Curare i casi complessi: già dal titolo il seminario condotto a Palermo lo scorso 7 giugno dal Dr. Antonino Carcione, psichiatra, psicoterapeuta, fondatore e direttore scientifico del Terzocentro di psicoterapia cognitiva di Roma, si prospettava fonte di spunti operativi per gli addetti ai lavori che si scontrano quotidianamente con richieste di crescente difficoltà in relazione al buon esito degli interventi terapeutici.
L’apertura dei lavori, con la disamina di un caso clinico introdotto dal relatore, delinea fin da subito i temi centrali dell’intero intervento formativo: la diagnosi del disturbo borderline di personalità, lo specifico deficit della metacognizione riscontrabile nel disturbo e i principi su cui si fonda la Terapia Metacognitiva Interpersonale (T.M.I.).
Porre una diagnosi di disturbo borderline di personalità significa indagare due aspetti principali: la dimensione dell’identità e la variabile interpersonale – spiega Carcione – La prima dimensione riguarda l’accurata valutazione di se stessi, la capacità di regolare le esperienze emotive e l’auto-direzionalità ovvero la capacità di mettere in moto piani di azione finalizzati a un obiettivo; la seconda riguarda la capacità di interazione con gli altri, la reciprocità sociale. Per diagnosticare il disturbo, secondo il DSM V, le due dimensioni devono essere moderatamente gravi, rendendo il disagio relativamente stabile e pervasivo. Un disturbo invalidante che spesso si associa ad altri disturbi di personalità, e nel 35% dei casi ad almeno un secondo disturbo.
Identità, autodirezionalità e relazioni interpersonali valide: costrutti che introducono al concetto chiave di metacognizione.
Deficit o assenza di metacognizione, ovvero l’abilità di riconoscere i propri stati mentali e riflettere su di essi, conducono a una varietà di problemi interpersonali: per esempio quando si chiede un cambio turno in maniera violenta è facile vedere confermate le aspettative negative di rifiuto. In generale ciò denota un’incapacità di comprendere gli effetti del proprio comportamento sugli altri.
Il Dr. Antonino Carcione durante il Seminario “Curare i casi complessi”
Analizzare la metacognizione attraverso un buon assessment è fondamentale per impostare un buon trattamento considerata anche la correlazione tra metacognizione e gravità della psicopatologia.
La T.M.I., fondandosi sull’idea che le disfunzioni metacognitive ostacolano la capacità di padroneggiare e gestire la sofferenza psicologica e le relazioni interpersonali, si propone come approccio costruito sulla base dell’integrazione di tecniche differenti, con un chiaro focus sui deficit metacognitivi. La terapia si focalizza sul miglioramento della metacognizione attraverso cinque passaggi fondamentali e l’utilizzo di interventi individuali e di gruppo – continua il relatore.
Cinque passaggi che corrispondono, nel loro declinarsi, all’acquisizione o miglioramento delle capacità di riconoscimento, monitoraggio e integrazione dei propri stati mentali, in modo da aumentare il benessere personale e relazionale, in cui la relazione terapeutica funge da “strumento privilegiato” per le emozioni messe in gioco, le stesse che il paziente mette in atto nelle relazioni quotidiane.
La T.M.I. prevede due livelli di intervento: il primo riguarda la regolazione dell’alleanza terapeutica, la cui solidità è a fondamento del successo di ogni terapia, attraverso per esempio l’uso del contratto terapeutico, mentre il secondo riguarda le strategie volte a ridurre le disfunzioni metacognitive – spiega ancora Carcione – Focalizzando l’attenzione sul secondo livello e i cinque passi che lo contraddistinguono, il terapeuta porterà il paziente a riconoscere innanzitutto le emozioni primarie (il come si sente), quindi paziente e terapeuta procederanno con il secondo passo che consiste nell’individuazione degli stati mentali e del passaggio da uno stato all’altro, concentrandosi su cosa determina tale shift. A questo punto ci si muoverà verso il terzo passo, volto a riconoscere la soggettività del proprio punto di vista per giungere alla promozione del decentramento, ovvero ad aumentare la consapevolezza del proprio ruolo nel determinare i processi interpersonali disfunzionali, e in cui il controtransfert gioca un ruolo importante: ciò permetterà di aumentare le probabilità di ricevere risposte positive dagli altri. La finalità ultima della terapia è promuovere un senso di self agency, ovvero il senso di autodeterminazione rispetto alle scelte di vita.
Una finalità importante, che sancisce l’importanza di superare una visione pessimistica delle relazioni umane e del futuro, un fatalismo e una tendenza alla vittimizzazione basati sulla convinzione di vivere in mondo ingrato e pieno di gratuite ingiustizie.