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L’Influenza della famiglia sulla salute mentale. Resoconto di uno studio sull’approccio psicoterapeutico del Disturbo Borderline di Personalità nella prospettiva sistemica

ll modello sistemico per il Disturbo Borderline di Personalità coinvolge sistema famigliare e paziente per promuovere più facilmente il cambiamento.

Di Grazia Muscogiuri, Paolo Soraci

Pubblicato il 03 Ott. 2019

Il DBP (Disturbo Borderline di Personalità) è, tra i disturbi di personalità, il più frequentemente diagnosticato e oggetto di invio ai terapeuti famigliari.

 

Il Disturbo Borderline di Personalità è molto comune sia tra gli adulti che tra gli adolescenti e i giovani, con i più alti tassi di incidenza nella fascia di età compresa tra 18 e 35 anni. L’incidenza è significativamente maggiore nelle donne rispetto agli uomini (1:3); questo è forse anche dovuto al fatto che gli uomini con problematiche simili (o con questo tipo di stili interattivi e comportamentali, sono classificati più spesso come affetti da disturbo antisociale di personalità o da disturbo narcisistico di personalità. Il Disturbo borderline di personalità presenta una consistente prevalenza nel 2% della popolazione generale e del 10% di quella ambulatoriale.

A tal proposito, si riporta un articolo in cui si illustra l’approccio psicoterapico realizzato secondo la prospettiva sistemica con un gruppo di pazienti, tutti con diagnosi di Disturbo Borderline di Personalità, messo in atto presso l’Unità di Psicoterapia del Servizio di Psichiatria dell’Ospedale Santa Creu i Sant Pau di Barcellona. Il modello proposto combina interventi di tipo individuale con il paziente con interventi di tipo famigliare fin dall’inizio del trattamento, lavorando a seguire con i differenti sottosistemi a seconda delle difficoltà o esigenze emerse. Si parte dalla convinzione che procedere nel trattamento sia con il sistema famigliare che con il paziente permetta di promuovere più facilmente un cambiamento: co-costruire uno scambio interattivo favorevole rende permeabile il cambiamento positivo conseguito in seduta individuale e si rafforza nel sistema famigliare di riferimento. Sono stati presi in carico 27 pazienti, tutti con diagnosi di Disturbo Borderline di Personalità, suddivisi in tre sottogruppi, osservati e valutati tenendo conto di alcuni indicatori. In tutti i casi è stato possibile ottenere le videoregistrazioni e le trascrizioni delle sedute ed è stato fatto un follow-up di almeno due anni dopo la conclusione del trattamento.

Formulazione diagnosi

Nel lavoro con i pazienti con Disturbo Borderline di Personalità si è tenuto conto dei sistemi di riferimento: famiglia di origine, partner (B), ambiente di lavoro (adulti), scuola e gruppo dei pari (adolescenti e giovani adulti); delle caratteristiche individuali. Sono state messe in luce le sequenze interattive e i pattern ridondanti che caratterizzano il contesto relazionale di ogni famiglia, osservando in una prospettiva diacronica: eventi del passato e significato attribuito per i vari membri; sincronica: situazione attuale e attribuzione di significato. La diagnosi relazionale della famiglia di origine è stata formulata basandosi sulle due categorie dimensionali relazionali fondamentali, illustrate da Linares: coniugalità e genitorialità.

Analisi relazionale del campione

Da un’analisi attenta e accurata, è emerso che prima della comparsa del comportamento sintomatico si erano attivati meccanismi disfunzionali rispetto alle due categorie dimensionali prese in considerazione. Per quanto riguarda il legame affettivo, si è potuta mettere in luce: la grande vicinanza emozionale con una figura (generalmente la madre) e una distanza emozionale e/ o fisica col padre per il quale il figlio si aspettava riconoscimento e valorizzazione; la vicinanza risultava essere molto stretta, quasi fusionale, descritta in termini che sottintendevano una forte complicità; inoltre il figlio era l’interlocutore ritenuto valido per le confidenze. La vicinanza fisica veniva descritta come molto piacevole, e risultava esserci un eccessivo coinvolgimento rispetto al profitto scolastico e al successo in ambito sportivo (in molti casi rappresentativa per la madre di una fonte di soddisfazione e una implicita manifestazione di realizzazione personale).

Per quanto riguarda la socializzazione, nello specifico l’apprendimento delle norme, si sono potute evidenziare: una polarizzazione delle posizioni (alto livello di richiesta e permissività da parte di ognuno dei genitori); in molti casi, esigenze eccessive da parte del genitore con cui si è instaurato un legame più stretto e permissività dell’altro genitore con cui si è instaurato un legame di scarso interesse; spesso i metodi utilizzati per l’educazione del figlio erano stati motivo di conflitto; adozione del castigo anziché della ricompensa come metodo privilegiato; in alcuni casi, una differenza di atteggiamento con figlio da parte dei genitori in una prospettiva diacronica: ottimo rispetto delle norme durante l’infanzia, problematico durante la fase adolescenziale; in altri casi, il comportamento del figlio veniva descritto come esageratamente problematico sin dall’infanzia. Nei casi in cui è stato possibile avviare una ricostruzione delle esperienze relazionali che precedevano la comparsa dei sintomi, si è osservato che la condotta che i genitori ritenevano inappropriata e rifiutavano era strettamente correlata all’esigenza di acquisire maggiore autonomia e spazio decisionale da parte del figlio. Il processo di individuazione è stato reso difficile dalla massiva presenza e vicinanza emozionale da parte di un genitore e dalla distanza emotiva dell’altro genitore che non ha favorito né regolato il lento processo dell’autonomia.

Procedimento

Nel trattamento dei pazienti si può fare riferimento a due fasi:

  • la prima, mirante alla costruzione del contesto terapeutico, alla formulazione di una diagnosi relazionale e a rendere manifesto un contratto terapeutico. L’obiettivo principale è stato quello di raccogliere tutte le informazioni utili per la formulazione della diagnosi, partendo dall’esplorazione delle motivazioni che hanno indotto a richiedere una consultazione, del problema e di ciò che preoccupa la famiglia nel momento della richiesta della terapia e della valutazione delle esperienze pregresse maturate nei trattamenti precedenti. E’ stato dato ampio spazio e respiro a ciascun componente della famiglia in modo da ricostruire la storia personale in un’ottica sistemico – relazionale e capire qual è l’idea che la famiglia e il paziente hanno del disturbo. Si è lavorato nel tentativo di creare e stringere un’alleanza solida sia con il paziente sia con i suoi famigliari;
  • la seconda, sulla quale si fonda il processo terapeutico, nel rispetto degli obiettivi condivisi e concordati con la famiglia. Si è proceduto per costruire un contesto relazionale favorevole in grado di permettere l’accoglimento e la presa in carico dei bisogni affettivi del paziente. Nelle sedute con la famiglia, dopo un primo momento di ascolto, la si è stimolata a ricercare gli aspetti positivi nel paziente, annotando gesti che si riusciva a cogliere in un quaderno, il quale ha rappresentato il materiale di lavoro della seduta successiva.

Si è tenuto conto delle conoscenze sulle modalità di interazione del paziente con le altre figure di riferimento nell’ottica di una attribuzione reale del significato relazionale posseduto e di una verifica dei cambiamenti nel tempo. Sono state intervallate, alle sedute di coppia, sedute individuali all’interno delle quali si è tentato di comprendere l’origine e le dinamiche delle relazioni conflittuali, nella direzione di un progressivo miglioramento e di una auspicata risoluzione. Durante le sedute, l’attenzione è stata focalizzata sull’estirpazione nell’uso dei comportamenti sintomatici come meccanismo disfunzionale di risoluzione dei conflitti unitamente all’acquisizione di maggiore contenimento della rabbia. L’obiettivo terapeutico è stato quello di riparare e ricucire le relazioni significative del paziente con la famiglia.

Risultati

Gli esiti attesi sono stati soddisfacenti.

In tutti i casi del campione di giovani adulti alla fine del trattamento erano scomparsi i sintomi ed erano stati raggiunti gli obiettivi proposti rispetto all’aumento dell’autonomia e la gestione adeguata delle relazioni interpersonali.
(Campo, C., D’ascenzo, I., Il disturbo borderline della personalità: diagnosi e intervento nella prospettiva sistemica)

Nella maggior parte dei casi, i pazienti erano usciti dal circuito assistenziale e una parte di loro aveva instaurato un legame di coppia stabile. Nel campione degli adulti con una relazione di coppia stabile si sono ottenuti risultati ottimali in 6 dei 10 casi. Si è potuta confermare la remissione dei sintomi, l’uscita dal circuito assistenziale ed una buona integrazione nel tessuto sociale di appartenenza. In tutti i casi del campione degli adolescenti si è riscontrato un netto miglioramento della sintomatologia, tenendo conto dell’importanza che ha rivestito il coinvolgimento della figura paterna nella terapia. A conclusione dello studio, è stato possibile riscontrare la presenza e l’articolazione nelle famiglie di due tipologie di pattern disfunzionali, l’ipercoinvolgimento e la negligenza, generando confusione nel figlio che vive la sensazione di poter essere amato solo a condizione di rispondere a determinate aspettative da parte dei genitori. Pertanto si è sottolineata l’importanza di ricostruire la storia famigliare, attribuendo valore e significato a ciascun evento, condotta o emozione, per arrivare a ricucire le relazioni. Proponendo un intervento simultaneo e integrato a livello individuale e famigliare, ci si è proposti di far compiere uno sforzo per cambiare e per assemblare la visione di se stessi cambiando anche la visione di chi ci sta vicino, arrivando a superare la difficoltà di integrare il mondo esterno e il mondo interno.

In conclusione, nel trattamento del Disturbo Borderline di Personalità è quanto mai necessario coinvolgere la famiglia in modo che collabori e partecipi con motivazione e responsabilità. Sebbene, come afferma Gabbard:

La modifica terapeutica del mondo oggettuale interno del paziente con DBP richiede solitamente un processo psicoterapico individuale intensivo […] lavorare con la famiglia è spesso un complemento essenziale nell’ambito del piano di trattamento generale.
(Gabbard, G.O., Psichiatria psicodinamica, Raffaello Cortina, Milano, 2015, pag. 466)

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Campo, C., D’ascenzo, I., Il disturbo borderline della personalità: diagnosi e intervento nella prospettiva sistemica.
  • Gabbard, G.O., Psichiatria psicodinamica, Raffaello Cortina, Milano, 2015, pag. 466
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