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Le nuove linee guida diagnostiche OMS non definiscono più la non-conformità di genere come un disturbo mentale. Aspetti psicologici e normativi

Le nuove prospettive sulla Disforia di Genere: analisi degli aspetti psicologici, sociali, medici e legali legati a questa condizione di salute sessuale

Di Marco Tanini, Ilaria Bagnulo, Guest

Pubblicato il 08 Ott. 2019

Dall’ultimo aggiornamento dell’International Classification of Diseases (ICD-11) l’incongruenza di genere è stata rimossa dalla categoria dei disordini mentali per essere inserita in un nuovo capitolo, quello delle condizioni di salute sessuale.

Stefano Giudici, Ilaria Bagnulo, Alessandro Toccafondi, Marco Tanini

 

Nell’ultima Assemblea Generale a Ginevra, la World Health Assembly, l’organo direttivo dell’OMS l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che rappresenta i 194 stati membri, ha aggiornato l’International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems (la cui sigla è ICD-11) decidendo che la transessualità non è più classificata dall’OMS come malattia mentale. L’incongruenza di genere è stata rimossa dalla categoria dei ‘disordini mentali’ dell’International Classification of Diseases per essere inserita in un nuovo capitolo delle ‘condizioni di salute sessuale’.

La scelta dell’OMS di lasciare comunque una descrizione della condizione di transessualità all’interno dell’ICD-11 è dovuta al considerevole bisogno di salute che le persone transgender possono avere, con questa modifica si è voluto far risaltare che la condizione di transessualità non può considerarsi una malattia mentale.

Il genere: tra pregiudizi e false credenze

Si intende identità di genere la proiezione del proprio essere che l’individuo ha verso il genere maschile piuttosto che verso quello femminile, si definisce genere sessuale il sesso fenotipico presente alla nascita, si definisce sesso genetico il sesso espresso a livello cromosomico, si definisce infine orientamento sessuale la pulsione verso un genere o entrambi i generi che il soggetto avverte. Il Disturbo da Identità di Genere è qualcosa di ampiamente studiato, costituisce un vero e proprio malessere psichico del soggetto. Non deve essere considerato una perversione o un’espressione di patologie genetiche o ormonali.

I motivi della scelta dell’OMS

Lo spostamento della Disforia di Genere dall’elenco dei disordini mentali alla tematica della salute sessuale ha lo scopo di eliminare lo stigma che grava su queste persone e di agevolare la possibilità di autodeterminazione ad esempio sulla scelta del nome da usare, situazione che, ad oggi, in molti stati, è ancora legata alla necessità di ottenere certificazioni di tipo sanitario. Contemporaneamente il mantenimento della Disforia di Genere nell’ICD-11 è teso ad assicurare le cure, psicologiche, ormonali e chirurgiche che possono essere indicate per gli individui con disforia di genere.

Il DSM curato dall’APA (American Psychiatric Association), aveva rimosso dalle malattie mentali il Disturbo dell’Identità di Genere già nel 2012 per includere invece proprio la Disforia di Genere, definita però come il disagio provato da una persona rispetto al sentimento di mancata corrispondenza tra il proprio genere percepito e quello assegnato.

La norma in Italia

La legge del 14 aprile 1982, n. 164, recante la disciplina per la rettificazione dell’attribuzione di sesso, ha costituito, per il diritto italiano, un esempio positivo di integrazione e di rispetto per la salute psicofisica. Già nel 1985 tale legge fu oggetto di ricorso alla Corte Costituzionale presunta incostituzionalità di questa norma. Con la sentenza del 6 maggio 1985, n. 161, la Corte costituzionale giudicò infondata la presunta incostituzionalità stabilendo che tale norma “si colloca nell’alveo di una civiltà giuridica in evoluzione, sempre più attenta ai valori, di libertà e dignità, della persona umana, che ricerca e tutela anche nelle situazioni minoritarie ed anomale”. Il principio sancito dalla Corte Costituzione è quello, in base all’ articolo 32 della Costituzione, di dichiarare legittimi gli interventi  di riattribuzione  dei caratteri sessuali secondo i principi di autodeterminazione e di tutela universale della salute.

Per quanto attiene alla rettificazione dei dati anagrafici (nome), la norma stabilisce che questa possa essere attuata attraverso sentenza del tribunale passata in giudicato. Con questo atto è possibile attribuire, ad una persona, un nome diverso da quello trascritto nell’atto di nascita. Tale sentenza non ha effetti retroattivi (il nome resta tale fino alla pronuncia della sentenza) e provoca lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato con rito religioso.

La legge sulle unioni civili (c.d. legge Cirinnà, n. 76/2016), al comma 27 dell’art. 1, ha stabilito che “alla rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegue l’automatica instaurazione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso”.

L’iter di cambiamento

Quello che è conosciuto come “transizione” è un percorso molto lungo e costoso per l’individuo che decide di intraprendere questo “viaggio”. In Italia la legge 164/82 regolamenta i vari passaggi di questo cambiamento. Sono identificati una serie di punti fondamentali che la persona deve toccare per poter raggiungere lo status definitivo dell’altro sesso.

Il primo passo è sicuramente la consapevolizzazione del disagio che viene provato verso il proprio corpo e con il ruolo che viene ricoperto nella società.

In secondo luogo, dopo che l’individuo ha concretato l’idea sul proprio sesso e conseguenti dubbi a riguardo, si ha l’approccio della persona con professionisti. L’invio agli specialisti, che possono essere di stampo medico o psicologico, può avvenire direttamente o tramite associazioni che accompagnano l’individuo in questo percorso.

Il terzo step riguarda i colloqui psicologici volti in primis alla diagnosi di Disforia di Genere e quindi alla formalizzazione della condizione dell’individuo. Successivamente hanno un ruolo di supporto alla terapia durante tutto il percorso di transizione. Questa serie d’incontri psicologici è molto importante per il benessere dell’individuo, sia per quanto riguarda l’accettazione della propria condizione sia per la comprensione della sua situazione da parte delle persone a lui/lei vicine; o anche solo più semplicemente per sostenere la persona durante aspetti difficili della transizione.

La terapia ormonale è indubbiamente uno dei passaggi più conosciuti quando si parla di transizione, può essere intrapresa solo dopo aver iniziato un percorso psicologico e consiste nell’immettere nella circolazione sanguigna degli ormoni che hanno la caratteristica di provocare un’involuzione delle caratteristiche del sesso biologico di appartenenza e un’evoluzione delle strutture coerenti con l’identità psichica. Quindi femminilizzare o mascolinizzare quelle parti del corpo caratteristiche di un sesso specifico. Inoltre, ha la funzione di inibire le funzioni del sesso d’origine come erezione nell’uomo o ciclo mestruale nella donna. La terapia ormonale è una componente che accompagnerà per tutta la vita l’individuo, questo perché è necessario, anche dopo la conversione chirurgica, un livello di ormoni, estrogeni o androgeni, che solo la terapia farmacologica ha la capacità di sostenere.

Quasi parallelamente alla terapia ormonale, e sempre affiancato da un terapeuta, l’individuo può cominciare a sperimentarsi nel quotidiano, iniziando a vivere situazioni sociali, immedesimandosi nel sesso opposto. Questa sperimentazione iniziale è anche detta RLT Real Life Test, ovvero test di vita reale dove appunto la persona può approcciarsi e interfacciarsi al mondo con il sesso a cui si sente di appartenere. Un aspetto di questo tipo è molto saliente per l’individuo perché è utile per comprendere appieno la scelta che sta intraprendendo.

L’aspetto interessante è che la modificazione del sesso di una persona ne va a toccare tutti gli aspetti: sociali, psicologici, medici e anche legali. Gli aspetti legali riguardano e regolamentano aspetti più tecnici legati alla ri-attribuzione chirurgica del sesso (RCS) o Sex Reassignment Surgery (SRS), la quale deve essere autorizzata esclusivamente attraverso una sentenza da parte del giudice, poiché comporta l’asportazione degli organi riproduttivi che, in assenza di patologie organiche che la giustifichino, il medico non può in nessun modo svolgere poiché lesiva dell’integrità della persona. Quindi la sentenza verrà stilata dal giudice a seguito di perizie e relazioni da parte di consulenti tecnici d’ufficio CTU nominati dal giudice e/o da consulenti tecnici di parte CTP nominati dalla persona interessata. È interessante notare gli sviluppi anche dal punto di vista legale avvenuti in questi ultimi anni laddove per ottenere la rettificazione dell’attribuzione di sesso nei registri dello stato civile non sia più obbligatorio l’intervento chirurgico demolitorio o modificativo dei caratteri sessuali anatomici primari. Quindi la rettifica dei dati anagrafici e la correzione di tutti i documenti che ne conseguono quali: patente, licenze, titoli di studio, depositi bancari, bollette, atti di proprietà… non è più legata alla modificazione chirurgica (Sentenza n.180 del 2017).

Tuttavia alcune persone desiderano intraprendere anche il percorso di RCS (Riconversione Chirurgica di Sesso) quindi dopo aver ottenuto l’autorizzazione all’intervento, il soggetto può affidarsi ai centri chirurgici specializzati per queste tipologie di operazioni. L’operazione di vaginoplastica o di falloplastica possono essere svolte sia privatamente sia nel pubblico poiché l’intera operazione di RCS è coperta dal SSN (Sistema Sanitario Nazionale). Sono invece escluse le operazioni che riguardano migliorie estetiche che esulano i caratteri sessuali secondari extragenitali.

A questo punto il percorso sembrerebbe finito tuttavia la persona si trova a dover affrontare il mondo con un aspetto ed una consapevolezza nuova e non sempre è una condizione priva di problematiche, per questo è importante considerare il delicato aspetto del reinserimento sociale, relazionale, lavorativo o scolastico. L’individuo va accompagnato nella creazione di una nuova routine quotidiana, nella creazione di nuovi progetti e nella sua autoaffermazione come persona.

L’ultimo aspetto da considerare è il follow up, una serie d’incontri a lungo termine mirati al monitoraggio delle condizioni sociali e personali del soggetto. Questi momenti sono utili sia per la persona stessa che potrebbe affrontare momenti di disagio nell’arco della vita e quindi potrebbe necessitare di un supporto, sia come raccolta di dati ed esperienze finalizzati al miglioramento del percorso per le persone che affronteranno questo iter negli anni avvenire. Ovviamente oltre ad un follow up più psicologico è importante anche un follow up di tipo medico/endocrinologico finalizzato alla valutazione della componente ormonale somministrata che andrebbe controllata costantemente per tutto l’arco di vita.

 

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