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Digital biomarker: si potrà prevedere l’umore con la tecnologia?

Digital biomarker: fioriscono gli studi ed i nuovi dispositivi che consentirebbero, in futuro, di prevedere anche l'andamento dell'umore. Quali i rischi?

Di Enrica Gaetano

Pubblicato il 26 Nov. 2018

Digital biomarker: sono ormai numerosi e sempre più accurati i device, gli strumenti tecnologici indossabili come braccialetti e smartwatch, le applicazioni e i software utilizzati per raccogliere e registrare in tempo reale e in modo continuo e simultaneo informazioni circa gli stati emotivi e fisiologici, i comportamenti e i pensieri che naturalmente e nel quotidiano si presentano.

 

Basti pensare allo smartwach embrace 2, sviluppato dalla compagnia EMPATICA e approvato dalla FDA, in grado di analizzare dati fisiologici come l’attività elettrotermica per prevedere l’avvento di una crisi convulsiva in persone che soffrono di attacchi epilettici e poter preavvertire i loro caregiver in tempo reale.

Lo sviluppo di questo tipo di device che rilevano i digital biomarker e l’applicazione di sistemi di machine learning in dispositivi come lo smartphone stanno aprendo nuovi orizzonti che non riguardano esclusivamente il monitoraggio delle crisi convulsive ma che apre alla valutazione in tempo reale del benessere psicofisiologico degli individui che fanno uso di questi, tramite la registrazione di informazioni emotive, comportamentali, cognitive, sociali con un grado sempre maggiore di accuratezza (Kaplan, 2018), con l’idea di poter costruire un modello di funzionamento dei soggetti analizzati e prevedere di conseguenza eventuali abbassamenti del tono dell’umore, episodi di vulnerabilità o malessere emotivo o condizioni di stress prolungati.

Digital biomarker: lo studio del gruppo Affecting Computing del MIT

Il gruppo di lavoro dell’Affecting Computing del Massachussets Institute of Techonology, in associazione con l’Harvard Medical School, dal 2013, è infatti impegnato nell’ incremento e nell’evoluzione di nuovi software installati sugli smartphone di 300 studenti in grado di misurare la loro attività fisica, la quantità di luce alla quale giornalmente sono esposti, la loro temperatura corporea e l’attività elettrotermica per circa 30 giorni.

Oltre a ciò, il dispositivo ha registrato e integrato dati relativi alla frequenza delle loro chiamate telefoniche, dei messaggi inviati, dell’uso di internet, delle interazioni tramite social network e dati relativi alla qualità e alla quantità di ore di sonno giornaliere, allo stress autoriportato, all’eventuale irrequietezza o agitazione notturna, al loro consumo giornaliero di caffeina e alcol (Sano, Picard et al., 2015).

Affinché sia possibile utilizzare i dati psicofisiologici – digital biomarker – registrati e poterli utilizzare in un ambito prettamente clinico per identificare e prevenire episodi depressivi o rischi suicidari in soggetti emotivamente vulnerabili, la compagnia di Palo Alto, la Mindstrong Health, ha riportato dati relativi a come le persone toccano, digitano e scorrono sui propri smartphone per individuare i cambiamenti nelle loro funzioni neurocognitive identificando i digital biomarker da poter utilizzare come indici affidabili e accurati per una misurazione cognitiva e determinare un “fenotipo digitale” della persona caratterizzato da informazioni su cognizione, comportamento e umore (Dagum, 2018).

Digital biomarker: il potenziale futuro

A parere della compagnia, in futuro, sarà possibile tramite trial clinici utilizzare i digital biomarker per la valutazione e la diagnosi di schizofrenia e forme di depressione resistenti al trattamento, partendo dall’idea audace di incorporare la misurazione delle interazioni con il touchscreen all’interno del sistema digitale di cura e salute mentale (Kaplan, 2018).

Tuttavia vi sono anche nascenti preoccupazioni sull’impatto psicologico che queste tecnologie che forniscono digital biomarker potrebbero avere sull’esistenza delle persone in quanto l’eventuale previsione dell’umore potrebbe avere conseguenze sull’umore stesso, come affermato dalla psicologa Barbara Fredrickson dell’Università del North Carolina, per la quale una previsione negativa del proprio umore potrebbe in qualche modo determinare un suo ipermonitoraggio da parte della persona e attivare così tutta una serie di processi emotivi e di credenze che potrebbero ulteriormente acuire il malessere, senza un’adeguata e opportuna gestione da parte di un professionista (Kaplan, 2018).

Nonostante ciò, questi supporti tecnologici possono

[…] aiutarci a identificare e prevedere per tempo molte piccole cose che, accumulandosi, possono appesantirci e farci cadere in uno stato doloroso; con queste tecnologie possiamo fare la differenza.

(Rosalind Picard, ingegnere informatico al MIT, direttrice del dipartimento di Affecting Computing)

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