Quali le verità e le tragedie umanitarie e quali i luoghi comuni che ostacolano una visione chiara della migrazione, in taluni casi “remando contro” un’efficace politica di integrazione e instillando l’idea del migrante come pericolo, minaccia? Questi i temi caldi dell’evento formativo tenutosi a Palermo lo scorso 15 febbraio all’interno della cornice dell’Assemblea Regionale siciliana e dal titolo forte “La lotteria per la vita”.
Emergenza migranti, aiuti umanitari, assistenza, integrazione: termini comunemente legati al fenomeno migratorio che impegna le politiche sociali e la comunità tutta in azioni empatiche, incisive, tempestive, coordinate e orientate al benessere di esseri umani a cui, per varie ragioni, è stata sottratta la possibilità di una vita dignitosa.
Assistenza, vicinanza emotiva e pratica, concrete realtà favorite dall’opera di sensibilizzazione ai bisogni di chi ha perso tutto o rischia di perderlo: ecco il ruolo di una corretta informazione mediatica sul fenomeno, essenziale per una presa di coscienza collettiva della gravità della situazione che affligge queste popolazioni, che si traduca in reale supporto.
Chi sono allora e da cosa fuggono i migranti che quotidianamente sbarcano sulle nostre coste, che, attraversando insidie e incertezze, scommettono su una “lotteria della vita” che restituisca loro il sogno di uomini liberi?
Quali le verità e le tragedie umanitarie e quali i luoghi comuni che ostacolano una visione chiara della migrazione, in taluni casi “remando contro” un’efficace politica di integrazione e instillando l’idea del migrante come pericolo, minaccia?
Questi i temi caldi dell’evento formativo tenutosi a Palermo lo scorso 15 febbraio all’interno della cornice dell’Assemblea Regionale siciliana e dal titolo forte “La lotteria per la vita”, a sottolineare le lotte disperate, senza punti fermi, di chi fugge dal conflitto e dalla morte per ricercare altrove un “porto sicuro”, nell’incertezza costante di potervi approdare in sicurezza, guadagnandosi la salvezza e una nuova e più dignitosa opportunità di vita.
Un evento che ha coinvolto esperti del settore, politici e giornalisti nell’intento comune di delineare la figura del migrante, sfatando il rischio di un’informazione parziale o ingannevole capace di creare falsi e pericolosi miti su quella che non può non definirsi a pieno titolo tragedia umana.
“I migranti che sbarcano presso le coste siciliane provengono da differenti territori e sono mossi da motivazioni che variano dalle persecuzioni personali alle guerre alla povertà – spiega Guglielmo Mangiapane, fotoreporter della Reuters-LaPress – Molti scappano da un pericolo maggiore verso l’ignoto, percepito comunque come pericolo minore. Alcuni non hanno mai visto il mare, come accade per chi proviene dall’Africa Subsahariana, non sanno nuotare e la vista del mare rappresenta un momento estremo di gioia. Gioia che si tramuta spesso in dubbio su un dopo percepito come incerto, dopo un viaggio della speranza che lascia alle sue spalle morti, feriti, dispersi, mortificazioni corporali e umiliazioni, ma che ha anche portato nuove vite che nascono proprio su quei barconi improvvisati. Ecco il ruolo essenziale del mediatore culturale nel comunicare per primo problemi di salute e nel garantire un approdo meno traumatico possibile con una cultura nuova, con un ambiente da conoscere e a cui affidarsi”.
Una visione che restituisce l’immagine di un bisogno estremo di cure, di libertà di espressione; una cornice di tristezza e coraggio per chi affronta traversate impervie.
Raccontare le reali storie di miseria e fuga, al di là di ogni pietismo o stigmatizzazione, è compito elevato di un’informazione al servizio dei cittadini, e un’informazione di questo tipo deve evitare errori grossolani che rischiano di diffondere falsi allarmismi, pregiudizi e che scandalizzi oltremodo sulla penosità in cui può versare la condizione umana.
“Esiste un’informazione tendenziosa in grado di distorcere la realtà, per eccesso o difetto, della tragicità legata alla migrazione – racconta Lidia Tilotta, giornalista TGR Sicilia – È compito deontologico di noi giornalisti evitarla e segnalare un suo utilizzo improprio. Per esemplificare, preferire un’informazione da contabilità, puntando più sui numeri dei migranti sbarcati che sui loro vissuti, non sviluppa empatia e anzi produce allarmismi, se unita a termini come invasione epocale. Anche utilizzare termini come clandestino ha un effetto ghettizzante, così come enfatizzare crimini commessi da stranieri perché fa più scalpore. Si tratta peraltro di dati errati: l’Eurostat calcola, tra il 2008 e il 2015, un aumento delle denunce per crimini per gli italiani del 7% e una diminuzione dell’1% per gli stranieri. L’ottica in cui porsi inoltre non può essere inoltre quella caritatevole, sensazionalistica, pietistica, ma del diritto all’accoglienza, anche per evitare conflitti. Un’accoglienza reale significa diversità, arricchimento, mentre la paura per l’immigrato che delinque o ruba il lavoro genera odio, il quale allontana integrazione e accoglienza. E noi giornalisti abbiamo il compito di non fomentare un clima d’odio nella Comunità, una responsabilità che condividiamo con la politica”.