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Disturbi alimentari: la famiglia bulimica – Magrezza non è bellezza nr. 22

Il cibo è nutrimento psicologico e cura: nella famiglia bulimica l’eccesso di cibo può essere un sostitutivo delle cure e delle attenzioni genitoriali. 

Di Sandra Sassaroli, Giovanni Maria Ruggiero, Francesca Fiore

Pubblicato il 22 Lug. 2016

L’attitudine della bulimica a separarsi velocemente dal nucleo familiare è probabilmente non solo una forma di fuga da una famiglia bulimica disfunzionale, ma anche una forma di conflitto più profondo che tende a portarle alla separazione dai genitori.

MAGREZZA NON E’ BELLEZZA – I DISTURBI ALIMENTARI: La famiglia bulimica (Nr. 22)

 

Sulle famiglie dei pazienti bulimici sono stati prodotti un gran numero di studi e osservazioni (Fairburn, Cooper, 1982; Johnson   et al. , 1982; Kent, Clopton, 1988; Pyle et al. , 1986). Il primo dato emerso è il peso corporeo, che è maggiore tra i familiari di questi pazienti rispetto ai soggetti di controllo (Garfinkel et al. , 1980; Herzog, 1982; Strober, 1981). Poiché la tendenza a ingrassare è influenzata da fattori genetici, la disregolazione alimentare si manifesta principalmente in famiglie predisposte a un aumento ponderale.

È anche vero, però, che i bambini con problemi alimentari possono imitare i modelli genitoriali, e alcune famiglie  sovrappeso potrebbero incoraggiare l’alimentazione, utilizzando il cibo come mezzo per manipolare e gestire le difficoltà emotive.

 

La famiglia bulimica: come le pazienti percepiscono i genitori

Solitamente le bulimiche si pongono obiettivi irrealistici di perdita di peso, esercitando sullo stesso un controllo patologico  (Fairburn, Cooper, 1982; Pyle et al. , 1981; Russell, 1979): alcuni studi hanno evidenziato che i pazienti bulimici percepiscono i  propri genitori (soprattutto i padri) come più controllanti (Pole   et al. , 1988; Rorty et al. , 2000), mentre gruppi di anoressiche hanno prodotto un modello misto di risultati (Castro, 2000) assimilabili maggiormente al controllo e all’iperprotezione (Murray et al. , 2000).

Un genitore invadente e controllante crea una vulnerabilità alla psicopatologia attraverso lo sviluppo di un orientamento perfezionista (Enns et al. , 2000; Soenens et al. , 2005), e in effetti alcune indagini hanno evidenziato che il controllo paterno ha degli effetti maggiori sull’alimentazione rispetto a quello materno, questo non significa comunque che la genitorialità materna non  sia coinvolta: il controllo materno potrebbe essere indirettamente connesso ad atteggiamenti disattivi dei pazienti che li portano a  sviluppare perfezionismo patologico.

Questa scoperta suggerisce che un’autovalutazione negativa riguardante l’orientamento perfezionista potrebbe essere la forza trainante nello sviluppo psicopatologico di un disturbo alimentare (Shafran et al. , 2002); e infatti, le eccessive colpevolizzazioni esercitate dai genitori sono legate a un abbassamento dell’autostima dell’adolescente che porta, conseguentemente, a innalzare i propri standard personali  (Soenens et al. , 2005).

 

Caratteristiche della famiglia bulimica

Nella famiglia bulimica, le pazienti sono più dipendenti rispetto alle altre donne nei confronti del padre e della madre, verso cui si manifesta una relazione conflittuale. Le bulimiche hanno una tendenza a mostrare una maggiore propensione alla separazione dai padri rispetto alle anoressiche, per problemi di adattamento (Hoffman, 1984; Rice   et al. , 1990). L’attitudine della bulimica a separarsi velocemente dal nucleo familiare è probabilmente non solo una forma di fuga da una famiglia bulimica disfunzionale, ma anche una forma di conflitto più profondo che tende a portarle alla separazione dai genitori  (Grotevant, Cooper, 1985; Lapsley et al. , 1989).

I padri delle bulimiche vengono descritti spesso come distanti emotivamente: questo dato potrebbe riguardare il ruolo svolto dai padri nella famiglia bulimica, piuttosto che una caratteristica della personalità. In ogni caso, le pazienti bulimiche dichiarano di non trascorrere molto tempo con il padre, come invece fanno le adolescenti normali. Si è anche osservato che durante l’infanzia, i padri sono stati vicino alle figlie, ma hanno assunto un atteggiamento sempre più distante durante l’adolescenza (Podolnick, 1987).

Sono stati prodotti inoltre diversi studi sul ruolo delle famiglie divorziate nella genesi della bulimia (Igoin-Apfelbaum, 1985; Herzog, 1982; Johnson, Flach, 1985). I figli di genitori divorziati mostrano una maggiore disregolazione emotiva, se considerati nella loro interezza psichica (Slater, Haber, 1984; Enos, Handal,  1986). Se centrati sulla fisicità, sono risultati maggiormente esposti a sviluppare bulimia.  La relazione coniugale dei genitori dei bulimici è stata descritta come emotivamente povera. Queste famiglie sviluppano una serie di difficoltà anche da un punto di vista sessuale. Diversi soggetti bulimici hanno riferito che i genitori dormivano in letti o camere separate; in alcuni casi è emersa una totale ripugnanza del padre nei confronti della madre.

La disarmonia coniugale dei genitori sembrerebbe una caratteristica significativa della famiglia bulimica. Tuttavia, nonostante la scarsa qualità della relazione coniugale, le bulimiche non denunciano violenze tra  i genitori. Solitamente tendono a riferire la poca empatia e la scarsa attenzione dei genitori nei loro confronti, fino a sentirsi delle sconosciute per entrambi (Bruch, 1970). I genitori di soggetti bulimici non sono in grado o non vogliono manifestare i sentimenti, per questo non riescono a esprimere un sostegno emotivo. In genere, le bulimiche avrebbero desiderato un dialogo maggiore con i genitori su qualsiasi argomento, ma riferiscono di non averne avuto molto.

Da osservare, infine, che nella famiglia bulimica è presente un atteggiamento repressivo verso gli argomenti che hanno a che fare con la sfera della sessualità  (Sights, Richards, 1984).

L’eziologia della bulimia è chiaramente multifattoriale. Tuttavia, considerate nel loro insieme, le informazioni sopra riportate rivelano fattori familiari che possono contribuire allo  sviluppo del disturbo psichico (Dolan et al., 1989). Mangiare rappresenta sicuramente una necessità biologica, ma il cibo è anche nutrimento psicologico e cura. Il rifiuto del cibo può simboleggiare da parte del bambino/a una mancanza di accettazione delle cure prestategli, mentre l’eccesso di cibo può essere considerato un sostitutivo delle cure e delle attenzioni di cui ha bisogno. L’abuso di cibo sembra quindi determinato dal desiderio di anestetizzare sentimenti di dolore, vergogna e disgusto  (Menzies, 1970).

 

RUBRICA MAGREZZA NON E’ BELLEZZA – I DISTURBI ALIMENTARI

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Sandra Sassaroli
Sandra Sassaroli

Presidente Gruppo Studi Cognitivi, Direttore del Dipartimento di Psicologia e Professore Onorario presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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