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I mondi dei sordi

La sordità è una condizione vissuta in maniera differente dalle stesse persone sorde perciò non si può parlare di un solo mondo dei sordi ma di più mondi.

Di Debora Mauri

Pubblicato il 14 Giu. 2019

Aggiornato il 21 Dic. 2023 17:16

La sordità è una condizione che può essere un’importante fonte di arricchimento all’interno della nostra società, perché ciò avvenga è però necessario che sia le persone sorde sia le persone udenti stiano attenti ad evitare l’isolamento così che entrambe le culture possano favorirsi a vicenda e costituire una risorsa reciproca per tutti i loro componenti.

Debora Mauri

 

La perdita dell’udito colpisce più del 5% della popolazione mondiale (Oms, 2007). Nella nostra società, si guarda alla sordità in modi molto diversi. In alcune realtà geografiche, come ad esempio Martha’s Vineyard, Fremont e Rochester (USA), dove la popolazione sorda supera numericamente quella udente, la sordità non è vista come una patologia e la comunità è organizzata in relazione alle
determinate necessità delle persone sorde, che sono perfettamente integrate nel contesto e occupano importanti cariche sociali. In altre realtà, inclusa l’Italia, invece, la sordità diventa un handicap, nel senso che porta a serie limitazioni della vita sociale e relazionale, e l’approccio a tale condizione è principalmente sanitario, sebbene nel tempo si stia passando progressivamente verso una prospettiva di tipo educativo e pedagogico (Bacchini & Valerio, 2000; Maragna, 2008).

La sordità: un “handicap nascosto”

La sordità è un “handicap nascosto” perché non immediatamente visibile alla nascita, spesso scoperto tardivamente, nascosto dalla famiglia che deve accettare la diversità del figlio, spesso nascosto dalle stesse persone sorde divise fra la costruzione di una propria identità e l’adesione a modelli udenti, nascosto perché sconosciuto in tutte le sue implicazioni socio-psicologiche (Fabbretti, 2006).

Sono le implicazioni socio-culturali e psicologiche del deficit uditivo a fare della sordità un handicap: la percezione della sordità si realizza sempre in contrapposizione ad un modello udente dominante (Zuccalà, 1997).

È utile distinguere tra deficit ed handicap, laddove il primo implica la diminuzione di una prestazione (Mottez, 1979), mentre l’handicap rappresenta l’insieme dei limiti che la persona sorda incontra nella vita sociale, scolastica e lavorativa. Lo ribadiamo ancora una volta, sono le implicazioni socio-culturali e psicologiche del deficit uditivo a fare della sordità un handicap (Zuccalà, 1997). Nella realtà quotidiana le persone sorde vivono, a causa del loro deficit e della scarsa sensibilità alle loro esigenze, in una condizione di isolamento culturale. Nel nostro paese è comune la scarsa attenzione alle esigenze comunicative e conoscitive delle persone sorde: per esempio, è solo dal 1994 che gli studenti universitari sordi possono usufruire di servizi speciali per le proiezioni cinematografiche con sottotitoli (Zaghetto, 2012).

Oltre la disabilità, la sordità come tratto distintivo di una comunità

Quando si parla di sordità è opportuno conoscere e tenere conto diversi fattori (Schick, 2006). Gli individui con deficit uditivo rappresentano un gruppo eterogeneo, le cui differenze dipendono dal grado e tipo del deficit, dal momento dell’insorgenza, dalla personalità e temperamento dell’individuo, dalla storia famigliare e dal percorso riabilitativo scelto dai genitori (Rinaldi et al., 2015). Ciò che accomuna questi individui è l’assenza dell’udito, che porta a un sviluppo atipico del linguaggio. Ed è qui che le strade dei sordi prelinguali si dividono e imboccano due percorsi diversi poiché, come sottolinea Enrico Dolza nell’articolo Sordità: disabilità o identità” pubblicato sulla rivista Effeta del 2017 (Dolza, 2017), seguono due opposte visioni della sordità.

In un caso, la sordità è percepita come disabilità, quindi il focus è sul deficit dell’apparato uditivo, su cui bisogna intervenire con la riabilitazione, in modo da normalizzare il linguaggio e, quando possibile, con protesi, ausili e impianti, anche l’udito. Questa realtà rappresenta la visione della sordità dominante nella nostra società attuale, in cui è percepita, definita e trattata come una delle varie forme di disabilità (Dolza, 2017). È anche l’approccio più diffuso quantitativamente, poiché è la strada naturale che intraprendono i genitori udenti di bambini sordi, che sono la maggioranza, probabilmente oltre il 95% dei nati (Mitchell & Karchmer, 2004). Questo primo gruppo utilizza per definirsi molto spesso il termine “audioleso“, talvolta “non udente” o sordo con “s” minuscola.

Nel secondo caso, invece, il focus è sull’uso di una lingua alternativa, la Lingua dei Segni. La sordità tende a non essere più percepita come una disabilità, perde la sua accezione negativa e si definisce come un tratto distintivo di una comunità che deve essere riconosciuta e accettata come un esempio della grande variabilità presente negli esseri umani. In questa visione di sordità, l’attenzione è rivolta alla rivendicazione e difesa della propria specificità linguistica e identità culturale, che va protetta e preservata in quanto ricchezza dell’umanità. I sordi di questo gruppo chiedono di essere identificati con la parola sordo con la “S” maiuscola, proprio ad indicare la loro appartenenza ad un popolo, ad un gruppo linguistico minoritario (Dolza, 2017). Il senso forte di appartenenza alla comunità sorda è manifestato in modi diversi dai vari gruppi di sordi nel mondo; in Italia si è tenuta a Torino nel 2009 la Giornata Mondiale dei Sordi durante la quale due artiste sorde (Lucia Daniele e Laura Di Gioia) hanno “cantato” l’Inno alla Sordità che esprime l’essenza dell’essere sordi (in Italia):

Se i segni vivono/i Sordi sono felici./Se spieghi con i segni,/i Sordi capiscono./Se i segni aumentano,/i Sordi comunicano./Se i segni sussistono,/i Sordi esistono,/Se i segni ci sono,/i Sordi sono liberi/Se i segni si tramandano, i Sordi continuano ad esistere!

I sordi sono orgogliosi di esserlo. È questo che più colpisce. I sordi sono orgogliosi di appartenere ad una comunità. Infatti, il sordo non si percepisce come appartenente a un gruppo di disabili, ma ad un gruppo etnico (Lane, 2005) perché possiede un nome collettivo (il nome-segno, conosciuto nella comunità e che richiama caratteristiche fisiche, mentali, o di personalità dell’individuo sordo, e che può anche mutare nel tempo); ha un’eticità diversa da quella della comunità udente; i sordi hanno una cultura propria (la cultura sorda); possiedono propri costumi intesi anche nel modo di esprimersi caratteristici del mondo sordo; possiedono una loro struttura sociale (i sordi possono arrivare a ricoprire cariche importanti e riconosciute dagli altri membri della propria comunità sorda); hanno una propria lingua, creano e realizzano manifestazioni artistiche caratteristiche del gruppo (Poesia in lingua dei segni, narrazioni in Visual Vernacular, performance teatrali); possiedono una loro storia e una parentela/discendenza (Luberto, 1997; Zaghetto, 2012).

Tuttavia, questa autoaffermazione e difesa della propria sordità non sempre è compresa e conosciuta al mondo degli udenti. Infatti, come afferma Anna Folchi, ricercatrice sorda, i sordi sono una “minoranza organizzata”, con una propria lingua, propria tradizione e usi, ma, come troppo spesso accade a chi è bollato come “minoranza”, tutto ciò rimane un mondo sconosciuto agli “altri”, alla maggioranza (Folchi & Rossetti, 2007; Zaghetto, 2012). Ciò che ne consegue è una sorta di scissione tra i “due mondi”, quello dei sordi (orgogliosi di esserlo) che chiedono uguali diritti, e quello degli udenti che vedono i sordi solo come portatori di un handicap, persone da aiutare per eliminare il deficit uditivo.

Come avvicinare questi “due mondi”?

Un tentativo di avvicinamento tra i “due mondi” è rappresentato dal movimento di Sara Giada Gerini, “Facciamoci Sentire”. L’obiettivo è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della sordità e richiede i sottotitoli ovunque.

Sara è una ragazza sorda oralista che vuole far passare un messaggio preciso: la sordità non rappresenta un gruppo di disabili, ma un insieme di persone accomunate solo da un deficit sensoriale. Oltre a quello, sono tutti diversi, sono tutti dotati di una storia, di un’individualità, di una personalità e hanno vite diverse. Sara rappresenta un simbolo di orgoglio sordo, che desidera affermare la sua identità e i suoi diritti, sottolineando “le sfumature dei sordi.

Durante le mie ricerche ho scoperto e compreso che i sordi non sono tutti uguali: all’interno di questo mondo esiste grande eterogeneità: c’è chi difende l’uso della Lingua dei Segni e chi, invece, la rifiuta, optando per l’impianto cocleare. A questo proposito, non si dovrebbe parlare di “mondo” dei sordi, quanto piuttosto di “mondi dei sordi”. L’impianto cocleare è un argomento che divide: c’è chi è favorevole e lo ritiene “la soluzione”, e chi invece lo rifiuta a priori. Entrambe le posizioni sono estreme, dunque non funzionali al reale benessere della persona sorda. Infatti, se da una parte si cercasse di valutarne i possibili benefici e dall’altra si ammettessero le limitazioni, senza farla passare come l’unica soluzione, forse si potrebbe diminuire la distanza tra le due posizioni opposte e tutti ne potrebbero beneficiare.

L’obiettivo di chi cerca di “curare” il deficit con ausili tecnologici è quello di far integrare il sordo nella società, tuttavia ciò nasconde il tentativo di omologarlo alla cultura di riferimento. In altri termini, invece di valorizzare e prendere atto dell’esistenza di una cultura con tradizioni e storie proprie, rifiuta la diversità altrui. La reazione del sordo è, dunque, quella di allontanamento e chiusura, che si configura come un meccanismo di difesa per preservare la sua identità. Ne consegue una chiusura da entrambe le parti che può ostacolare la reale integrazione dell’individuo nella società. È quindi necessario che entrambi i gruppi siano aperti per evitare l’isolamento, poiché entrambe le culture possono favorirsi a vicenda e dovrebbero rappresentare una risorsa e un arricchimento per tutti i componenti.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Bacchini, D., Valerio, P. (2000). Le parole del silenzio: le problematiche emozionali della sordità infantile. Roma: Edizioni scientifiche.
  • Dolza, E. (2017). Sordità: Disabilità o identità? Effeta, 2; 34-29.
  • Fabbretti, D. (2006). La Sordità: Aspetti Clinici, Sociali, Culturali e Comunicativi. in Fabbretti, D., Tomasuolo, L. (cur.), Scrittura e sordità (pp. 39-62). Roma: Carocci editore.
  • Folchi, A., Rossetti., R. (2007). Il Colore del Silenzio – Dizionario Biografico Internazionale degli Artisti Sordi. Milano: Mondadori Electa.
  • Luberto, L. (1997). Introduzione, in Zuccalà (cur.). Cultura del Gesto e Cultura della Parola – Viaggio antropologico nel mondo dei sordi (8-13). Roma: Maltemi Editore.
  • Maragna, S. (2008). La sordità: educazione, scuola, lavoro e integrazione sociale. Milano: Hoeply.
  • Mitchell, R.E., Karchmer, M.A. (2004). Chasing the Mythical Ten Percent: Parental Hearing Status of Deaf and Hard of Hearing Students in the United States. Sign Language Studies, v4 n2 p138-163.
  • Mottez, B. (1979). Ostinarsi contro il deficit significa spesso aggravare l’handicap: l’esempio dei sordi. In Montanini Manfredi, M., Fruggeri, L., Facchini, M. (cur.), Dal Gesto al Gesto (245- 62). Bologna: Cappelli.
  • Organizzazione Mondiale della Sanità. (2007). Deafness and hearing loss.
  • Zaghetto, A. (2012). Nuove prospettive sulla produzione artistica in lingua dei segni italiana (LIS). Perugia: Guerra Edizioni.
  • Zuccalà, A. (1997). Cultura del Gesto e Cultura della Parola – Viaggio antropologico nel mondo dei sordi. Roma: Maltemi Editore.
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