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Mafia e psicopatologia. Crimini, vittime e storie di straordinaria follia (2017) a cura di G. Craparo, A. M. Ferraro, G. Lo Verso – Recensione del libro

'Mafia e psicopatologia' è un libro ricco e completo che tratta di psicologia e patologia dei carnefici, delle vittime e degli spettatori del fenomeno mafia

Di Marco Innamorati

Pubblicato il 23 Gen. 2018

Aggiornato il 12 Gen. 2022 15:09

La lettura di Mafia e psicopatologia. Crimini, vittime e storie di straordinaria follia, libro completo e sfaccettato, è raccomandata tanto agli specialisti, quanto alle persone interessate alla comprensione della psicologia della mafia, cioè, tutto sommato, alla comprensione tout court di ciò che questa drammatica realtà rappresenta nel nostro Paese.

 

La psicopatologia secondo Ian Hacking

Uno dei più importanti epistemologi delle scienze umane, Ian Hacking, sostiene da tempo che la psicopatologia deve essere considerata alla luce di quattro elementi: (1) la classificazione e i suoi criteri di applicazione; (2) le persone e i comportamenti che vengono classificati; (3) le istituzioni di riferimento; (4) la conoscenza, come punto di vista degli esperti e come punto di vista della comprensione popolare (Hacking, 2005).

Ciò significa in primo luogo che non esiste una classificazione psicopatologica e obiettiva, tantomeno atemporale (come è del resto noto anche dall’esistenza di storie dei sintomi mentali, quale Berrios, 1996). In secondo luogo, però, significa che la comprensione delle forme psicopatologiche è un processo dinamico che coinvolge l’esperto e lo deve portare a contatto con la realtà (familiare, sociale, istituzionale, geografica, storica) nella quale tali forme si esprimono. Lo stesso Manuale diagnostico e statistico delle malattie mentali ha da varie edizioni descritto una serie di sindromi culturalmente condizionate, salvo addirittura affermare nella sua ultima edizione (APA, 2013) che tutte le sindromi sono culturalmente condizionate, anche quelle comprese nella classificazione principale. Hacking ha però mostrato la grande fluidità della manifestazione psicopatologica, per esempio descrivendo il fenomeno dei Viaggiatori folli, sindrome diffusasi per un ventennio essenzialmente nella regione di Bordeaux. Chi ne era affetto sentiva il desiderio di raggiungere una meta lontana, entrava in una sorta di trance e ritrovava la coscienza di sé solo una volta raggiunta la meta desiderata, recuperando il ricordo di come l’aveva raggiunta solo sotto ipnosi. Esiste quindi una sorta di genius loci (e si potrebbe aggiungere di genius temporis) della psicopatologia.

Mafia e psicopatologia. Crimini, vittime e storie di straordinaria follia – Il profilo psicopatologico dei mafiosi

Si potrebbe affermare che una delle tesi di fondo del libro Mafia e psicopatologia. Crimini, vittime e storie di straordinaria follia curato da Craparo, Ferraro e Lo Verso costituisca una conferma evidente quanto inaspettata dell’impostazione di Hacking, in quanto il profilo psicopatologico dei mafiosi non corrisponde assolutamente a quello dei criminali comuni, ovvero alla psicopatia. Questo è infatti il risultato di un’importante ricerca condotta da Schimmenti, Caprì, La Barbera e Caretti (2014), che giustamente ebbe eco anche sulla stampa quotidiana e che viene ripresa in uno dei capitoli dello stesso libro. Gli autori, che si aspettavano di riscontrare punteggi particolarmente alti sulla scala di Hare che misura il livello di psicopatia (PCL-R) da parte di un gruppo di mafiosi in carcere, dovettero riscontrare risultati decisamente più bassi rispetto al gruppo di controllo, costituito da altri detenuti.

Nacque dunque l’esigenza di descrivere un profilo di personalità specifico per delle persone che potevano avere alle spalle azioni terribili, ma sembravano molto distanti dalle caratteristiche di individualismo, sfruttamento interpersonale e disinteresse per i rapporti stabili che caratterizza psicopatia e antisocialità. I mafiosi potevano persino provare senso di colpa come i semplici nevrotici, ma secondo modalità del tutto particolari:

Quello che pesava di più per questi individui non era aver commesso reati gravi, aver ucciso anche con metodi brutali (a volte, forse, senza neanche capire profondamente il senso del comando che avevano eseguito), ma il fatto di non esserci stato come padre per i propri figli e come compagno per la propria moglie, l’aver perso momenti fondamentali nella vita della propria famiglia perché reclusi lontani da casa o perché latitanti (Caprì et al., 2017, p. 23).

Gli autori propongono di usare per i mafiosi, dunque, la definizione (piuttosto idiosincratica) di “sociopatico”:

Il concetto di sociopatia rimanda infatti a una genesi sociale, piuttosto che personologica, della devianza, in cui è il contesto di sviluppo a generare matrici di significato basate su codici criminali (Caprì et al., 2017, p. 21).

In altre parole la patologia va attribuita all’ambiente caratterizzato dalla cultura mafiosa piuttosto che all’identità personale del singolo, che può perfino conservare una sua umanità, o almeno un’illusione di umanità. Il mafioso sarebbe dunque per certi versi simile al criminale nazista Adolf Eichmann descritto nell’evocato (anche se non citato) libro di Hannah Arendt La banalità del male. Eichmann, si ricorderà, era il responsabile del trasporto degli Ebrei verso i campi di concentramento nazista. Catturato in Argentina, fu processato e condannato a morte in Israele. Durante il processo, contrariamente alle attese, si presentò semplicemente come una persona che aveva compiuto il proprio dovere. Dopo tutto, con lui sì che i treni arrivavano in orario! Di fronte a un uditorio sconcertato, composto integralmente da parenti di persone che erano morte nei Lager anche a causa del suo lavoro, Eichmann arrivò persino a cercare comprensione per il suo più grande cruccio: malgrado la sua efficienza e coscienziosità non era neanche stato promosso al grado di colonnello.

Se un tale personaggio poteva essere immune dai sensi di colpa, perché del tutto in sintonia con la condotta richiesta dal contesto sociale di appartenenza, si comprende il monito che risuona dalle pagine della trasposizione romanzesca del caso Eichmann, cioè Le benevole di Jonathan Littell: «vi riguarda, vedrete che vi riguarda» (Littell, 2006, p. 6). E si comprende di riflesso anche cosa volevano dire le parole di Giovanni Falcone ricordate nell’Introduzione di Mafia e psicopatologia: la mafia sarà sconfitta quando sarà ridotta a un’organizzazione criminale, ovvero quando sarà abbattuto «il monolite etnico-antropologico-familiare» (Craparo, Ferraro e Lo Verso, 2017, p. 15) in cui è incastonata.

Le conclusioni della ricerca di Schimmenti (et al., 2014) ricevono una conferma in un altro capitolo del libro Mafia e psicopatologia (Craparo, David et al., 2017) che attesta l’impermeabilità di un gruppo di affiliati a Cosa nostra e camorra a categorie diagnostiche psichiatriche classiche. Lo stesso testo, peraltro, attira l’attenzione su un interessante cambiamento di paradigma rispetto al passato: i mafiosi, il cui “codice” impediva loro di fingersi pazzi fino a poco tempo fa, iniziano a provare a ottenere l’attestazione di infermità mentale, almeno per evitare l’insaprimento della condanna con il cosiddetto “41bis”.

La pazzia era piuttosto invocata dai mafiosi a carico di chi li accusava, in particolare dei pentiti. Pazzo doveva per loro essere ritenuto, per esempio, Leonardo Vitale, il primo pentito famoso, al quale, in Mafia e psicopatologia, dedica un capitolo specifico Girolamo Lo Verso (2017a), che degli studi psicologici sulla mafia è stato certamente l’antesignano (cfr., p. es., Lo Verso 1998; 2013; Lo Verso et al. 1999). La vicenda di Vitale costituisce un caso veramente singolare: l’uomo che per primo svelò la struttura e l’organizzazione della mafia venne fatto oggetto di diagnosi strampalate e di trattamenti assurdi. Vitale finì per capire che doveva fingersi pazzo per sopravvivere e venne in ultimo ucciso da un sicario allorché divenne chiaro (dalle conferme di Tommaso Buscetta) che le sue testimonianze erano in realtà attendibili.

Mafia e psicopatologia – La sofferenza delle vittime e dei loro parenti

La questione del rapporto tra mafia e psicopatologia può essere declinata anche in un senso diverso, dal punto di vista, cioè, della sofferenza causata alle vittime e ai parenti delle vittime. A questo argomento è dedicata una seconda parte, corposa, del libro Mafia e psicopatologia, dalla quale emerge «la necessità di predisporre interventi, servizi e politiche che possano aiutare i survivors a migliorare la qualità della vita, seriamente compromessa dall’esperienza traumatica» (Cannizzaro e Giordano, 2017, p. 105).

La terza parte di Mafia e psicopatologia ha per oggetto il difficilissimo rapporto tra mafia e clinica, ovvero alla possibilità di ottenere risultati significativi nella psicoterapia dei mafiosi. Qualcuno ricorderà certamente il paradossale rapporto tra Tony Soprano e la sua psicoanalista nella serie televisiva I Soprano, rapporto dal quale il boss trovava piuttosto la possibilità di un sostegno alla propria condotta criminale che lo spunto per rielaborare il significato della sua esistenza. Quel ricordo riecheggia singolarmente quando viene messa in evidenza «la capacità dell’organizzazione mafiosa di strumentalizzare qualunque elemento possa risultare per lei favorevole» (Lo Verso e Giunta, 2017, p. 132). In ogni caso, dalle diverse storie cliniche risulta con chiarezza «la necessità di una conoscenza-formazione specifica di queste peculiarità psico-antropologiche per gli psicoterapeuti ma forse per tutti coloro che hanno a che fare con il fenomeno [mafioso]» (Lo Verso, 2017b, p. 141).

Non si può che raccomandare la lettura di Mafia e psicopatologia. Crimini, vittime e storie di straordinaria follia, libro completo e sfaccettato, tanto agli specialisti, quanto alle persone interessate alla comprensione della psicologia della mafia, cioè, tutto sommato, alla comprensione tout court di ciò che questa drammatica realtà rappresenta nel nostro Paese.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • APA (2013), Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – DSM-5, trad. it. Raffaello Cortina, Milano 2014.
  • Berrios, G. (1996), The History of mental symptoms, Cambridge University Press, Cambridge.
  • Arendt, A. (1963), La banalità del male. Adolf Eichmann a Gerusalemme, trad. it. Feltrinelli, Milano 2013.
  • Cannizzaro, G., Giordano, C. (2017), Sopravvivere all’omicidio di un familiare. I costi psichici della violenza mafiosa, in Craparo, Ferraro e Schimmenti, 2017, pp. 88-106.
  • Caprì, C., Schimmenti, A., Caretti, V. e La Barbera, D. (2017), Il mafioso come sociopatico. Considerazioni relative alla personalità dei mafiosi sulla base di una ricerca empirica, in Craparo, Ferraro e Lo Verso, 2017, pp. 19-29.
  • Craparo, G. David, V., Lo Cascio, S., Iacolino, C. e Costanzo, G. (2017), Cosa nostra e camorra. Uno studio empirico sui profili di personalità, in Craparo, Ferraro e Lo Verso, 2017, pp. 30-35.
  • Craparo, G., Ferraro, A. M. e Lo Verso, G. (a cura di) (2017), Mafia e psicopatologia. Crimini, vittime e storie di straordinaria follia, FrancoAngeli, Milano.
  • Hacking, I. (2005), Plasmare le persone. Corso al College de France (2004-2005), trad. it. QuattroVenti, Urbino 2008.
  • Littell, J. (2006), Le benevole, trad. it. Einaudi, Torino 2007.
  • Lo Verso, G. (1998), La mafia dentro. Psicologia e psicopatologia di un fondamentalismo, FrancoAngeli, Milano.
  • Lo Verso, G. (2013), La mafia in psicoterapia, FrancoAngeli, Milano.
  • Lo Verso, G. (2017a), Mafia e follia: il caso Vitale. Uno studio psicodinamico e psicopatologico, in Craparo, Ferraro e Lo Verso, 2017, pp. 36-56.
  • Lo Verso, G. (2017b), Una ricerca clinica su mafia e psicoterapia, in Craparo, Ferraro e Lo Verso, 2017, pp. 133-141.
  • Lo Verso, G. e Giunta, S. (2017, Mafia e psicoterapia. Due universi incompatibili?, in Craparo, Ferraro e Lo Verso, 2017, pp. 127-132.
  • Lo Verso, G., Lo Coco, G., Mistretta, S., Zizzo, G. (a cura di) (1999), Come cambia la mafia. Esperienze giudiziarie e psicoterapeutiche, FrancoAngeli, Milano.
  • Schimmenti, A., Caprì, C., La Barbera, D. e Caretti, V. (2014), Mafia and psychopathy, Criminal Behaviour and Mental Health, 24(5), pp. 321-331.
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