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Il divano è meglio di Freud di Gianfranco Buffardi (2016) – Recensione

Il libro di Gianfranco Buffardi tratta dei fattori aspecifici e comuni a qualsiasi trattamento psicoterapico e della loro efficacia

Di Stefano Terenzi

Pubblicato il 26 Lug. 2016

Il libro “Il divano è meglio di Freud” è una riflessione acculturata e stimolante del dott. Gianfranco Buffardi sui fattori aspecifici presenti nelle relazioni d’aiuto. La sua lettura scorre fluida tra colti spunti e ironici accenni.

Introduzione

L’esposizione degli argomenti, a volte, prende spunto dalle sequenze scritte e illustrate da Charles Monroe Schulz. Charlie Brown, Rita Van Pelt e altri personaggi dei Peanuts, con i loro sagaci dialoghi, sono i nostri compagni di viaggio. Inoltre, le considerazioni tecniche sono spesso accompagnate da colti rimandi, mai scontati e sovente brillanti, e aneddoti personali di esperienza clinica (citando Jaspers: “esistenze per altre esistenze”). Sia il clinico esperto che un educatore, senza altisonanti qualifiche professionali, potrà trarre utili informazioni e validi accorgimenti per il suo lavoro quotidiano.

Il valore terapeutico dei fattori aspecifici delle relazioni d’aiuto

Con chiarezza e tocchi d’umorismo l’autore attinge alla sua esperienza clinica e formazione teorica (neoesistenziale) per proporre un testo che non si assurge a saggio o a manuale ma, come lui stesso lo definisce, a una “sorta di resoconto ragionato”. Lo scrittore ha voluto aggiungere, svincolandosi da posizionamenti teorici e metodologici, quelli che per lui sono i fattori comuni o aspecifici delle relazioni d’aiuto. Invece di enucleare le componenti divergenti tra i diversi modelli teorico-pratici, ha evidenziato gli elementi delle metodologie, del setting e dell’approccio relazionale che non sono legati ad un modello psicologico di riferimento, ma che possono ritrovarsi in gran parte delle pratiche operative consolidate, avvalorate da un potenziale terapeutico e di cura.

Ergo, il testo vuole presentare un insieme di fattori aspecifici che in psicoterapia e nelle professioni d’aiuto in generale svolgono un ruolo significativo e di efficacia all’interno della relazione terapeutica (intesa come ogni relazione “educativa”). Secondo l’autore hanno un ruolo importantissimo per il risultato finale della terapia, a volte anche più importante dei fattori specifici. Invero, ritiene che i suddetti fattori siano eticamente più validi di quelli specifici del modello utilizzato dal singolo professionista teoricamente orientato. Inoltre, riconosce a queste componenti aspecifiche un intrinseco contenuto terapeutico, presente nella maggior parte delle professioni d’aiuto e che necessitino di una formazione mirata e particolareggiata per essere adeguatamente acquisite.

Nella presentazione del suo lavoro, per prima cosa, l’autore chiarisce, a livello epistemologico, il senso delle parole dei temi basilari che fungeranno da cardine concettuale alle sue esposizioni argomentative.

Descrive così il suo modello di riferimento (esistenziale), chi sono i suoi maggiori esponenti e quali sono i principi teorici (sceglie i più integrabili e universalizzabili). Introduce, in seguito, il concetto di epigenesi, di aiuto, di cambiamento e di meta-apprendimento; approfondisce il tema dell’aiuto, lo sviluppo storico delle professioni d’aiuto; puntualizza sul concetto di terapia, cura e di determinismo dei modelli terapeutici.

La critica al determinismo assoluto in psicologia

Una delle considerazioni che maggiormente ho apprezzato e trovato arricchente è stata la critica al determinismo assoluto.
Nello specifico, adducendo al principio di Indeterminazione di Heisenberg del 1927 e al teorema di Incompletezza di Gödel del 1930-31 (così come similmente evidenziato dallo stesso Zichichi in “Perché io credo in Colui che ha fatto il mondo”) l’autore riflette sul concetto di impossibilità di raggiungere una conoscenza totale di tutti gli elementi presenti in un sistema e di tutte le componenti in esso interagenti. Non vi è dunque la possibilità di annoverare e afferrare tutti gli elementi concorrenti alla piena comprensione di un sistema, sia questo di matrice psicologica, matematica o fisica. Anche nelle scienze cosiddette “precise” come la matematica, la fisica e la chimica è impossibile comprendere tutti i fattori in gioco. Questa considerazione può essere traslata nel campo della psicologia e della comprensione dei suoi costituenti, molto meno “precisi”, dei loro similari matematici o fisici.

Ritengo utile tale affermazione non solo riguardo al valore intrinseco di una corretta disamina su chi ha realmente il trattamento migliore in un confronto metodologico tra i differenti approcci psicoterapeutici, ma anche a livello di relazione terapeutica, tra consulente e consultante, durante la discussione empatica circa la tendenza alla generalizzazione che il primo effettua tramite le sue credenze disfunzionali o rappresentazioni disturbanti, spesso fonte di dolore e problematicità psicologica. Dibattere con il paziente sulla reale indeterminazione di molti elementi alla base delle nostre personali considerazioni potrebbe aiutare a rendere meno dogmatiche e irremovibili le disfunzionali convinzioni che spesso il cliente propone nel setting psicoterapeutico.

Quali sono i fattori aspecifici della terapia?

Nel quarto capitolo il libro entra nel vivo e l’autore puntualizza che il termine “aspecifico” indica gli elementi che sono “assolutamente specifici” del rapporto di consultazione. Gli riconosce un valore “nobile” e importante poiché definisce ed eleva la qualità del rapporto tra due persone e le situa in un contesto relazionale esclusivo e originale.
Dopo aver delucidato i termini e il campo teorico su cui si muove la sua riflessione, l’autore divide i fattori aspecifici in: legati al consultante (colui che chiede aiuto), legati al terapeuta (consulente), specifici del setting (regole d’incontro) e del rapporto terapeutico (interattivo).
Il suo scopo è quello di individuare il loro potenziale terapeutico e di cura.

Per quanto concerne il primo gruppo di fattori (fattori aspecifici legati al consultante), partendo dal concetto di singolo come risultato dell’interazione tra le proprie caratteristiche genetiche, gli accadimenti e gli aiuti alla crescita di cui ha usufruito, lo scrittore li divide in: consapevolizzazione di necessitare d’aiuto; scelta; organizzazione della richiesta; narrazione e organizzazione mentale di ciò che deve narrare; disponibilità all’empatia.

Per quanto attende il secondo il gruppo di fattori (fattori aspecifici legati al consulente), lo psichiatra campano tiene a sottolineare che la creazione dell’alleanza terapeutica, strumento ormai considerato un must del rapporto terapeutico efficace, sia per la maggior parte compito del consulente e che i seguenti fattori siano attori importanti di un adeguato rapporto di consulenza: competenza clinica; autenticità, accettazione ed empatia; ricerca di sintonia; atteggiamento complementare/simmetrico.

In riferimento ai fattori aspecifici del setting, Buffardi reputa ogni elemento al suo interno non privo di significato. Include molte componenti e ci fa intendere che la sua comprensione dovrebbe essere poliedrica e particolarmente attenta ai seguenti fattori: qualità del setting; implementazione del campo affermativo; implementazione del senso di riconoscibilità e di “appartenenza”.

Infine, i fattori aspecifici del rapporto terapeutico sono considerati come molto frequenti e non sempre pienamente evidenti alla coscienza. La focalizzazione, la cognitivizzazione, la costruzione di una scala di valori, la sofferenza vissuta, l’ampliamento delle mappe interne e il cambiamento della visione del mondo sono i fattori presentati in questa sezione. Questo è il capitolo che ho trovato più interessante, probabilmente poiché ho trovato riflessioni teorico-pratiche davvero integrate e super-partes.

Il libro si conclude con due capitoli che puntano a completare la “quadratura del cerchio”, riguardo il tema proposto, introducendo le componenti aspecifiche comuni delle principali psicoterapie e i parametri per l’acquisizione di un’adeguata capacità di aiuto, di formazione personale e di etica professionale.
Considero questi due ultimi capitoli non meno importanti degli altri, anzi, qui si evince ancora meglio la competenza e la vasta esperienza dell’autore. Sono avanzati notevoli nozioni che possono sapientemente fungere da base concettuale per una valida e corretta professionalità nel campo delle relazioni d’aiuto.

Conclusioni

Nel complesso, il libro, con le sue 144 pagine, introduce, illustra e propone la lucida analisi personale di un clinico esperto e capace di esporre con erudizione e funzionalità quelli che sono i fattori aspecifici che svolgono quotidianamente un ruolo nella nostra pratica clinica. Comprenderli e tenerli presenti durante la terapia potrà sicuramente facilitare il nostro ruolo e rendere più agevolare il superamento del disagio psicologico.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Jaspers K, (1991), Il medico nell’età della tecnica, Raffaello Cortina, Milano.
  • Zichichi A, (1999), Perché io credo in Colui che ha fatto il mondo. Tra Fede e Scienza, Il Saggiatore, Milano.
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