Tutte le estati nuoto nello Jonio. Cammino tra dune, ginepro, finocchio spinoso e sbriciolo origano, profuma. Poi mi tuffo. È l’inizio di settembre, quest’anno per la prima volta incontro una tartaruga. È grandissima. L’avvicino, mi guarda, in pochi secondi è fuori portata. Da quale mondo antico e senza tempo è arrivata?
Articolo scritto da Giancarlo Dimaggio per il Corriere della Sera il 15/09/2018
Forse lo stesso che ha scorto il soldato che accoglie il nuovo superiore a Guadalcanal nel film La sottile linea rossa. Gli deve fornire la mappa della situazione, con i giapponesi le cose sono complicate, dal bunker in cima alla collina sparano come dannati. E gli dice: “Hanno pesci che vivono sugli alberi”. Sono in guerra, molti moriranno, ma dalla sua voce erompe lo stupore di chi scopre una natura oltre quello che poteva concepire. La trascendenza. Boris Cyrulnik nel suo La psicoterapia di Dio evoca due vulcanologi, Katia e Maurice Krafft, morti “il 3 giugno1991, quando una colata di lava incandescente li ha raggiunti sulle pendici del monte Uzen”. La coppia sapeva che il loro amore per i vulcani un giorno li avrebbe sopraffatti, ma erano felici. La lava che erutta apriva loro uno squarcio sull’altrove.
Cyrulnik ha lavorato in uno scenario di foreste e massacri: il Congo, in una pausa tra le guerre. Quei posti dove ti chiedi più facilmente dov’è Dio: nella bellezza della natura o perso nel fragore delle raffiche di un Uzi? Ha parlato con bambini-soldato, dodici anni e già vecchi. Uno di loro da grande vuole fare il calciatore o l’autista, ha visto le macchine, ai suoi occhi spettacolari, delle ONG. Quel bambino gli chiede perché solo in chiesa veda immagini belle, invece di quelle spaventose che lo inondano senza requie. Cyrulnik si accorge di non avere una risposta, il bambino è deluso. La psicoterapia di Dio è il suo tentativo di sanare quell’animo. La sua domanda diventa: come può un’istanza eterna agire fin dentro il cervello? Da credente, ha trovato la sua spiegazione.
Si appoggia alla teoria dell’attaccamento, formulata da quel pilastro della psicoterapia che è stato John Bowlby. Il bambino nasce e immediatamente per ogni dolore, bisogno ha l’istinto a rivolgersi a degli adulti speciali. Mamme, papà, che poi la scienza rinomina: figure d’attaccamento. Il modo in cui tali figure rispondono alle richieste del bambino ne plasma il carattere. Genitori sicuri, quindi amorevoli, presenti e, per quanto possibile, prevedibili e calmi forgiano figli fiduciosi. Al contrario, sia genitori freddi, distanti, pronti al giudizio stizzito sia genitori che curano ma imbevuti d’ansia generano figli insicuri. Genitori disorganizzati, che possono abbracciare e poi odiare, abusare, andare via con la testa nei loro mondi popolati di mostri, spaccano la mente del bambino, quasi alla lettera. Cyrulnik sostiene che il modo in cui si plasma il rapporto con Dio dipende dallo stile di attaccamento. Bambini cresciuti sicuri hanno fiducia nell’intervento dall’alto, gli altri lo temono, se ne distaccano, protestano per le sue ingiustizie. Cyrulnik è un illuminato pluralista, le sue parole si rivolgono a credenti in Dei dai nomi diversi e anche ad atei e agnostici. Descrive un Dio materno e consolatore, sensuale ed esaltante, paternamente normativo. Alla fine della sua ricerca c’è un Dio psicoterapeuta, che cura, risana, conduce verso la trascendenza.
Il libro, va detto, non ha come pregio principale il rigore scientifico. Il quadro che emerge nel rapporto tra religiosità e benessere è in realtà più complesso. Alcune ricerche indicano che credere in Dio è fonte di sollievo e resilienza – la capacità di reggere all’impatto delle avversità – altre il contrario. Per molti, scopre uno studio di Gebauer e colleghi, dell’Università Humboldt di Berlino, la religiosità è benefica perché permette di sentirsi validi e accettati in società dove è un valore, più in America Latina che nella laica Scandinavia direi. Vero è invece che adattare la psicoterapia alla religione dell’individuo è utile. Molto più chiaro il potere di spiritualità e trascendenza: quella che Cyrulnik chiama “meraviglia di esistere” è benefica.
L’afferri nelle condizioni estreme. Il pastore protestante ricordato nel libro: i nazisti fermano il suo treno. Se lo arrestano e torturano può svelare i nomi dei resistenti. Si contorce dall’angoscia, ma al momento dell’arresto lo troveranno in estasi. Era andato altrove.
È come la meraviglia delle terre desolate. Appare nei libri Meridiano di sangue e La strada di Cormac McCarthy e in quello di Omar Di Monopoli Nella perfida terra di Dio. Muretti a secco, solidi già nel giorno dell’origine, abitati da rettili impassibili, costeggiati da eremiti paranoici e uomini dagli occhi opachi. Terre in cui chi cerca Dio respira polveri rosse, un minerale insidioso che induce una Fatamorgana malefica: una cattedrale romanica rovesciata e potente. Eppure c’è una trascendenza in quei mondi bruciati. La stessa che cercano i bambini-soldato del Congo, morti dentro per la fame di Coltan dei nostri smartphone. L’accesso al mondo altro di Jim Caviezel che ne La sottile linea rossa risponde a Sean Penn, nel ventre della nave che li porterà verso l’orrore: “Io sono due volte l’uomo che è lei… io ho un’altra vita l’ho vista”.
Nei nostri studi di psicoterapia incontriamo abitanti di quelle terre: hanno disimparato a sperare, il loro sguardo incagliato nell’orizzonte della sofferenza, il pensiero avvolto su sé stesso in spirali soffocanti. Per molti di loro Dio non è più o non è mai stato consolazione. Con loro lavoriamo nelle nostre serre, seminate di tecnica, ragionamento, lavoro sul corpo ed empatia, ormai giunti a piena fioritura. Di molti riduciamo il dolore, ad alcuni apriamo squarci su un altro modo di osservare il mondo.
Pinneggio verso la tartaruga, vorrei toccarla. È sorpresa, per un attimo resta immobile. I raggi fendenti che screziano le pendici vinaccia del suo carapace sono il frutto di eoni di ricombinazioni del DNA. Lo è ugualmente il movimento lento e perfetto del collo tozzo con cui si volta a guardarmi, curiosa, dubbiosa. Più rapida e sicura di me svanisce e io, due metri sott’acqua, perdo l’interesse nel reale.