Attraverso la rivisitazione di queste scene di vita e la continua riformulazione del caso, Lorenzo prende consapevolezza dei suoi schemi interpersonali, e che le modalità con cui esperisce e spiega gli eventi di vita e le relazioni con gli altri sono correlati alla sua storia di sviluppo. Questa consapevolezza di un rapporto causale tra “il bambino che è stato” e le sue attuali modalità di coping conduce il paziente al tentativo di ristrutturare una nuova narrativa, una nuova e più funzionale rilettura del passato ma soprattutto del presente e della sieropositività.
La storia di Lorenzo
Lorenzo è un giovane uomo di 31 anni che svolge l’attività di visagista. Viene a conoscenza della propria sieropositività dopo essersi sottoposto al test HIV nell’ambulatorio di Malattie Infettive della propria città.
Dichiara di aver contratto la sieropositività attraverso rapporti omosessuali non protetti.
Lo stato di avanzamento del virus, la replicazione virale ed il deficit immunitario richiedono l’intervento farmacologico immediato. Ha un iniziale rifiuto dell’assistenza medica e non intende assumere la terapia antiretrovirale.
Quando si presenta agli appuntamenti ambulatoriali è dimesso, a tratti cerca un contatto visivo ma poi si ripiega su se stesso, si tiene le mani e si accascia sul busto. Si evince che la sofferenza e la sintomatologia che il paziente riferisce sono state scatenate dalla diagnosi di sieropositività.
La depressione di Lorenzo e le emozioni sottostanti la sieropositività
Arriva al primo colloquio lamentando sensazione di stanchezza e forte affaticamento. Dopo la diagnosi ha perso il piacere nel fare le cose quotidiane, si sente totalmente inefficace ed inconcludente nelle attività che svolge. Si sveglia prima del dovuto, riferisce perdita di peso e difficoltà alla concentrazione. Durante il colloquio emergono spesso pensieri che riguardano la morte, anche se non è presente un’idea suicidaria strutturata.
Appare evidente che durante l’ultimo anno, Lorenzo aveva già una forte difficoltà. Sentiva di non riuscire ad affrontare la precarietà dell’organizzazione lavorativa, generata dalla saltuarietà della tipologia di lavoro (visagista per cerimonie) e allo stesso tempo la sua relazione affettiva aveva subito una crisi, alimentando un forte senso di fallimento ed incapacità personale. Nelle sue aspettative c’era il desiderio di lavorare ancora per l’azienda multinazionale con cui aveva già collaborato ma da cui non aveva ottenuto il rinnovo del contratto. Questo desiderio aveva ingenerato l’aspettativa di viaggiare per il mondo insieme alle celebri “firme” per grandi eventi di moda.
L’unica tonalità emotiva che Lorenzo sembra saper riconoscere attraverso elementi più viscerali è quella della tristezza. L’emozione della tristezza acquisisce senso alla luce del più ampio risvolto depressivo riportato da Lorenzo come mancanza di interesse per tutto ciò che lo circonda, assenza di vie d’uscita e di progettualità che si palesano nel rifiuto della terapia antiretrovirale, ed inoltre genera in lui frustrazione per le nuove restrizioni nello stile di vita, per doversi sottoporre per sempre a terapie aggressive e sfiguranti e per l’incertezza del futuro.
Lorenzo riporta anche l’emozione della rabbia quando parla di alcuni episodi che lo legano al suo ex: «Mi ha chiesto di non usare il preservativo, l’ha fatto apposta! Per distruggermi! Quando mi corteggiava, mi sembrava di toccare il cielo con un dito… lui regista famoso che corteggia me “il fallito”… ma avrei dovuto capire da subito che quando la vita ti sembra così vicina da toccarla… in realtà in quel momento è molto lontana! Quando ho fatto il test mi ha fatto compagnia ed è venuto anche lui a sottoporsi al test dicendo di non sapere di essere sieropositivo…. Ma secondo me lo sapeva!!! Mi ha infettato con intenzione…. se lo vedo in ambulatorio gli sparo. L’altra volta ho scavalcato il muro di casa sua, l’ho visto dalla finestra con un altro ragazzo, non avrà detto nulla neanche a lui…. devo fermarlo ma poi penso che sono solo un fallito».
Da una parte la rabbia favorisce il dispiegamento di energie finalizzate a cambiare la situazione che causa la sofferenza, mentre dall’altra il senso di impotenza elimina la progettualità e riduce l’azione.
Lorenzo si isola, non esce più con gli amici storici né si apre a nuove conoscenze. Non vuole parlare della sua malattia ai genitori né, tantomeno, tornare al paese d’origine identificato come troppo “bigotto” e dove potrebbe essere vittima di atteggiamenti discriminatori a causa della sua condizione. Lorenzo dichiara: “sono omosessuale e sieropositivo, praticamente un mostro!”
L’immagine del mostro è eloquente. Il mostro è qualcosa che fa paura, è il diverso per antonomasia, l’anomalo: l’autostigma, infatti, incorpora la costruzione di un confine apparentemente netto e indiscutibile che separa dai “sani”, dai “normali”.
Inoltre emerge il senso di colpa nei confronti della madre che non ha ancora accettato la sua omosessualità e a cui dovrà comunicare anche questa nuova “notizia”.
Riferisce pensieri continui e disturbanti circa la morte, il fallimento del trattamento farmacologico e la perdita di controllo del proprio corpo a causa degli effetti collaterali della terapia HAART (lipodistrofia). Dal diario emerge la paura che l’infezione possa progredire in AIDS per la comparsa di infezioni opportunistiche e tumori HIV-correlati.
Dai colloqui e dall’assessment psicodiagnostico si evince che la sofferenza e la sintomatologia che il paziente riferisce hanno la loro origine con la comunicazione della sua sieropositività. Tuttavia, l’evento critico si situa in uno sfondo caratterizzato da una significativa instabilità affettiva ed emotiva.
Una spirale viziosa ha condotto il paziente ad un disinvestimento emotivo e di impegno nell’organizzazione del proprio lavoro che, circolarizzato, ha finito per creare un senso di impotenza e di fallimento.
Risulta chiaro che, a monte del life event della scoperta della sieropositività, esisteva già una discrepanza tra aspettative attese e l’esperienza vissuta nel presente.
I modi attuali di essere nel mondo di Lorenzo hanno a che fare, anche, con le modalità della relazione diadica madre-figlio nella sua fanciullezza e, soprattutto, nell’adolescenza, quando emerge in lui la consapevolezza della sua sessualità. La madre vive la sessualità del figlio con una coloritura di emozioni centrate sulla vergogna, che la allontana sempre più dal figlio, confermando uno stile di accudimento distaccato, distanziante e quasi di ostilità e che elicita una esperienza di rottura affettiva con il figlio: «per mia madre sono sempre stato una vergogna, il figlio omosessuale da nascondere, quello che se incontri per strada non saluti e abbassi la testa. Mio padre voleva riscattarmi facendomi entrare nella banca dove lavora lui, mi aveva preparato un bel lavoro in paese, ma io ho rifiutato e da allora mi parla a stento. Da quando poi ho scelto di fare il truccatore, le chiacchere in famiglia non si sono risparmiate…e io non sono riuscito neanche a farmi rinnovare il contratto dall’azienda, ho confermato a tutti di essere un fallito».
Emerge un Sé debole con aspettative di abbandono, che lo portano a nascondere aspetti negativi di sé ritenuti incomunicabili per non recare disturbo alla figura di attaccamento.
In questo sfondo di organizzazione depressiva arriva il life event della scoperta della sieropositività, che finisce per scompensarlo ed elicita in lui processi disfunzionali di lettura della realtà solo in termini di perdita, rifiuto e paura di abbandono.
Il desiderio di vendetta, l’incapacità iniziale a focalizzarsi su se stesso rende la fase iniziale di terapia particolarmente difficile. Il paziente rischia di rimanere intrappolato nella ruminazione rabbiosa. Focalizza la sua attenzione e le sue energie sull’ingiustizia subita e sull’untore. Tale attivazione si autoalimenta attraverso la continua rievocazione degli eventi e attraverso “l’affect as information”, per cui Lorenzo usa la propria emozione come un’informazione che conferma il fatto di aver subito un torto. Dal punto di vista clinico, i sentimenti negativi e la ruminazione rabbiosa contribuiscono a disturbare la qualità del sonno e ciò che ne consegue in termini di ripercussione sulla vita sociale e lavorativa. Tra l’altro la ruminazione su un danno subito aumenta i livelli di cortisolo, con ripercussioni sul sistema immunitario già gravemente compromesso dal virus dell’HIV. Decidiamo insieme di iniziare la terapia antiretrovirale ed una terapia farmacologica antidepressiva. L’intervento si dispiega attraverso episodi narrativi che, piano piano, Lorenzo porta in seduta, sono scene nucleari della sua relazione con la madre. Emerge in tutta la sua portata il filo conduttore dell’intera storia: la rottura affettiva con la madre, in seguito all’avvenuta consapevolezza della omosessualità di Lorenzo. Lo stile di accudimento che si fa sempre più distaccato, di allontanamento e perfino di rifiuto.
Una rilettura più funzionale del passato, del presente e della sieropositività
Il paziente riconosce le proprie emozioni in seduta e attraverso la relazione terapeutica.
Accede a ricordi autobiografici riportando episodi dettagliati in cui aveva già sperimentato nell’infanzia ed in particolare nel rapporto con la madre vissuti di esclusione e rifiuto.
Attraverso la rivisitazione di queste scene di vita e la continua riformulazione del caso, Lorenzo prende consapevolezza dei suoi schemi interpersonali, e che le modalità con cui esperisce e spiega gli eventi di vita e le relazioni con gli altri sono correlati alla sua storia di sviluppo. Questa consapevolezza di un rapporto causale tra “il bambino che è stato” e le sue attuali modalità di coping conduce il paziente al tentativo di ristrutturare una nuova narrativa, una nuova e più funzionale rilettura del passato ma soprattutto del presente.
Il lavoro fatto in terapia gli ha permesso di riconciliarsi con “l’inquilino ingombrante”. La sua narrativa è cambiata: «L’HIV non è più un nemico, non lo vedo più come un inquilino invadente… ma piuttosto come un compagno di viaggio».
Questo passaggio dimostra un ribaltamento verso una capacità di cogliere nel negativo gli elementi positivi e permette di utilizzare l’aspetto di vulnerabilità verso una dimensione di possibilità, maturando un sentimento di condivisione e non di solitudine. L’accesso alle emozioni e alle memorie autobiografiche correlate ha permesso la realizzazione di un processo narrativo che è passato dall’IO SONO all’IO POSSO, consentendo la capacità di agency e sviluppando resilienza per creare prospettive future.
Gli ha consentito, inoltre, di rapportarsi all’altro in una dimensione di scambio, di reciprocità e di maggiore consapevolezza della propria sessualità.
E’ proprio nel riuscire ad affrontare l’esperienza dolorosa sublimandola ed utilizzandola come fondamento di una nuova costruzione che Lorenzo mette in gioco le sue reali potenzialità.
Via via Lorenzo diventa più disponibile ad assumersi la responsabilità del modo in cui gestisce la propria vita, abbandonando modalità di autosvalutazione e ricercando ragioni di vita al di là dei limiti esistenziali e di quelli imposti dalla malattia. Il percorso di accettazione si realizza lungo il tempo, vivendo la malattia nella concretezza della vita quotidiana e acquisendo di conseguenza un progressivo senso di controllo su di essa. Il risultato è che è più facile vivere la malattia che non immaginarsi di viverla, quando si riceve la diagnosi. Quindi anche l’attivazione comportamentale ha il suo ruolo nell’esprimere il nesso tra identità e autoefficacia, così importante nella malattia cronica: l’identità si realizza in azioni concrete, nelle quali la persona sperimenta la propria capacità di fare e di raggiungere mete significative.
Sieropositività e associazionismo
Durante la pratica della Mindfulness, utilizzata soprattutto per il rimuginio rabbioso, il paziente esprime il desiderio di “rompere i castelli di rabbia e le prigioni di vendetta” per poter accedere alla libertà del perdono. Il paziente esprime il desiderio di perdonare.
Lorenzo è riuscito a trovare un significato a ciò che ha subito, questo ha prodotto in lui un’energia positiva, capace di stimolare l’apertura verso altri bisognosi di aiuto, attivando un circolo virtuoso (oggi è un’attivista della LILA-Lega Italiana per la Lotta contro l’AIDS, ed uno dei conduttori del gruppo di mutuo aiuto)
A Lorenzo risulta via via evidente che la sua sofferenza non è ascrivibile ad eventi fortuiti o alle colpe degli altri. La nuova proiezione di sé nel futuro lo induce ad un ulteriore atto di responsabilità: l’amore verso se stesso e verso gli altri.
Non a caso, l’attività di Lorenzo nell’ associazionismo gli ha permesso di sperimentare in gruppo, un senso di utilità ed autoefficacia, grazie alla versatilità di ruolo che il lavoro di gruppo ha favorito e di vivere sentimenti intensi sentendosi protetto e sostenuto dal gruppo potendo verificare che le aspettative temute di abbandono non si sono verificate nel “qui ed ora” dell’esperienza gruppale.
Come scrive Silvia Bonino, nel suo libro Mille fili mi legano qui – Vivere la malattia, «la promozione del sentimento di autoefficacia nelle situazioni che si affrontano nella vita quotidiana dovrebbe costituire una priorità sia per il paziente, sia per chi ha cura di lui». L’autoefficacia, ovvero la convinzione di poter raggiungere gli obiettivi prefissati e di affrontare le difficoltà che la vita pone, avendo fiducia nelle proprie risorse, è un sentimento che può essere favorito dalle esperienze positive, in una sorta di circolo virtuoso, dall’osservazione di altre persone che ce l’hanno fatta, e dalla persuasione, ovvero dall’incoraggiamento e dal sostegno da parte di chi crede nelle competenze della persona.
I gruppi di mutuo aiuto o di terapia breve, all’interno delle Associazioni a supporto delle persone HIV positive che svolgono attività continuativa direttamente a contatto con l’utenza, possono incrementare il sentimento di autoefficacia e possono favorire l’individuazione delle capacità, dei limiti e dei passi necessari, anche intermedi, per raggiungere gli obiettivi funzionali alla realizzazione in ambito personale, familiare, lavorativo, sociale.
Si innesca così un processo circolare, in cui il senso di autoefficacia e gli obiettivi raggiunti aiutano a trovare un senso alla propria vita e accrescono i livelli di autostima, “costruendo e plasmando l’immagine che abbiamo di noi stessi” (tratto da “Vivere la Sieropositività”).
Oggi più che mai, bisogna ricordare il ruolo decisivo svolto dalle associazioni di volontariato di pazienti HIV, dai gruppi di sostegno e soprattutto dagli attivisti organizzati in gruppi di pressione, all’interno delle steering committees e dei comitati organizzatori dei maggiori congressi: la loro presenza ha fatto sì che non si perdesse mai di vista il fine ultimo di iniziative volte a chiarire aspetti importanti della relazione medico-paziente. Pensiamo, ad esempio, al raggiungimento di alcune conquiste in ambito medico quali il counselling, che si richiede venga offerto obbligatoriamente prima e dopo il test; si pensi ancora alle garanzie individuate per mantenere l’anonimato, alla confidenzialità della relazione, alla questione del consenso informato, ed alla partecipazione agli studi sperimentali.
La lotta alla sieropositività, condotta dagli attivisti, ha rappresentato un’occasione unica in ambito medico per discutere della relazione tra comportamenti e salute ed ha permesso che si iniziasse a parlare di educazione alla salute, di promozione della salute e non semplicemente di prevenzione di stati patologici.