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Trattare il Disturbo Borderline di Personalità con la Terapia Metacognitiva: un possibile punto di svolta

E' stato recentemente condotto da Wells e colleghi uno studio per testare l’efficacia della Terapia Metacognitiva (MCT) su pazenti con Disturbo Borderline

Di Carlotta Olivari

Pubblicato il 07 Ott. 2019

I successi ottenuti dalla Terapia Metacognitiva (MCT) nel trattamento dei disturbi dello spettro ansioso (Nordahl et al., 2018; Normann & Morina, 2018) e dei disturbi depressivi (Wells, 2009), hanno spinto gli autori del recente studio pubblicato su Frontiers in Psychology (Nordhal e Wells, 2019) a indagare le potenzialità della MCT nel trattamento del Disturbo Borderline di Personalità (BPD).

 

L’articolo descrive uno studio preliminare, tecnicamente un trial clinico di fase II, con un campione relativamente ristretto, che si pone lo scopo di testare la fattibilità e l’eventuale efficacia della Terapia Metacognitiva su una tipologia di pazienti per la quale non è ancora validata.

A oggi le terapie più conosciute e sostenute da dati empirici per il trattamento del Disturbo Borderline di Personalità, sono la Dialectical Behavioural Therapy (DBT; Linehan, 1993), la Transference Focused Psychotherapy (Kernberg, Clarkin, & Yeomans, 2002) e la Schema Therapy (Young, Klosko & Weishaar, 2003). Esse, hanno in comune il focus sulla relazione terapeutica, sull’analisi delle difficoltà interpersonali e della disregolazione emotiva e sul riconoscimento e la prevenzione delle condotte a rischio e dei comportamenti autolesivi o suicidari (Brazier et al., 2006). Tenendo in considerazione i princìpi terapeutici sopracitati e le attuali applicazioni della Terapia Metacognitiva sui disturbi d’ansia e depressivi (Wells, 2009), è stato istituito un protocollo d’intervento che potesse essere adatto a pazienti borderline.

Nella ricerca condotta da Nordhal e Wells (2019) sono stati presi in considerazione 12 pazienti ospedalizzati affetti da BPD con grave compromissione del funzionamento psicosociale. I pazienti coinvolti avevano una storia di trattamento di oltre sette anni e presentavano una media di quattro disturbi in comorbilità secondo i criteri del DSM-5, principalmente disturbi d’ansia, depressivi e disturbo da stress post-traumatico cronico.

A tutti i pazienti sono stati somministrati i strumenti di valutazione psicologica in 4 momenti differenti: la prima misurazione è stata effettuata prima del trattamento, la seconda subito dopo e le ultime due rispettivamente a un anno e a due anni di distanza, come follow-up.

Con l’inventory of interpersonal problems (IIP-64) è stata indagata l’area della disfunzionalità interpersonale (Horowitz et al., 1988), con la post-traumatic stress dignostic scale (PDS), i sintomi ricollegabili allo stress post-traumatico derivante da esperienze traumatiche (Foa et al., 1997), con l’emotional and relationship instability scale (ERIS) i sintomi e le credenze tipiche del BPD (Nordhal e Wells, 2009) e con il WHO-5 well being index (Topp et al., 2015), lo stato di benessere generale.

Una volta ottenute, in una fase preliminare, tutte le misure necessarie, gli autori hanno seguito un programma a sei fasi ispirato ai principi e alle tecniche della Terapia Metacognitiva e adattato al trattamento di soggetti borderline. La prima fase si concentrava sulla formulazione del caso e sulla sua condivisione per aiutare il paziente a comprendere la propria sofferenza entro una cornice teorica metacognitiva.

La seconda fase si concentrava sull’eliminazione delle credenze metacognitive autodistruttive, un elemento cardine della Terapia Metacognitiva. Queste includono credenze metacognitive di incontrollabilità (es. non posso controllare la mia mente), credenze metacognitive sul cambiamento (es. il problema è nei miei geni), credenze sul valore dell’autocritica (es. ho bisogno di criticarmi per sentirmi al sicuro, devo punirmi per sentirmi ok). Questo sistema di convinzioni assume un rilievo centrale nella Terapia Metacognitiva per il Disturbo Borderline di Personalità, ostacolando direttamente la possibilità di essere attivamente ingaggiati in un percorso di trattamento. In questa iniziale fase terapeutica il paziente viene aiutato a sviluppare un senso di responsabilità rispetto alle proprie azioni, in cui certe strategie problematiche rappresentano qualcosa che la persona cerca di fare per gestire la sofferenza e i pensieri negativi.

La terza fase si focalizza sulla diminuzione delle strategie di coping maladattive come il rimuginio ansioso (preoccupazione per il rifiuto, l’abbandono, la perdita di credibilità nelle relazioni interpersonali), la ruminazione depressiva (nella forma dell’autocritica e autocommiserazione rispetto ai fallimenti passati) o la ruminazione rabbiosa (nella forma di recriminazioni rispetto le ingiustizie subite dagli altri e dal mondo). L’intervento in questa fase ricalca in buona parte le modalità tipiche della Terapia Metacognitiva per com’è conosciuta.

Nella quarta fase il centro dell’intervento è l’incremento della flessibilità cognitiva che in termini MCT è operazionalizzata come la capacità di selezionare autonomamente il fuoco della propria attenzione e di muoverla liberamente lontano da esperienze interne minacciose. Questa fase ha come scopo ultimo sviluppare una maggiore consapevolezza delle proprie capacità di scelta.

La quinta fase della terapia si concentra sull’aiutare il paziente a sviluppare nuovi scopi personali, diversi dalla gestione o soppressione degli stati interni, che possono rappresentare una guida per come muoversi nel mondo verso obiettivi concreti, una volta liberi dalla prigione generata dalle credenze metacognitive e dai processi di rimuginio.

Queste cinque fasi hanno avuto una durata stabilita di un anno al termine del quale il paziente era trasferito al sistema di cura psichiatrica della comunità di appartenenza. Questo monitoraggio costante dell’andamento rappresenta l’ultima fase dell’intervento. Una volta terminato, i pazienti venivano visitati una volta al mese presso il servizio psichiatrico di comunità, per monitorare gli eventuali cambiamenti sintomatologici durante i due anni successivi.

Tutti i 12 partecipanti hanno completato le 40 sedute previste di terapia nell’arco di un anno e il primo follow-up senza che si verificassero drop-out. Durante il secondo follow-up, a distanza di due anni, un solo partecipante è risultato non più rintracciabile.

Il trattamento è stato considerato utile e ben strutturato dai pazienti, così come da loro riportato durante un’intervista.

I risultati ottenuti hanno sottolineato una diminuzione significativa dei sintomi e delle credenze tipiche del Disturbo Borderline di Personalità, delle disfunzionalità interpersonali e dei sintomi ricollegabili allo stress post-traumatico al termine del trattamento e nei follow-up successivi. Anche i comportamenti autolesivi, seppur non presenti per tutta la durata dello studio in nessuno dei partecipanti, e i pensieri suicidari si sono dimostrati significativamente ridotti rispetto al periodo pre-ricovero.

La Terapia Metacognitiva, come si può dedurre dai risultati ottenuti nello studio riportato (Nordhal e Wells, 2019), si è dimostrata una possibile alternativa alle terapie attualmente utilizzate e validate per trattare i sintomi correlati al Disturbo Borderline di Personalità con risultati preliminari simili in termini di effetto e stabilità nel tempo. Ciò la rende meritevole di essere più approfonditamente indagata in studi futuri. Infatti, nonostante gli out-come positivi della ricerca, la scarsa numerosità del campione e l’assenza di un gruppo di controllo rappresentano un limite rilevante, in quanto non permettono la generalizzazione dei risultati.

In conclusione, gli autori sottolineano che la Terapia Metacognitiva, insieme con la presenza di un monitoraggio costante da parte di un servizio psichiatrico di comunità, ha dato esiti promettenti; nel futuro sarebbe quindi auspicabile ripetere la ricerca tramite un trial clinico randomizzato su campione più vasto e con la presenza di un gruppo di controllo.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Brazier, J. E., Tumur, I., Holmes, M., Ferriter, M., Parry, G., Dent-Brown, K., & Paisley, S. (2006). Psychological therapies including dialectical behaviour therapy for borderline personality disorder: a systematic review and preliminary economic evaluation. In NIHR Health Technology Assessment programme: Executive Summaries. NIHR Journals Library.
  • Foa, E. B., Cashman, L., Jaycox, L., & Perry, K. (1997). The validation of a self-report measure of posttraumatic stress disorder: the Posttraumatic Diagnostic Scale. Psychological assessment, 9(4), 445.
  • Horowitz, L. M., Rosenberg, S. E., Baer, B. A., Ureño, G., & Villaseñor, V. S. (1988). Inventory of interpersonal problems: psychometric properties and clinical applications. Journal of consulting and clinical psychology, 56(6), 885.
  • Kernberg, O. F., Clarkin, J. F., and Yeomans, F. E. (2002). A Primer of Transference Focused Psychotherapy for the Borderline Patient. New York, NY: Jason Aronson.
  • Linehan, M. M. (1993). Skills training manual for treating borderline personality disorder. Guilford Press.
  • Nordahl, H. M., Borkovec, T. D., Hagen, R., Kennair, L. E., Hjemdal, O., Solem, S., & Wells, A. (2018). Metacognitive therapy versus cognitive–behavioural therapy in adults with generalised anxiety disorder. BJPsych open, 4(5), 393-400.
  • Nordahl, H. M., & Wells, A. (2019). Metacognitive Therapy of Early Traumatized Patients with Borderline Personality Disorder: A Phase-II Baseline-Controlled Trial. Frontiers in psychology, 10, 1694.
  • Nordahl, H. M., Wells, A. (2009). The Emotional and Relationship Instability Scale. Trondheim, NTNU: University Press.
  • Normann, N., & Morina, N. (2018). The efficacy of metacognitive therapy: a systematic review and meta-analysis. Frontiers in Psychology, 9, 2211.
  • Topp, C. W., Østergaard, S. D., Søndergaard, S., & Bech, P. (2015). The WHO-5 Well-Being Index: a systematic review of the literature. Psychotherapy and psychosomatics, 84(3), 167-176.
  • Wells, A. (2009). Metacognitive therapy for anxiety and depression. Guilford press.
  • Young, J. E., Klosko, J. S., & Weishaar, M. E. (2003). Schema therapy: A practitioner's guide. Guilford Press.
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