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Sulle Molestiadi, il mio punto di vista sui recenti scandali e sull’autonomia delle donne

Uno dei motivi di equivoco è il continuo tracimare di comportamenti magari non tutti violenti ma troppo spesso pecorecci, velleitariamente scherzosi e in fondo molesti in ambiti istituzionali e professionali

Di Sandra Sassaroli

Pubblicato il 13 Nov. 2017

Alcuni comportamenti un tempo socialmente accettabili -o almeno più accettabili- oggi non lo sono più. Sembra che si stia andando verso una ridefinizione del comportamento, privato ma anche pubblico. La parità e la cooperazione tra i sessi esigono un linguaggio e un contegno più neutri di un tempo e soprattutto più appropriati, per usare un altro termine molto americano che però rende bene l’idea.

 

Caro Roberto, caro amico, mi è venuta voglia di replicare a ciò che scrivi, anche in base alla mia esperienza femminista degli anni ’70. Che dire? In buona parte sono d’accordo. Soprattutto la possibilità di ottenere una condanna sociale a effetto immediato guadagnata attraverso mezzi non giuridici ma mediatici è un rischio per una società che dovrebbe essere fondata sul diritto. Un potere simile è una democrazia senza stato di diritto, due concetti che vengono troppo facilmente confusi tra loro. Mi lascia un po’ interdetta la durezza della commentatrice del Guardian che di fronte al suicidio del supposto molestatore Carl Sargeant non sembra dimostrare troppe esitazioni.

E poi il recentissimo coinvolgimento di Franco Moretti, il fratello di Nanni Moretti, mi disorienta particolarmente. È straniante vedere un professore italiano, il cui viso gentile starebbe bene in un qualche film di Nanni, risucchiato in uno scandalo così anglo-sassone e, mi vien da dire, così puritano ed estraneo alla nostra cultura. E mi convincono anche le considerazioni di Moretti: “Certamente non ho minacciato di rovinare nessuna carriera. Ero un visitatore allora, senza nessuna prospettiva di far parte dell’università americana” e la chiusa desolata “Purtroppo temo che questa accusa avrà un enorme impatto sui colleghi, sugli amici e sulla famiglia anche se è assolutamente falsa”.

Detto questo, è altrettanto vero la rivoluzione sessuale ha portato molte liberazioni -come ricorda Roberto Lorenzini- però non tutte nella direzione immaginata da alcuni, una sorta di cuccagna gioiosa e spensierata. L’attuale ondata di denunce non può essere un delirio di massa. 456 attrici svedesi che denunciano molestie non possono essere 456 isteriche.

Alcuni comportamenti un tempo socialmente accettabili -o almeno più accettabili- oggi non lo sono più. Sembra che si stia andando verso una ridefinizione del comportamento, privato ma anche pubblico. La parità e la cooperazione tra i sessi esigono un linguaggio e un contegno più neutri di un tempo e soprattutto più appropriati, per usare un altro termine molto americano che però rende bene l’idea.

Detto in modo più chiaro se sono l’unico ad andare in guerra e l’unico a mantenere la famiglia posso illudermi di essere quello che comanda, e decide i codici del desiderio, ma se in guerra ci si va tutti, tutti manteniamo la famiglia e tutti possono prendere l’iniziativa, occorre che si inventino nuovi codici. I nuovi codici dell’avvicinamento in un mondo più egualitario.

Ciò che colpisce negli episodi denunciati è che uno dei motivi di equivoco è il continuo tracimare di linguaggi e comportamenti magari non tutti violenti ma troppo spesso pecorecci, velleitariamente scherzosi e in fondo molesti in ambiti che dovrebbero essere istituzionali e professionali.

Si ha la sensazione che nel mondo moderno invece le relazioni professionali devono diventare più formali, più istituzionali e meno improntate all’aspetto personale e intimo. Forse più noiose, anzi sicuramente più noiose. Occorre anche prendere atto che non tutti sono capaci, come sa fare Roberto, di trasfigurare il proprio umorismo nella grazia eterea e spiritosa di un saggio che un tempo è stato giovane e voglioso e che ora sa ridere di se stesso.

Quanto al destino del desiderio sessuale delle donne posso solo dire che si tratta di un problema appunto delle donne. Il femminismo è stato soprattutto un movimento sociale e solo collateralmente sessuale. A differenza di quanto sembra pensare Roberto, la visione patriarcale della donna non era affatto quella di un essere asessuato e privo di desideri. Al contrario, era piuttosto quella di un essere pericoloso, dalle voglie incontrollabili e intensissime –eccole le isteriche- che per questo dovevano essere incatenate e represse. E l’uomo era invece capace di autocontrollo e razionalità.

La riscoperta del desiderio femminile insieme al desiderio di mettere in atto le proprie fantasie, è soprattutto un approccio meno colpevole ma anche meno ossessivo al sesso, non un’abbuffata a un banchetto a lungo negato, problema che forse attanagliava piuttosto i maschi, a loro volta per niente liberi ma costretti all’astensione o al sesso mercenario.

La prospettiva di un esercito di donne finalmente desiderose di scoprire i piaceri del sesso non è stata l’esperienza reale del femminismo, o almeno non di tutto il femminismo. In ballo c’era altro. Nel mio ricordo l’aspetto liberatorio non è stato centrale, è stato più legato a una ricerca della definizione di ciò che veramente si voleva e desiderava, più che un puro desiderio di maggiori sperimentazioni. Che mi sono sempre sembrate più un effetto che uno scopo.

L’aspetto che mi ricordo fondamentale aveva proprio a che fare con l’autonomia, con il desiderio di definire, da protagoniste, la propria vita. Allora non ci rendevamo ben conto dei costi di questo -e non li voglio neanche nominare tutti, eravamo giovani- ma un costo vero è stato la difficoltà di questa transizione nell’uomo, che spesso non sapendo bene come avere a che fare con questo nuovo essere, donna, capo di se stessa e più sicura di sé, intimorito, sentiva il bisogno di gestire il timore, il non saper che fare, riportando tutto alla libertà sessuale, alla dura contrattazione gestita in modo maschilista. E questo si chiama violenza e aggressività, o scarso rispetto, così è stato ed è percepito dalle donne. Non so se è chiaro, ma non credo che cambieremo molto gli uomini se non impariamo a essere maggiormente consapevoli dei prezzi che personalmente vogliamo pagare per la libertà.

Al di là di personaggi ovviamente malati, potenti e aggressivi, la maggior parte delle relazioni uomo donna, ha bisogno di uomini meglio educati da madri consapevoli e a loro volta libere, e da donne capaci di dire di no pagando consapevolmente i costi (che possono esserci, è la vita).

Ma per chiudere e riprendendo quel che scrive Lorenzini, io non credo in un irenico ideale di dolce parità condivisa. I rapporti uomo donna, come tutti i rapporti, avranno bisogno di trattative, di nuovi codici, di durezze e scambi, di tentativi e fallimenti, e non potranno mai fare a meno del tutto della forza. Nulla ci è regalato e occorre, come dice Camille Paglia, non dimenticare che la giustizia non è data, ma dipende da chi la difende in ciascun momento, e quindi da ciascuno di noi.

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Sandra Sassaroli
Sandra Sassaroli

Presidente Gruppo Studi Cognitivi, Direttore del Dipartimento di Psicologia e Professore Onorario presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna

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