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Un nuovo punto di vista scientifico per lo studio dello stress in relazione al linguaggio

Uno studio ha dimostrato come lo stress produca cambiamenti nell'espressione genica delle cellule del sistema immunitario.

Di Enrica Gaetano

Pubblicato il 27 Nov. 2017

Aggiornato il 15 Gen. 2018 12:25

Mehl e colleghi (2017) hanno indagato la possibilità che alcune variazioni di alcuni pattern di uso comune del linguaggio possano rappresentare degli indicatori più precisi della rilevazione automatica della minaccia e quindi del sistema biologico di risposta alla stress, le cui risposte sono regolate da specifici geni pro infiammatori, particolarmente sensibili a situazioni di vita avverse (Cole, 2013).

 

Lo stress può modificare l’espressione genica delle cellule del sistema immunitario

Il linguaggio riflette il modo in cui le persone interpretano e sono connesse alla realtà ma chi avrebbe mai detto che l’espressione genica potesse essere legata al linguaggio”.

In questo modo James Pennebaker, famoso ricercatore e psicologo all’università del Texas ha commentato la recente pubblicazione dello studio di Mehl e Raison su Proceeding of the National Academy of Sciences, nel quale è stato mostrato come esperienze di vita traumatiche come il coinvolgimento in attacchi terroristici, di povertà o di isolamento sociale contribuiscano al cambiamento dell’espressione genica nelle cellule del sistema immunitario dei soggetti che le hanno vissute.

Il contributo maggiore dello studio di Mehl e colleghi (2017) ha riguardato il fatto che tali cambiamenti dell’espressione genica dovuta a situazioni di vita di deprivazione e stressanti possono essere rilevate tramite l’analisi del linguaggio e l’uso di specifiche parole da parte degli individui in modo ancora più preciso rispetto all’uso di questionari self-report standardizzati.

Tale studio infatti mostrerebbe come il linguaggio possa spontaneamente “tracciare” gli effetti biologici dello stress in una maniera più efficace rispetto a come gli individui li potrebbero descrivere consapevolmente in un questionario.

Mehl e colleghi (2017) hanno indagato la possibilità che alcune variazioni di alcuni pattern di uso comune del linguaggio possano rappresentare degli indicatori più precisi della rilevazione automatica della minaccia e quindi del sistema biologico di risposta alla stress, le cui risposte sono regolate da specifici geni pro infiammatori, particolarmente sensibili a situazioni di vita avverse (Cole, 2013).

In particolare tale risposta biologica alle avversità è stata poco associata a misure self-report sia di esperienze emotive interne come lo stress, la depressione o stati emotivi negativi, sia di esperienze sociali esterne (status sociale basso, condizioni di deprivazione) che di percezioni soggettive di queste condizioni sociali esterne (isolamento percepito) (Knight et al., 2016).
Pertanto è stato ipotizzato che condizioni ambientali avverse e stressanti per l’individuo possano in qualche modo essere rilevati dall’organismo e avere conseguenze non solo sul sistema immunitario ma anche incidere sull’espressione genica (Mehl et al., 2017).

Lo scopo dello studio di Mehl e colleghi (2017) è stato quello di identificare indicatori comportamentali oggettivi dei processi psicologici coinvolti nel generare differenze individuali stabili nell’espressione dei geni pro-infiammatori.

Gli studi precedenti di Le Doux (2015) hanno ben evidenziato come le esperienze consapevoli degli stati emotivi negativi come lo stress, la paura o l’ansia siano mediati dalla neocorteccia e pertanto non siano direttamente legati ai sistemi sottocorticali di rilevazione e risposta alla minaccia che al contrario attivano in modo automatico, immediato e inconsapevole il sistema nervoso simpatico per predisporre l’organismo all’attacco o alla fuga dallo stimolo minaccioso.

Pertanto, si potrebbe ipotizzare che tale sistema “inconsapevole” di difesa dalla minaccia sia più sensibile alle condizioni sociali avverse rispetto al sistema corticale e ciò spiegherebbe il motivo per il quale cambiamenti nell’espressione dei geni pro-infiammatori siano misure più affidabili degli effetti di ambienti sociali avversi rispetto a misure sel-report consapevolmente riportati dagli individui.

Mehl e colleghi hanno dimostrato come specifici pattern nell’uso del linguaggio si modifichino nel momento in cui l’individuo esperisce condizioni sociali di minaccia come l’isolamento sociale, uno status sociale ed economico basso, il coinvolgimento in attacchi terroristici e infine crisi personali.

Questi cambiamenti nell’uso del linguaggio, per gli autori dello studio, si verificherebbero in modo inconsapevole per l’individuo, sarebbero in relazione con l’espressione dei geni pro-infiammatori e infine rappresenterebbero degli indicatori comportamentali per la valutazione dello stato di benessere dell’individuo, in quanto misure più legate a processi, come l’espressione genica, che regolano l’attivazione fisiologica dell’individuo in risposta a stimoli minacciosi e a condizioni ambientali avverse.

Metodo e risultati dello studio di Mehl

Per poter dimostrare ciò, i ricercatori hanno ascoltato gli audio di 143 adulti volontari americani e hanno trascritto ogni parola dei loro dialoghi e analizzato il linguaggio da loro utilizzato; gli autori dello studio in particolare hanno mostrato particolare interesse per le cosiddette “parole funzionali”, come i pronomi e gli aggettivi i quali di per sè non hanno alcun significato ma nel parlare aiutano il soggetto a spiegare cosa sta accadendo.
Tali parole infatti vengono prodotte in modo automatico dai soggetti e aiutano maggiormente a dipingere un quadro più preciso della condizione ambientale nella quale essi sono calati rispetto a verbi o a “parole di significato” in quanto il loro uso cambia quando i soggetti si trovano a fronteggiare una crisi o a seguito di un attacco terroristico (Mehl et al., 2017).

I ricercatori hanno poi messo in relazione il linguaggio usato dai soggetti con l’espressione di 50 loro geni nelle cellule dei leucociti presenti nel sangue e hanno trovato che l’uso nei soggetti delle “parole funzionali” era in grado di predire in modo significativo i cambiamenti nell’espressione genica, a seguito di condizioni ambientali avverse, rispetto alle misure self-report di ansia, depressione e stress.

Gli autori hanno sottolineato come l’uso massiccio di questi specifici pattern di parole in particolare avverbi come “davvero”, “incredibilmente” “veramente” fungesse da “intensificatore emotivo” per i soggetti che li usavano per sottolineare il loro elevato stato di attivazione.
Insieme a questo, gli autori dello studio hanno rilevato nei dialoghi un’ alta prevalenza di pronomi in terza persona plurale (“loro”) come ad indicare un orientamento dei soggetti verso l’ambiente sociale esterno con lo scopo di ridurre la loro percezione della minaccia e abbassare così il loro stato di attivazione.

Tuttavia lo studio presenta alcune limitazioni: prima fra tutte l’uso di soggetti esclusivamente di nazionalità americana e di lingua inglese senza prendere in considerazione altri linguaggi per dimostrare se lo stesso effetto sia riscontrabile anche in nazionalità e lingue diverse.
Inoltre rimane ancora poco chiaro se sia lo stress a influenzare il linguaggio o viceversa.

Nonostante ciò, il contributo dello studio risiede nell’aver ipotizzato una nuova modalità di studio dello stress negli individui prendendo in considerazione meccanismi genetici e biologici andando al di là delle attuali misurazioni self-report dello stress.

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