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Una riflessione sulla neurobiologia dell’individualità a partire dall’ambiente

L'enrichment environments spiega le differenze interindividuali come risultato dell’interazione tra aspetti neurobiologici-genetici e ambiente di sviluppo.

Di Enrica Gaetano

Pubblicato il 05 Mar. 2019

Cosa ci rende individui unici, ineguagliabili, diversi gli uni dagli altri?

 

Questa è da sempre stata la domanda che fin dai primordi ha caratterizzato la ricerca psicologica sperimentale, la quale ha realizzato nel tempo diversi paradigmi, setting di laboratorio e metodologie sperimentali sempre più strutturate, valide e controllate, per poter individuare nel dettaglio quelle variabili e quei meccanismi che potessero contribuire alla caratterizzazione della variabilità interindividuale e che potessero altresì investigare le interazioni tra questi generando dei modelli appropriati per la loro spiegazione.

Semplificando la complessità e l’enorme quantità di ricerche in questo ambito, fin da subito, tra gli elementi caratterizzanti e definenti in sostanza l’individualità e la personalità, è stata identificata ed enfatizzata come cruciale l’interazione tra gli aspetti (neuro)biologici-genetici e l’ambiente di sviluppo e di vita nella sua complessità per la definizione dei suoi effetti finali sul fenotipo (Kempermann, 2019).

Il paradigma degli “ambienti critici” o enrichment environments (ENRs)

Un paradigma sperimentale centrale, utilizzato inizialmente sugli animali per l’esplicazione e l’approfondimento di tale interazione, è quello degli “ambienti arrichiti” o enrichment environments (ENRs), definiti dal suo ideatore Mark Rosenzweig come degli ambienti caratterizzati da una combinazione di maggiori stimolazioni multimodali, inanimate e sociali rispetto ad un ambiente standard (Rosenzweig & Bennet, 1996).

L’aspetto centrale di questo paradigma riguarda il fatto che animali, topi o ratti, geneticamente identici si espongano e possano esplorare gabbie più grandi con la presenza di altri animali simili e altri strumenti da poter utilizzare come scalette, nascondigli e altri percorsi spaziali più complessi e alternativi che richiedono una navigazione più accurata; in questo paradigma classico gli effetti fisiologici e comportamentali misurati nella gabbia “arricchita” per un periodo di tempo ben definito venivano poi confrontati sia con quelli ottenuti da animali in gabbie standard meno popolate e stimolanti sia con quelli ottenuti dagli stessi animali osservati nella gabbia standard prima di poter esplorare quella arricchita. Ciò ha reso possibile sia le analisi longitudinali sugli effetti dell’esposizione ad ambienti ENR sia le valutazioni delle traiettorie di sviluppo degli animali grazie anche al contributo di informazioni provenienti dalla neurobiologia sulle modificazioni cerebrali funzionali osservate nel cervello di questi.

Nel corso del tempo a questi dati si sono poi affiancati studi prettamente comportamentali rappresentati dal paradigma ENRs, giungendo ad un nuovo e più aggiornato paradigma che ha posto il suo focus non più su un’eredità (biologica) “arricchita” ma su una plasticità cerebrale “arricchita” come descritto da Kempermann sulla recente Opinion pubblicata su Nature Review Neuroscience (2019).

Crescenti evidenze tra le quali lo studio di Rampon, Jiang e colleghi (2000) sottolineano infatti come l’ENR abbia dei significativi effetti su più livelli a partire da quello molecolare-genetico e cellulare, in particolare rappresentato da una maggiore proliferazione e genesi cellulare a seguito dell’impatto di questi aspetti ambientali sulla modulazione dei processi biochimici quali per esempio neurotrasmettitori, fattori neurotrofici, ormoni e fattori immunitari fino ad arrivare a quello comportamentale-sociale.

Per quanto riguarda le modificazioni indotte da ENR a livello molecolare e cellulare, quelle epigenetiche e relative all’espressione genica sono le più interessanti, osservate soprattutto nelle generazioni di topi nati successivamente al gruppo animale sottoposto ad ambienti ENR: è stato infatti evidenziato come la maggiore neurogenesi e plasticità sinaptica dei network cerebrali sottostanti i sistemi sensorimotori, affettivi e cognitivi, presente nei “genitori”, fosse stata ereditata dalle generazioni successive ad esse (Maruoka, Kodomari et al., 2009).

Nello specifico è risultato evidente come tra gli effetti più rilevanti ed esemplificativi determinati dallo sviluppo in ambienti ENR vi fosse un incremento in età adulta della neurogenesi delle cellulle ippocampali e delle loro connessioni a livello del giro dentato, con conseguente aumento delle abilità dell’animale nell’integrazione di nuovi contenuti a conoscenze già preesistenti con maggior flessibilità, un aumento dei tempi nell’apprendimento spaziale e nella memoria, oltre che una maggiore capacità di recupero a seguito di deterioramenti; il tutto a suggerimento del fatto che ambienti di sviluppo multisensoriali e stimolanti abbiano effetti anche a lungo termine e sul fenotipo, come dedotto dai comportamenti osservati negli animali (Freund, Brandmaier et al., 2013).

Limiti e Prospettive future

Nonostante il paradigma ENR sia stato classicamente considerato come situazione sperimentale nella quale è stato possibile studiare gli effetti dell’ambiente sul fenotipo, dato un retroterra genetico fisso (vedi studi sui gemelli), tuttavia questo approccio per quanto riguarda lo studio della variabilità interindividuale non è in grado di cogliere o controllare, soprattutto negli umani, quegli aspetti dovuti all’impatto degli ambienti di vita non-condivisi da animali con identico patrimonio genetico.

In questa visione, il comportamento individuale infatti è sia conseguenza di ambienti arrichiti, come descritto poc’anzi, ma anche causa degli ambienti stessi in quanto esso è a sua volta in grado di modificare e determinare modificazioni nell’ambiente; date queste evidenze, è necessario quindi che l’attuale modello teorico sia maggiormente bidirezionale e contempli al suo interno anche il concetto di “ambienti non condivisi”, in quanto per comprendere il modo in cui l’animale risponde all’ambiente nel tempo e nella sua complessità, è necessario che la costruzione dell’ambiente da parte dell’animale sia considerata attiva e che non sia semplicemente da intendersi vissuta in modo passivo da quest’ultimo (Kempermann, 2019).

Quest’evoluzione del paradigma dei ENR appena descritta è in continua trasformazione: in essa l’ambiente “arrichito”, che potenzia il processo che porta allo sviluppo delle strutture e delle funzioni cerebrali, dà avvio a nuovi comportamenti che a loro volta influiscono nel lungo termine sulle strutture stesse, responsabili della messa in atto di azioni nuove in futuro, che alterano l’ambiente a chiusura del circolo.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Freund, J., Brandmaier, A.M., Lewejohann, L., Kirste, I., Kritzler, M., Krüger, A., Kempermann, G. (2013). Emergence of individuality in genetically identical mice. Science, 340(6133), 756-759.
  • Kempermann, G. (2019). Environmental enrichment, new neurons and the neurobiology of individuality. Nature Reviews Neuroscience, 1.
  • Maruoka, T., Kodomari, I., Yamauchi, R., Wada, E., Wada, K. (2009). Maternal enrichment affects prenatal hippocampal proliferation and open-field behaviors in female offspring mice. Neuroscience letters, 454(1), 28-32.
  • Rampon, C., Jiang, C. H., Dong, H., Tang, Y. P., Lockhart, D. J., Schultz, P. G., Hu, Y. (2000). Effects of environmental enrichment on gene expression in the brain. Proceedings of the National Academy of Sciences, 97(23), 12880-12884.
  • Rosenzweig, M.R., Bennett, E.L. (1996). Psychobiology of plasticity: effects of training and experience on brain and behavior. Behavioural brain research, 78(1), 57-65.
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