Un recente studio basato sull’uso del processo di optogenetica parzialmente modificato, ha permesso per la prima volta di osservare “in diretta” l’attività dei neuroni. Le applicabilità sono enormi. Questa tecnologia apre una nuova finestra che potrebbe avere un effetto trasformativo nell’ambito delle neuroscienze.
Per anni gli scienziati hanno cercato un modo per osservare la sparsa ed intricata attività neurale in tempo reale, il pattern spazio-temporale dei potenziali d’azione che forma le basi della complessa rete di attività del nostro cervello.
Le modalità con cui questi eventi elettrici iniziano e sono propagati dipendono dalle sparse oscillazioni nei potenziali di membrana
dei neuroni, ovvero la differenza di potenziale fra l’interno e l’esterno della cellula derivante dall’integrazione dei segnali a livello dell’albero dendritico che, superando la soglia critica, permette la depolarizzazione.
Usando coloranti sensibili al potenziale è possibile ottenere un valore lineare dell’attività di ampie popolazioni di neuroni, ma la tecnica è limitata dal fatto di non poter selezionare specifiche categorie cellulari. Ciò rappresenta un ostacolo importante, poiché cellule adiacenti hanno spesso funzioni distinte. I metodi di misurazione diretti più usati rientrano nella categoria dei whole-cell patch clamp, in cui un elettrodo a vetro, contenente un fluido conduttivo e un filamento metallico, viene fissato sulla membrana, che viene poi aperta tramite aspirazione in modo da permettere l’accesso allo spazio intracellulare al sensore. Queste registrazioni, però, vengono effettuate su una cellula alla volta e non sono quindi un metodo efficacie per misurare l’attività correlata delle reti neurali.
Optogenetica: di cosa si tratta?
L’ optogenetica è considerata una tecnica promettente per sopperire a queste limitazioni in quanto consente lo studio di diversi tessuti, generalmente neuroni, modificati in modo da esprimere canali ionici sensibili alla luce.
Il processo è ottenuto inserendo il gene che codifica per i fotorecettori in un virus, il quale infetterà determinati neuroni dell’ospite in modo che esprimano le proteine di membrana fotosensibili. Il vettore virale può essere programmato in modo da riprodursi solo in cellule con determinate caratteristiche molecolari, in modo da poter studiare specifiche tipologie di neuroni. I geni così trasmessi codificheranno per indicatori di voltaggio e attuatori optogenetici. I primi sono in grado di produrre un segnale ottico misurabile, come l’emissione di fosforescenza, in risposta ai cambiamenti elettrici della cellula; i secondi possono modificare il potenziale di membrana in base allo spettro elettromagnetico e quindi al colore, della luce con cui vengono a contatto.
Comunque, le limitazioni di velocità e sensibilità degli indicatori di voltaggio geneticamente codificati e la sovrapposizione di spettro fra questi e gli attuatori optogenetici hanno impedito di costruire un sistema elettrofisiologico geneticamente codificato per la misurazione dell’attività di cellule specifiche, libero da interferenze, sul modello animale. Questo limite, però, potrebbe essere stato superato.
Oltre i limiti dell’ optogenetica: potenzialità e prospettive future
Il dottor Yoav Adam e colleghi (2019) hanno recentemente sviluppato un processo, basato su microscopia a fluorescenza ad alta velocità e su uno schema di espressione genica mirato di ultima generazione, che ha permesso una simultanea registrazione delle dinamiche del voltaggio transmembrana sotto e sopra soglia in diversi neuroni dell’ippocampo di topi svegli che camminavano su un tapis roulant.
I ricercatori hanno inserito nelle cellule dell’ippocampo delle cavie un’archeorodopsina, una proteina recettoriale fotosensibile trovata negli archeobatteri che è un indicatore di voltaggio, veloce e sensibile in vitro, chiamato QuasArs 3. Questo fotorecettore geneticamente codificato è, fra tutti, quello che risponde alla radiazione elettromagnetica con la lunghezza d’onda più alta. Viene eccitato dalla luce rossa ed emette una fluorescenza quasi infrarossa. Per controllare il potenziale di membrana hanno invece utilizzato il fotorecettore CheRiff, una rodopsina, ovvero una proteina fotosensibile in grado di cambiare il tasso di neurotrasmettitore rilasciato, che si attiva a contatto con la luce blu (che ha breve lunghezza d’onda).
I risultati mostrano dettagli subcellulari dei cambiamenti sottosoglia del potenziale di membrana in cellule multiple in tempo reale, riuscendo allo stesso tempo ad eccitare ed inibire optogeneticamente gli input sinaptici con un’interferenza minima. Il tutto per diversi giorni.
I ricercatori hanno visto per la prima volta neuroni lampeggiare in diretta in un animale sveglio ed attivo. Lo studio sembra dunque aver trovato uno strumento per trasformare la sparsa attività elettrica dei vari circuiti cerebrali in un “film” visibile attraverso un microscopio. Le applicabilità sono enormi. Questa tecnologia apre una nuova finestra che potrebbe avere un effetto trasformativo nell’ambito delle neuroscienze.