Matthieu Villatte è psicologo, ricercatore e ACT peer-reviewed trainer riconosciuto dall’ACBS, autore di diverse importanti pubblicazioni, tra cui il libro Mastering the Clinical Conversation Language as Intervention, scritto con Jennifer Villatte e Steven Hayes ed edito per Guilford Press nel 2015. Uno dei valori che muove il suo lavoro è quello di facilitare lo scambio di conoscenze ed esperienze sulla Relational Frame Theory fra ricercatori e clinici, per promuovere interventi clinici evidence-based esperienziali ben agganciati alla ricerca di base sul linguaggio umano.
Intervista di Nicola Lo Savio
Dal 16 al 18 Marzo 2018 Matthieu Villatte sarà a Palermo, ospite dell’Istituto Tolman, per il workshop “RFT: il linguaggio che cura. Potenziare il colloquio clinico”. L’evento è patrocinato da IESCUM e ACT-Italia, e mira a sviluppare nel clinico una maggiore sensibilità nel leggere il linguaggio del paziente e un uso più preciso e intenzionale del linguaggio del terapeuta, grazie alla conoscenza dei principi della Relational Frame Theory (RFT), recente programma di ricerca sul linguaggio e la cognizione umana.
Matthieu Villatte è psicologo, ricercatore e ACT peer-reviewed trainer riconosciuto dall’ACBS, autore di diverse importanti pubblicazioni, tra cui il libro Mastering the Clinical Conversation Language as Intervention, scritto con Jennifer Villatte e Steven Hayes ed edito per Guilford Press nel 2015. Uno dei valori che muove il suo lavoro è quello di facilitare lo scambio di conoscenze ed esperienze sulla Relational Frame Theory fra ricercatori e clinici, per promuovere interventi clinici evidence-based esperienziali ben agganciati alla ricerca di base sul linguaggio umano.
Intervista a Matthieu Villatte
Intervistatore: Grazie mille Matthieu per questa intervista e per aver accettato il nostro invito per il workshop a Palermo a marzo 2018. E’ la tua terza volta in Italia, dopo il tuo intervento al congresso 3G Mindfulness, acceptance, compassion organizzato da ACT-Italia, dove ci siamo incontrati lo scorso marzo. Durante la tua presentazione al congresso ho notato quanto sia importante per te promuovere il dialogo tra ricercatori e clinici sulla RFT. Che valore ha per te questo aspetto?
MV: Nel passato la RFT è stata considerata una teoria di interesse solo per coloro che svolgevano ricerca di base. Con l’uscita del libro Learning RFT di Niklas Törneke e grazie al contributo di diversi clinici esperti in RFT, negli ultimi otto anni la prospettiva è cambiata: si è iniziato a considerare la conoscenza della Relational Frame Theory di grande utilità per la pratica clinica. Piuttosto che considerare la RFT come semplice teoria alla base dell’ACT, possiamo pensarla come un vero e proprio strumento della pratica clinica. Probabilmente per i clinici non è essenziale avere una completa conoscenza della RFT. Certamente conoscere alcuni principi di base di questa prospettiva comportamentale sul linguaggio e la cognizione umana, può aiutarli ad essere più precisi ed efficaci nel loro lavoro. Inoltre, la conoscenza di tali principi favorirebbe un maggior dialogo tra ricercatori e clinici, che condividerebbero lo stesso linguaggio.
Intervistatore: Negli ultimi anni nella comunità CBS ho notato un crescente sforzo nel collegare gli interventi clinici direttamente alla ricerca di base sulla RFT. Molti autori si muovono in questa direzione, e tu sembri in linea con questo processo. In che modo, secondo te, conoscere e usare i principi della RFT può fare la differenza per un clinico?
MV: Credo che conoscere la RFT possa davvero aiutare i clinici ad essere più precisi nel loro uso del linguaggio in terapia. La RFT identifica le unità funzionali del linguaggio, dei repertori di comportamento che chiamiamo relational framings, che possiamo scegliere di utilizzare in modo intenzionale come strumenti nel nostro colloquio clinico. Ad esempio, da recenti ricerche sull’uso clinico della RFT, sappiamo che presentare un’azione come parte di un processo (frame gerarchico) è più efficace per aumentare la motivazione e la soddisfazione, rispetto a presentare la stessa azione come condizione necessaria per il raggiungimento di un obiettivo. Sappiamo anche che mettere in relazione gerarchica le esperienze psicologiche rispetto al sé (es. i miei pensieri come parte di me), aiuta a gestire le esperienze stressanti meglio, rispetto a quando le stesse sono poste in una relazione di opposizione (es. io non sono il mio pensiero). Conoscere la RFT aiuta a scendere ad un livello di precisione maggiore senza usare un linguaggio tecnico con i pazienti. Ad esempio, quando il tuo cliente sente le tue parole “Questo colloquio di lavoro è a servizio di cosa…?”, da clinico tu sai che stai lavorando per favorire una relazione gerarchica. Insomma, si può essere più precisi e insieme più naturali, perché si è in grado di attivare i processi chiave nel colloquio. Conoscere la RFT può aiutare i clinici anche ad integrare tecniche provenienti da diversi modelli di psicoterapia, poichè la RFT non opera allo stesso livello di questi modelli. La RFT clinica è più un modo di ragionare, piuttosto che un set di tecniche. Aiuta a pensare in termini comportamentali al vostro utilizzo del linguaggio in terapia.
Intervistatore: Durante i 3 giorni di workshop a Palermo insegnerai ai clinici ad usare il linguaggio in modo intenzionale ed esperienziale per produrre effetti terapeutici al di là di specifici modelli di trattamento. Questi effetti terapeutici hanno a che fare con i due scopi centrali dell’intervento di cui parli nel tuo libro MCC: migliorare la sensibilità flessibile al contesto e promuovere la coerenza funzionale? Puoi dirci qualcosa a riguardo?
MV: Certamente. Come dicevo, penso che la RFT clinica sia più un modo di ragionare più che un modello di psicoterapia. Questo modo di pensare, o framework basato su processi generali e di base, è organizzato su due scopi generali, sviluppare una sensibilità al contesto flessibile, che potremmo definire in modo semplice come consapevolezza e flessibilità, e la coerenza funzionale, definibile come una modalità di pensiero pragmatico e integrativo. Vogliamo aiutare i pazienti ad essere più flessibili e consapevoli, vogliamo aiutarli a pensare in termini di ciò che funziona per vivere una vita ricca di senso, mentre integrano le loro diverse esperienze psicologiche, piuttosto che tentare di sopprimerle. Come notate tutto questo assomiglia all’Acceptance and Commitment Therapy (ACT): è naturale dal momento che la RFT clinica è radicata sulla stessa scienza e filosofia su cui si basa l’ACT, il contestualismo funzionale. Ma ritengo la portata della RFT clinica più ampia dell’ACT. L’ACT può essere integrata nella RFT clinica, così come altre terapie della terza onda, come la DBT o la FAP. Tecniche provenienti da modelli differenti possono essere anch’esse integrate nel framework più ampio della RFT clinica, qualora siano utili a sviluppare una maggiore e flessibile sensibilità al contesto e la coerenza funzionale.
Intervistatore: Un proverbio dice che il diavolo sta nei dettagli. Da una prospettiva RFT possiamo dire che la psicopatologia, o meglio, il modo in cui l’uomo resta bloccato (paziente o terapeuta) è da scoprire tra le pieghe del nostro linguaggio. Durante il workshop quali strumenti ci insegnerai per sfuggire alle trappole del linguaggio?
MV: Si, abbiamo già detto che la RFT aiuta i clinici ad usare il proprio linguaggio come primo strumento di intervento in modo più preciso e intenzionale, ma aiuta anche a leggere meglio il linguaggio del paziente. Possiamo usare la RFT per concettualizzare le difficoltà del paziente. Ad esempio, se un paziente mette in relazione la propria motivazione a fare un’azione soltanto con termini che richiamano un rinforzatore negativo, esterno e specifico, il clinico orientato dalla RFT sa che sarà necessario sviluppare l’abilità del paziente di connettere le sue azioni con un rinforzatore positivo, intrinseco e generalizzato. Il clinico porrà molta attenzione ai cambiamenti nel linguaggio usato dal paziente come fosse un marker, un indicatore dei suoi progressi nel tempo. Nel workshop, impareremo ad analizzare il linguaggio del cliente per guidare il nostro intervento.
Intervistatore: Uno degli strumenti più interessanti che ci presenterai sarà l’uso di interventi basati sulle diverse dimensioni del perspective taking (proiettivo, riflessivo, egocentrico, allocentrico). Come mai ritieni così utile il lavoro sul perspective taking e i frame deittici in terapia?
MV: Il perspective taking, che viene attivato attraverso il framing deittico, è davvero uno strumento di linguaggio potente nella pratica clinica. Aiuta il paziente a guardare alle sue esperienze da diverse angolature, che permettono di vedere aspetti che non si erano considerati in passato. Ci si può proiettare nel futuro o nel passato, ci si può mettere nei panni di qualcun altro e sviluppare empatia o imparare dalle esperienze di qualcun altro. In stanza di terapia possiamo anche cambiare di sedia per rendere il processo più concreto. Nel workshop, dedicheremo una consistente parte del nostro tempo ad imparare, attraverso il ricorso ai role-play, l’uso del perspective taking per sviluppare la consapevolezza dei pazienti.
Intervistatore: L’anno scorso sei venuto in contatto con la comunità italiana interessata all’ACT e alla RFT, che con ACT-Italia è una delle comunità più impegnate all’interno del movimento dell’ACBS. Cosa potresti suggerire alle persone che a Palermo entreranno in contatto per la prima volta con un intervento clinico basato direttamente sulla RFT?
MV: Vorrei dire che se siete interessati ad integrare diverse tecniche provenienti da differenti modelli piuttosto che applicare un set specifico di regole, e se vi interessa usare un colloquio naturale nel contesto di terapia, e magari volete usare dei principi empiricamente fondati come quelli comportamentali, questo workshop fa al caso vostro!
Indipendentemente dalle vostre conoscenze e dal livello di esperienza, potrete trarre dei benefici da questo workshop. Non vi chiederò di abbandonare ciò che sapete già che funziona nella vostra pratica clinica. Vi aiuterò, piuttosto, ad integrare il tutto in una cornice più ampia, che, magari, vi renderà anche più aperti a differenti tecniche e prospettive. Questo workshop può solo aggiungere qualcosa al vostro lavoro, non toglierà nulla.
Intervistatore: Grazie Matt, allora ti aspettiamo il 16-17-18 marzo a Palermo.
MV: A presto, ci vediamo a Palermo.