetto, umano, peccatore? La scena in cui Joker (o solo Arthur?) sembra morire in una posa che ne richiama una cristiana e poi rinviene quasi come resuscitasse, tirato su dai suoi seguaci è quantomeno d’impatto se non addirittura didascalica