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Antropologia del dono. Dal dono alla relazione

Antropologia del dono: in diverse società antiche il dono ricopriva un ruolo importante all'interno delle relazioni, ben oltre il dare-ricevere-ricambiare

Di Mariano Indelicato

Pubblicato il 15 Apr. 2019

Aggiornato il 27 Giu. 2019 11:23

Quante volte nel corso della nostra vita ci siamo trovati a scegliere un regalo, a dedicare tempo agli altri e a essere compiaciuti nell’immaginare la felicità dell’altro di fronte al nostro dono.

 

Adorno scrive che

la vera felicità del dono è tutta nell’immaginazione della felicità del destinatario: e ciò significa scegliere, impiegare tempo, uscire dai propri binari, pensare l’altro come un soggetto..

In sostanza, donare, per dirla con Mauss, vuol dire creare una relazione con l’altro.

Nel famoso saggio Essai sur le don (1922), egli sostiene che il dono nelle società arcaiche e primitive rappresenterebbe lo scambio, libero e non costrittivo, attraverso il quale si creerebbero le relazioni non solo tra singoli individui ma dell’intera società. Lo scambio di doni inteso come l’alternarsi tra il dare e il ricevere, senza la stipula di nessun contratto di tipo economico e commerciale, porta alla nascita delle relazioni sociali e al mantenimento del sistema sociale.

Il dono tra i pastori sardi della parradura

A tal proposito, voglio portare ad esempio una pratica tipica delle comunità della Sardegna definita paraddura che era una modalità solidale con cui i pastori facevano fronte a situazioni di emergenza. Nel momento in cui un gregge era colpito da un’epidemia o qualsiasi altro evento distruttivo non dipendente dalla volontà del proprietario, tutti gli altri pastori donavano, allo sfortunato pastore, una pecora giovane in modo che si potesse ricostituire il gregge. Tale gesto era effettuato nella speranza e nella fiducia che l’incolpevole pastore in casi simili si comportasse allo stesso modo.

Paolo Carboni ne “Il tema del dono nella letteratura di viaggio e nella demologia sulla Sardegna tra Ottocento e Novecento” riporta la descrizione della paraddura di Padre Bresciani, un viaggiatore che visitò la Sardegna nell’800:

Voi dovete sapere che nelle Marghine, nel Goceano, nella Barbagia e nella Gallura, luoghi ov’ha molti pastori di vacche, di pecore e di montoni, incontrano alcuni accidenti che disertano i bestiami; siccome una larga caduta di neve in sui monti, o una pestilenza, od altre sciagure. La onde alcuna volta interviene che un pastore agiato di molti capi di bestie perde a mano a mano la mandria, e cade in povertà. Il che suol accadere alcuna volta anche per liti domestiche, per avidità de procuratori, per crudeltà degli avversari, per vendetta di qualche nimico, e per rapina di ladroni. Ed ecco il pover’uomo con molta famiglia di figliuoli venuto nell’inopia, e non aver luogo d’uscirne, ove il lodato animo e generoso de suoi consorti, amici e conoscenti non gli afferissero via di ristorare la scaduta fortuna. Veduto il loro paesano in quello stremo, s’adunano a consiglio i buoni uomini del contorno, e discorrono i modi di sovvenirle. Indi, convenuti fra loro in sul partito da usare, chiamano il pastore tapino, e consolatolo di buone parole, e bevuto un tratto alla sua salute, ciascuno gli presenta in dono una vitella del suo armento, e pregandogli da Dio ogni buona ventura, il rimandano colla novella torma raccogliticcia alle sue capanne. Di che il poverello del pastore, donde poverissimo partito s’era il mattino, ritorna se non ricco, almeno bastevolmente fornito di venti e sin trenta capi di bestie. Intanto il pastore, fatto miglior massaio, procura il suo gregge con ogni sollecitudine, e d’anno in anno, favorendolo Iddio, accresce la sua mandria per guisa da tornare alla prima agiatezza. Né egli professa altr’obbligo ai donatori, che quello d’esser presto, ov’altri cada in bisogno, di  porgere quel ristoro ch’ei ricevette dall’altrui liberalità.

Non vi è dubbio che il dono dei pastori sardi non era solo un gesto di solidarietà ma serviva anche a mantenere in equilibrio il sistema economico e sociale. Il pastore che si trovava senza gregge doveva pur sfamare la famiglia e, quindi, poteva prendere strade diverse come quella di rubare il bestiame.

Una comunità si fonda sui legami e, per dirla con Cigoli, nel mondo di questi ultimi vi è un triangolo sacro che a che fare con fiducia, speranza, giustizia. Sono i tre elementi presenti nella paraddura: la speranza e la fiducia che il gesto sia ricompensato alla prossima occasione; l’eticità del gesto sia sul versante economico sia su quello sociale (giustizia).

Il dono nelle società primitive amerinde

Se il dono crea legami, vuol dire che cura l’incontro con l’altro che non è necessariamente un tu ma l’intera collettività. Mauss, sulla base degli studi svolti presso alcune società primitive amerinde della costa nord-occidentale del pacifico degli Stati Uniti e del Canada, osservò che queste tribù (Haida, i Tlingit, i Tsimshian, i Salish, i Nuu-chah-nulth e i Kwakiutl) praticavano una cerimonia rituale chiamata potlach. Tale cerimonia consisteva in un banchetto a base di carne di foca o di salmone in cui erano distrutti i beni considerati effimeri mostrando così la potenza alle tribù ospitate che, a loro volta, erano costrette a eseguire lo stesso comportamento nel momento in cui organizzavano loro il potlach. Inoltre, durante la cerimonia avvenivano molti scambi di doni che spesso erano distrutti nel momento stesso in cui erano donati, come ci informa F. Boas nei suoi studi sugli indiani Kwakiutl (1987). Il potlach, comunque, non serviva esclusivamente a mostrare la propria potenza economica alle altre tribù ma anche ad affermare la posizione gerarchica dei vari membri che attraverso la distruzione di beni considerevoli mostravano il loro rango. Era, infatti, una sorta di gara al fine di mostrare il proprio valore economico. Ciò che colpisce in questa pratica è che la propria potenza economica o rango sociale non è mostrata attraverso l’accumulo di beni e possedimenti, come avviene nelle società occidentali fondate sulla legge di mercato, ma attraverso ciò che Mauss definisce l’economia del dono. Infatti, la caratteristica principale del potlach è la distruzione dei beni, mentre nelle moderne società capitalistiche e fondate sulle economie di mercato è il mostrare i beni e i possedimenti. Pensiamo per un attimo alla griffe di moda o ai gioielli con cui si accompagnano le signore a ogni uscita pubblica e, ancora, alla cura con cui si scelgono gli abiti delle migliori sartorie. In sostanza nel potlach si deve dare per mostrare la propria potenza, nelle società postmoderne e capitalistiche, al contrario, si deve accumulare.

Il dono e il donare come dare-ricevere-ricambiare

Prima di Mauss, Malinowski nel suo famoso saggio “Gli Argonauti del Pacifico Occidentale” (1922) descrive un cerimoniale di scambio di doni simbolici da parte degli abitanti delle isole Trobiand. Essi percorrevano migliaia di chilometri in canoa per scambiarsi collane di conchiglie rosse e braccialetti di conchiglie bianche. Il rituale prevedeva dei giri a cerchio per cui quelli provenienti da nord portavano collane e quelli provenienti da sud braccialetti, in modo che lo scambio era sempre di una collana per un braccialetto e viceversa. I due oggetti secondo la tradizione locale erano impregnati di significati magici e avevano una forte influenza sugli spiriti del mare e delle spiagge. Lo scambio di doni produceva sul piano strettamente pratico, anche se non voglio tralasciare il potere magico del dono, lo stabilirsi di un rapporto di fiducia reciproca attraverso la quale avveniva anche uno scambio di prodotti materiali come indumenti, cibo e altro ancora.

Per andare a giorni più vicini a noi, si fa per dire, anche Cristoforo Colombo o gli altri conquistatori del nuovo mondo portavano dei doni per creare dei legami amicali con le popolazioni indigene.

Gli studi di Mauss, infatti, hanno come scopo la ricerca dei principi su cui si fondano le società e lo individua nella pratica del dono che è in grado di realizzare una relazione libera e obbligatoria nello stesso tempo.

Egli sostiene che il dono contiene tre caratteristiche fondamentali: “dare, ricevere, ricambiare” e mostra come i tre fondamenti del dono fossero essenzialmente obbligatori all’interno delle comunità primitive da lui studiate. Si deve “dare” per mostrare la propria potenza, la propria ricchezza; si è nell’obbligo di “ricevere”, cioè non si può rifiutare il dono, pena la scomunica della comunità e il disonore; si deve “ricambiare”, cioè restituire alla pari o accrescendo ciò che si è ricevuto: restituire meno di ciò che si è ricevuto, è un’offesa al donatore.

Il dono comporta un dare e un ricevere ed anche un contraccambiare che è già insito nella stessa etimologia del termine.

Il dono e il donare: l’etimologia del termine

Stefania De Donatis (2005), riprendendo Benveniste (1971), fa rilevare che nelle lingue indoeuropee il significato di «dare» è espresso dalla radice dô. In seguito, uno studio sul verbo ittita «dâ», che avrebbe significato di «prendere» e non quello di «dare», ha generato un po’ di confusione in merito a questa delicata quanto interessantissima questione linguistica: quale tra questi due verbi doveva essere l’originale? Prendendo in considerazione il termine stesso di «dono», è possibile notare che questo, pur mantenendo in generale la radice «dô», si differenzia in forme nominali che acquistano significato variabile secondo il contesto. Queste sono: dôs, dósis, dôron, dôreá, dôtínê, cinque parole tra loro distinte, ma tutte uniformemente traducibili con «dono, regalo».

La prima, dôs, è il modo più semplice di esprimere il dono, l’idea del dono, cioè, nella sua forma più astratta: «donare è bene, sottrarre è male» si legge in Esiodo. Dósis è, invece, l’atto del donare suscettibile di attuarsi in dono, è il dono in potenza, è il dono promesso in anticipo come ricompensa di un atto di audacia. È possibile scorgere in questo caso l’indiretto riferimento a entrambi i significati della radice verbale dôs: infatti, perché si possa rendere concreto il dono promesso (affinché si possa dare), deve essere esaudita la condizione di partenza, si deve, cioè, ricevere qualcosa in cambio (si deve poter prendere). Dôron e dôreá presi insieme, indicano, il primo, il dono materiale, il dono stesso, il secondo, il fatto di portare, di destinare in dono, l’azione di donare che si dispiega in forma gratuita e senza obbligo di ricambiare. Dôtínê, infine, indica il dono che obbliga a un controdono; la dôtínê ha lo scopo di provocare un dono in cambio, qualcosa che compensi un dono precedente. Tale nozione consiste, dunque, nell’attualizzazione dell’idea di reciprocità, di rapporto, di scambio, nella circolazione di doni che ricambiano e che chiedono d’essere ricambiati. La parola dôtínê, più delle altre, ha chiaro nel suo significato il concetto di scambio reciproco esplicitato sotto forma di patti, alleanze, amicizie, ospitalità.

Il dono e la sua forza magica

Un’altra caratteristica insita nel dono e individuata da Mauss è il mana. In sostanza egli sostiene che il dono è dotato di un forte potere magico nello stabilire la relazione con l’altro o gli altri. Il termine mana è di origine malenisiana e in generale è tradotto come “forza sovrannaturale”, “potere spirituale”, “efficacia simbolica” e può essere tradotto con “forza vitale”. Nelle hawaii il termine mana assume il significato di “forza che viene da dentro”.

Mircea Eliade (7) (1948), nel suo “Trattato di Storia delle Religioni” sostiene che il mana è insito nella corporeità delle cose: per l’uomo arcaico un oggetto animato o inanimato che sia nel momento in cui si manifesta è dotato di una sua forza vitale. Il dono ha una sua forza vitale che gli dà il potere di stabilire il legame con l’altro.

Questa forza magica insita nel dono ci darà in appresso la possibilità di parlare del legame e del mito che spesso è stato analizzato e vissuto come potere sovrannaturale e magico.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Adorno, T. (1951), Minima Moralia. Meditazioni sulla Vita Offesa . Suhrkamp, Frankfurt am Main (trad. it. di Renato Solmi, Minima moralia. Meditazioni della vita offesa, Einaudi, Torino 1994)
  • Mauss, M. (1923-1924), Essai sur le don. Forme et raison de l'échange dans les sociétés archaïques. L'Année Sociologique ( Trad. it. Saggio sul dono.Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche, Piccola biblioteca Einaudi Ns, Torino, 2002)
  • Carboni, P. (2006) Il tema del dono nella letteratura di viaggio e nella demologia sulla Sardegna tra Ottocento e Novecento. from https://www.academia.edu/3261049/Il_tema_del_dono_nella_letteratura_di_viaggio_e_nella_demologia_sulla_Sardegna_tra_Ottocento_e_Novecento
  • Cigoli, V. (1992) , Il corpo familiare. L’anziano, la malattia, il passaggio generazionale. Milano: Franco Angeli
  • Cigoli, V. ( 2000) , Il famigliare . Milano: Raffaello Cortina Editore
  • Cigoli, V. (2006), L’albero della discendenza. Clinica dei corpi familiari. Milano: Franco Angeli
  • Cigoli, V. (2012), Il viaggio iniziatico. Milano: Franco Angeli
  • Boas, F. (1911),  Handbook of American Indian Languages, Smithsonian Institution. (Trad. it. Cardona, G.R., Introduzione alle lingue indiane d'America, Universale Scientifica Boringhieri, Torino, 1979)
  • Malinowski, B. (1922) Argonauti del Pacifico occidentale. Riti magici e vita quotidiana nella società primitiva (Trad. it. Ita, Arioti M. Bollati Boringhieri , Torino , 2011)
  • De Donatis, S. (2005), Antropologia filosofica del dono: uno scambio «simbolico» , from: https://mondodomani.org/dialegesthai/sdd01.htm
  • Eliade, M. (2008), “Trattato di Storia delle Religioni”. Torino: Bollati Boringhieri
Note sugli autori citati nell'articolo:
  • Theodor Adorno in Minima Moralia. Meditazione della vita offesa (1951) sostiene che “gli uomini disapprendono l'arte del dono. C'è qualcosa di assurdo e incredibile nella violazione del principio di scambio; spesso anche i bambini squadrano diffidenti il donatore, come se il regalo non fosse che un trucco per vendere loro spazzole o sapone”. Il libro scritto durante il suo esilio negli Stati Uniti è contraddistinto da una forte critica alla società tardo-industriale e in contrapposizione alle teorie di Nietzsche sulla “gaia scienza” che Adorno definisce la “triste scienza”. L’epigramma che apre il libro – “la vita non vive” – illustra in maniera esemplare ciò che sono le intenzioni dell’autore. Infatti, egli sostiene che una vita onesta non è più possibile perché viviamo in una società inumana. L’unica possibilità che egli intravede per uscire dallo stato sociale attuale è il recupero dei principi giudaico-cristiani e illuministi della redenzione.
  • Paolo Carboni rilegge gli scritti dei grandi viaggiatori dell’800 e dei primi anni del ‘900, mettendoli in relazione con le teorie di Mauss e Godbut sul dono. Mentre le teorie degli antropologi suoi predecessori nascono con lo studio delle società arcaiche nordamericane, egli trova nei rituali e nelle pratiche dei sardi il valore di legame che assume il dono nella formazione delle comunità arcaiche.
  • Vittorio Cigoli, professore emerito dell’Università Cattolica “S. Cuore” di Milano e autore di varie opere, sarà più volte citato in questo lavoro per i suoi studi sulle relazioni familiari e per l’elaborazione del modello di clinica dei corpi familiari cui modestamente questo lavoro si rifà. Tra i suoi lavori possiamo citare: “Modelli d’interazione familiare” (Franco Angeli – Milano – 1977); “Psicoanalisi e ricerca sui sistemi in terapia familiare” (Franco Angeli – Milano – 1983); “Il legame disperante” (Raffaello Cortina Editore – Milano – 1988); “Il corpo familiare. L’anziano, la malattia, il passaggio generazionale” (Franco Angeli – Milano – 1992); “Il famigliare” (Raffaello Cortina Editore – Milano – 2000); “La famiglia di origine” (Franco Angeli – Milano – 2003) “L’albero della discendenza. Clinica dei corpi familiari” (Franco Angeli – Milano – 2006); “Il viaggio iniziatico” (Franco Angeli – Milano – 2012).
  • Franz Boas, considerato il caposcuola dell’antropologia americana, applicava nei suoi studi il metodo induttivo basato su tre punti essenziali: 1. Osservazioni diretta dei fatti concreti; 2. Raccolta e analisi dei dati; 3. Elaborazioni di teorie e leggi. Studiò in maniera particolare il potlach negli abitanti dell’America nord-ovest. Elaborò la teoria del relativismo culturale poiché egli sosteneva che ogni cultura va vista nella sua specificità e all’interno del suo contesto di sviluppo. I suoi allievi, tra cui la famosa antropologa Margaret Mead, realizzarono dopo la sua morte alla “Scuola Antropologica di Cultura e Personalità” attraverso la quale sostennero che la cultura è un sistema comportamentale che caratterizza un ambiente sociale ed è trasmesso attraverso l’inculturazione generazione dopo generazione
  • Stefania de Donatis: dottore di ricerca in Psicologia di comunità presso l'Università degli Studi di Lecce.
  • Emile Benveniste (1902 – 1976) linguista e accademico francese.
  • Mircea Eliade (1907 – 1986), è considerato uno dei più grandi studiosi di storia delle religioni del ‘900. Per Eliade la cultura è caratterizzata dall’autonomia del sacro, del mitico e del simbolico attraverso i quali possono essere trovati all’origine i tratti comuni. Al pari di Adorno lamenta che il declino dei principi giudaico-cristiani ha portato a una società degradata e corrotta. Egli crede che i principi sacri del convivere civile possano essere trovati nello studio delle società arcaiche la dove si trovano anche importanti riferimenti per analizzare e spiegare la società moderna. E’ nel sacro, nel mitico e nel simbolico che vanno trovati i riferimenti dell’azione umana
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