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Curare i casi complessi: la terapia dei disturbi di personalità – Report dal workshop

A Grosseto il workshop sulla terapia dei disturbi di personalità, dove i Dott. Semerari e Colle hanno illustrato un modello di intervento integrato.

Di Giorgia Simoncini Malucelli

Pubblicato il 10 Apr. 2017

Aggiornato il 12 Apr. 2017 12:34

Si è svolto a Grosseto il workshop “Curare i casi complessi: la terapia dei disturbi di personalità ” interamente dedicato alla descrizione e al trattamento di quei pazienti che presentano aspetti psicopatologici multiformi.

 

Si è svolto a Grosseto il workshop “Curare i casi complessi: la terapia dei disturbi di personalità  organizzato dalla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitiva (SPC) e tenuto dal dott. Antonio Semerari e dalla dott.ssa Livia Colle.

Il titolo dell’evento è stato tratto dal volume Curare i casi complessi – La terapia metacognitiva interpersonale dei disturbi di personalità, pubblicato di recente da Laterza e curato da tre dei fondatori del Terzo Centro di Psicoterapia Cognitiva, Antonino Carcione, Giuseppe Nicolò e Antonio Semerari. Il volume ha il pregio di riassumere, per il lettore che desideri accostarsi alle conoscenze sulla terapia dei disturbi di personalità, molte delle evoluzioni più recenti riguardanti la teoria, la ricerca di base e la pratica clinica. Scopo principale degli autori è quello di offrire delle linee guida per il trattamento e la terapia dei disturbi di personalità, secondo un modello di intervento integrato, in modo da fornire al professionista un utile strumento per coglierne per tempo le tracce e prepararsi alle difficoltà che questi pongono in psicoterapia.

L’intensa giornata di workshop è stata dedicata alla comprensione della sintomatologia che accomuna i casi complessi e in particolare alle linee guida della Terapia Metacognitiva Interpersonale (TMI) proposta dai clinici del Terzo Centro di Psicoterapia Cognitiva per questa tipologia di pazienti.

 

La terapia dei disturbi di personalità: il problema della nosografia categoriale

Il seminario sulla terapia dei disturbi di personalità si è aperto ponendo l’attenzione al problema dell’attuale nosografia categoriale che presenta profondi limiti nella comprensione della complessità dei casi che si incontrano nella pratica clinica quotidiana.

Come spiegato dal dott. Antonio Semerari durante la prima parte del workshop è raro trovarsi di fronte a un quadro psicopatologico “puro” ovvero che risponda unicamente alle caratteristiche di uno specifico disturbo. Oltre il 60% dei pazienti con diagnosi di disturbo di personalità presenta almeno un altro disturbo di personalità e una varietà di sintomi e di manifestazioni psicopatologiche che caratterizzano altri disturbi psichiatrici.

L’autore inoltre, riprendendo una proposta formulata da Livesley (2003), spiega come la patologia della personalità è caratterizzata dall’alterazione delle “funzioni del Sé”, relative all’identità e all’autodirezionalità, e delle relazioni interpersonali, relative all’empatia e alla capacità di stabilire relazioni intime.

Semerari si sofferma sulle funzioni del Sé, specificando che l’identità riguarda il senso soggettivo di sé, l’autostima e la regolazione emotiva, mentre l’autodirezionalità riguarda gli scopi a lungo termine che gli individui riescono a posizionare su una gerarchia di rilevanza.

La personalità disturbata presenta dunque una rappresentazione di sé alterata – spiega Semerari – perché instabile e frammentata o perché rigida e ridotta, priva di quella flessibilità che permette di avere una coerenza soggettiva di noi stessi pur adattandoci alle richieste della vita, dell’ambiente e della nostra stessa maturazione personale, evolvendo con un senso di continuità. Con la patologia si perde tale continuità, a causa della frammentazione, o si perde l’evoluzione, a causa della rigidità

 

Terapia dei disturbi di personalità: i fattori alla base della psicopatologia

Secondo il modello proposto dai colleghi del Terzo Centro, nella terapia dei disturbi di personalità, l’intervento clinico dovrebbe indirizzarsi sui fattori generali alla base della psicopatologia della personalità, ovvero i fattori comuni a molti disturbi di personalità, quali:

L’attenzione è focalizzata suelle diverse funzioni metacognitive che risultano danneggiate in questi pazienti:

  • Il Monitoraggio ovvero la capacità di riconoscere le emozioni e i pensieri che costituiscono uno stato mentale, le motivazioni e gli scopi che sottendono il comportamento e la capacità di cogliere le relazioni immediate tra pensieri ed emozioni.
  • L’Integrazione ovvero la capacità di riflettere sui diversi stati e processi mentali in modo da poter ordinarli secondo una gerarchia di rilevanza e di rendere coerente il comportamento rispetto ai propri scopi a breve e a lungo termine.
  • La Differenziazione ovvero la capacità di differenziare tra mondo interno delle rappresentazioni e mondo della realtà esterna, che permette di compiere due operazioni fondamentali: distinguere tra fantasia e realtà e sviluppare una distanza critica dalle proprie credenze, ammettendo la possibilità che possano rivelarsi false.
  • Il Decentramento ovvero la capacità di riuscire a descrivere gli stati mentali e le azioni altrui, a prescindere dal proprio punto di vista o coinvolgimento nella relazione, in modo plausibile e chiaro, senza ricorrere a stereotipi o luoghi comuni.

Quando tali abilità risultano danneggiate il paziente presenta narrazioni opache, confuse e frammentate o caratterizzate da un alto livello di egocetrismo tale da esprimersi in forme primitive di pensiero che Bateman e Fonagy (2004) hanno chiamato “pensiero teleologico” (dove all’altro viene attribuita un’intenzione esclusivamente sulla base dell’effetto che il suo comportamento ha provocato sul soggetto).

Come è ampiamente spiegato nel volume Curare i casi complessi, la metacognizione è conoscenza della mente e noi siamo costantemente impegnati a usare tale conoscenza per regolare e influenzare i nostri e altrui stati mentali (come nei casi di malessere soggettivo e di problemi interpersonali). La capacità di regolazione degli stati problematici è un’altra fondamentale funzione metacognitiva, definita Padroneggiamento (mastery), che si riferisce alla capacità dell’individuo di affrontare i propri stati interni come problemi da risolvere, pianificando strategie di coping flessibili e adeguate.

Le strategie di mastery possono essere distinte in tre livelli che vanno dal più semplice, che richiede un ridotto senso di agentività da parte dell’individuo, a quelle più complesse, che richiedono operazioni di rielaborazione metacognitiva:

  1. Agire sullo stato problematico modificando lo stato corporeo (ad esempio assumere dosi congrue di psicofarmaci o effettuare sport) o utilizzando il contesto interpersonale come supporto (ad esempio chiamare un amico per gestire la solitudine o il senso di abbandono).
  2. Affrontare il problema imponendosi o inibendo un comportamento (ad esempio decidere di andare al cinema invece di continuare a rimuginare sul problema), regolando volontariamente l’assetto mentale (distrazione o evitamento).
  3. Affrontare il problema operando sulle valutazioni e le credenze che ne sono alla base (ad esempio cercando di formulare interpretazioni alternative) o tollerando i momenti di sofferenza ai quali non è possibile porre rimedio (ad esempio nel caso di un lutto).

Le capacità di regolazione degli stati interni, cruciali per il benessere psicologico, sono da considerarsi distinte dalle capacità di conoscenza degli stati mentali. Difatti, nella pratica clinica, è frequente incontrare pazienti abili nel descrivere e analizzare i propri stati mentali fonte di sofferenza, ma del tutto incapaci di rispondere a tale sofferenza con strategie efficaci e non controproducenti.

Durante questa prima parte del workshop, il dott. Semerari, attraverso la descrizione di due casi clinici, caratterizzati da una sovrapposizione di diagnosi categoriali differenti, ha illustrato il problema della complessità clinica di questi pazienti, sottolineando l’impossibilità di effettuare una diagnosi differenziale e invitando i clinici a chiedersi come si stabilisce una gerarchia di rilevanza all’interno di questi diversi aspetti psicopatologici.

 

La terapia dei disturbi di personalità proposta dal Dott. Semerari

L’ intervento terapeutico proposto dal dott. Semerari si svolge su un doppio setting (individuale e di gruppo) che necessita di un efficace lavoro di équipe e di una stretta collaborazione tra i terapeuti.

La prima parte della terapia dei disturbi di personalità prevede una fase di pre-trattamento, in cui viene effettuato l’assessment psichiatrico-diagnostico del paziente (primo colloquio clinico, test autosomministrati e interviste semi-strutturate). Durante la fase di trattamento, si procede prima di tutto con la terapia individuale proprio allo scopo di preparare il paziente alla successiva terapia di gruppo.

Curare i casi complessi la terapia dei disturbi di personalita – Report del workshop - semerari

Il Dott. Semerari durante il Workshop Curare i casi complessi: la terapia dei disturbi di personalità

 

Nella fase iniziale, Semerari spiega che le prime domande di tipo terapeutico che il clinico deve porsi di fronte a casi complessi possono ad esempio essere:

  • Sono presenti sintomi gravi che minacciano l’incolumità fisica del paziente?
  • Sono presenti sintomi che ostacolano il lavoro terapeutico?
  • Quale degli aspetti psicopatologici contribuisce di più alla patologia?

Rispondendo a tali domande il clinico può prospettarsi un’idea precisa dei diversi obiettivi terapeutici da perseguire.

All’interno del setting individuale, è importante comprendere inoltre quali sono i fattori che ostacolano un atteggiamento metacognitivo in questi pazienti. Oltre alle difficoltà metacognitive di base proprie dei disturbi di personalità, alcuni esempi possono essere:

  • La presenza di un problema relazionale con il terapeuta,
  • Un’attivazione emotiva troppo intensa per permettere al paziente di riflettere,
  • Una condizione di disorientamento e confusione sui propri stati interni.

Il dott. Semerari sottolinea l’importanza di vedere la rottura dell’alleanza terapeutica, che può avvenire quando si attiva un ciclo interpersonale disfunzionale tra paziente e terapeuta, come una preziosa occasione per il clinico di conoscere e sperimentare in prima persona cosa prova e come funziona il paziente nelle relazioni interpersonali. “Si tratta di un’idea esperienziale oltre che cognitiva che il paziente ci offre di sé all’interno della relazione terapeutica”.

Quando invece ci si trova di fronte a un’intensa attivazione emotiva del paziente lo scopo del clinico sarà quello di stabilizzare il tono emotivo della seduta ad esempio attraverso un atteggiamento calmo e rassicurante. “È attraverso un inconscio processo di elaborazione in cui si tiene conto della conoscenza del paziente, della storia della relazione terapeutica e dei segnali espressivi nel qui e ora che il terapeuta sceglie quale tono, postura, comunicazione non verbale è utile a regolare l’emotività in seduta

Infine, quando il paziente appare molto confuso e disorientato è importante guidare il paziente a riflettere proprio su tale disorientamento, percepito anche dal terapeuta (ad esempio facendogli notare il sovraffollamento di temi importanti all’interno della sua narrazione). “Ciò aiuterà il paziente a riorganizzare le informazioni e porsi in un atteggiamento maggiormente riflessivo”.

 

L’intervento di gruppo: la proposta della Dott.ssa Colle

Nella seconda parte del workshop, la dott.ssa Livia Colle ha illustrato in dettaglio due moduli di intervento di gruppo, dedicati in particolare a due aree sintomatiche: i pazienti che presentano ritiro sociale e i pazienti con difficoltà di regolazione emotiva.

La dott.ssa Colle ribadisce il concetto che:

l’idea alla base di questo modello di trattamento è che siano i deficit metacognitivi a causare in questi pazienti le difficoltà interpersonali e di identificazione e perseguimento dei propri obiettivi”.

Sono dunque sempre le funzioni metacognitive il focus dell’intervento di gruppo e di conseguenza lo sono anche le abilità interpersonali. I moduli di intervento di gruppo sono infatti organizzati in modo simile allo skills training proposto dal trattamento DBT per i pazienti borderline e hanno l’obiettivo di potenziare le abilità metacognitive e le abilità interpersonali dei pazienti.

I moduli previsti sono di due tipi: Il modulo metacognitivo e Il modulo di competenze interpersonali, all’interno dei quali le capacità metacognitive e le competenze sociali vengono sviluppate attraverso:

  • La psicoeducazione
  • Le esercitazioni e il role play in gruppo
  • I compiti a casa su specifici argomenti ogni settimana

Oltre all’utilità di apprendere nuove abilità – spiega infine la dott.ssa Colle – il gruppo ha l’enorme vantaggio di poterle sperimentare in un contesto interpersonale protetto. L’aspetto innovativo di questo intervento è proprio la condivisione graduale delle proprie esperienze personali. La condivisione diviene così un tema di discussione e contemporaneamente un’esperienza concreta più facilmente affrontabile e piacevole.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Carcione A., Nicolò G., e Semerari A. (a cura di) “Curare i casi complessi. La terapia metacognitiva interpersonale dei disturbi di personalità”, Laterza, Bari, 2016.
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