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Le consiglio una Song-therapy…Intervista a Romeo Lippi, lo psicologo del rock

Romeo Lippi ha cercato di integrare la musica con la psicologia creando dei gruppi di "Song Therapy" per favorire la crescita personale in modo innovativo. 

Di Gaspare Palmieri

Pubblicato il 22 Giu. 2016

Mi sono imbattuto casualmente in Romeo Lippi un paio d’anni fa, mentre vagabondavo per il web alla ricerca di materiale per il mio libro di Psicorock. Romeo si definisce infatti “lo psicologo del rock” ed è riuscito in modo molto efficace ad integrare le sue due grandi passioni per la musica e per la psicologia, organizzando gruppi di “Song-therapy”, che hanno la finalità di favorire la crescita personale in modo assolutamente innovativo attraverso l’ascolto in gruppo di canzoni cantautorali.

 

Romeo Lippi è anche un comunicatore formidabile con migliaia di follower sui social network (ha anche scritto un libro sull’uso dei social per gli psicologi), probabilmente perché i contenuti che propone sul rapporto tra psicologia e canzoni sono autentici, profondi e coinvolgenti. Ho avuto anche la fortuna di incontrarlo durante un suo “pellegrinaggio” a Modena (ovviamente a carattere enogastronomico…) e mi sono deciso a intervistarlo per capire meglio la sua attività decisamente rock!

– Ciao Romeo, ci racconti la tua storia. Quale formazione psicoterapica hai? Dove svolgi la tua attività clinica?

Ciao Gaspare! Ho una formazione di psicoterapia integrata presso l’Aspic di Roma. L’integrazione mi ha permesso di unire psicologia e canzoni. Lavoro a Viterbo.

Come è nata l’idea di introdurre le canzoni nel tuo lavoro?

È nata dall’urgenza di fare musica. Mi lamentavo con il mio maestro/supervisore del fatto che, lavorando molto, non avevo tempo da dedicare alle canzoni. Mi disse: “perché non unisci la tua passione con la psicologia?”. Da lì nacque il blog e la pagina Facebook; da un anno invece portiamo avanti progetti “fisici” come la psicologia del rock nelle scuole, i seminari-evento dedicati alle connessioni tra cantautorato e psicologia (“Cantautori: terapeuti dell’anima”), i laboratori e i gruppi di Songtherapy.

Ci racconti cosa succede esattamente nei gruppi di song-therapy?

10/20 persone in una stanza, a terra, sui tappeti. C’è un giro iniziale per dare voce allo stato emotivo del momento dei partecipanti. Poi inizia un lavoro di gruppo che cambia ogni volta: la carta d’identità musicale, il rilassamento evocativo, la rockin’ chair, “truccati come i kiss”, “disegna la tua maschera da concerto” e molti altri. Nella seconda parte chi vuole può fare delle esplorazioni individuali: attraverso le canzoni racconta un proprio problema e insieme cerchiamo di affrontarlo. C’è sempre un’atmosfera molto emotiva, calda; usare le canzoni permette di dare voce a se stessi senza parlare, di dare all’altro senza esporsi troppo, di creare dei significati comuni con i componenti del gruppo.

Ci fai qualche esempio di canzoni particolarmente evocative?

Ci sono “canzoni motivazionali” come “L’Estate Addosso” o “Gli Immortali” di Jovanotti. Lorenzo viene spesso citato come autore che fornisce carica, energia, vitalità, speranza. Ci sono quelle più riflessive: come “Creep” dei Radiohead o alcuni brani dei Cure, un must per esprimere stati di tristezza. Moby, Explotions in the Sky e The XX per rilassarsi e immaginare paradisi perduti. E ancora “canzoni di conforto”: “Abbi cura di te” di Levante, “La cura” di Battiato. Canzoni che ti insegnano come vivere: come “un medico” di Fabrizio De André o “Costruire” di Niccolò Fabi.

– Ho letto recentemente un tuo articolo sul valore catartico e terapeutico dell’ascolto delle canzoni tristi. Ci racconti qualcosa di più?

Parte tutto da una ricerca del 2016. Secondo le conclusioni degli autori, l’ascolto di musica triste potrebbe aiutare ad accettare ed affrontare un problema, specialmente quando tratta di situazioni quotidiane negative. La musica triste infatti permetterebbe alle persone la ri-esperienza del vissuto, al fine di aiutare ad elaborare la difficoltà, cosa che la musica cosiddetta “felice” non fa. La tristezza è un’emozione utile: se non si è mai tristi non ci si rende conto di quello che non va nella nostra vita. Allora ascoltare una canzone triste può diventare una vera e propria presa di coscienza; come se l’inconscio ci dicesse “adesso stai qui, ascolti, stai fermo, stai un po’ male e rifletti”. Il primo passo per il cambiamento è proprio quello di fermarsi e analizzare la situazione: una canzone triste può fare questo, farci riflettere prima di ripartire. Il mio video che ti allego ne è un ottimo esempio: di solito le persone, guardandolo e ascoltando la canzone (un brano della mia band “Le Ferite”), si commuovono e poi riflettono sulle proprie situazioni.

 

L’articolo prosegue sotto il video:

https://www.youtube.com/watch?v=1TdIW7cSS00

Come utilizzi la canzone invece nel setting individuale? Fate ascolti in seduta? “Prescrivi” ascolti per casa?

In una prima fase, chiedo sempre al paziente di compilare con me o a casa una lista di canzoni che ama; poi le ascoltiamo insieme e lui/lei mi spiega che significato hanno queste canzoni all’interno della sua esistenza. Poi queste o altre canzoni, che a volte escono fuori all’improvviso nella mia mente o in quella del paziente, ci accompagnano durante il percorso: canzoni per lavorare su un trauma, per rilassarsi, per comprendere una dinamica relazionale, per dire addio a qualcuno, per dare una “soundtrack” ai propri cambiamenti di vita. I benefici della terapia rimangono così ancorati a quelle canzoni: ogni volta che il paziente sente quel brano sorride, pensa al setting e alle tante cose buone che abbiamo fatto. Le introiezioni positive della terapia sembrano così rimanere in quella canzone: come gemme in un anello.

– Utilizzi anche le biografie dei cantautori nei tuoi gruppi. In che modo?

Pensa a Kurt Cobain: bello, ricco, famoso, talentuoso; ma tremendamente infelice in alcuni momenti, tanto da uccidersi. Spesso le biografie degli artisti ci aiutano a capire che, per essere felici, bisogna lavorare sui nostri bisogni profondi e non sulle sirene della sola soddisfazione dell’edonismo. Inoltre ci aiutano a vedere come trasformare le sofferenze e i limiti in risorse: Califano che fa della sua voce roca un marchio inequivocabilmente riconosciuto, Ozzy Osborne che da ragazzino problematico diventa una superstar, John Lennon che sceglie di lasciare il mondo del Glitter per seguire se stesso e diventa il simbolo della pace e della non violenza.

So che lavori nelle scuole. Credi che la canzone sia uno strumento di comunicazione efficace per i più giovani?

Trovami un ragazzo a cui non piaccia la musica e che non voglia parlare di musica. È un argomento vincente con loro: posso creare relazione in maniera informale, veloce e efficace senza che mi vedano come lo strizzacervelli che li etichetta come matti o delinquenti.

Ho visto che tieni anche seminari di song-therapy per i colleghi. C’è interesse per questo argomento? A chi sono rivolti in particolare?

L’interesse dei colleghi è enorme. Comprendono che le canzoni possano essere un valido strumento per rendere la professione più divertente per loro e per gli utenti, per innovare e per incrementare le prese in carico. Appunto faremo una nuova formazione adesso a Roma e a Pordenone e a Ottobre a Modena. Sono aperti sia a colleghi già iscritti all’ordine ma anche a studenti che vogliono vedere come integrare una passione come la musica nella professione. C’è posto anche per insegnanti e educatori: le conoscenze teoriche e pratiche che fornisco durante il training possono essere usate anche in setting di sostegno, riabilitazione e apprendimento.

Recentemente Niccolò Fabi ha condiviso su Facebook una tua analisi psicologica della sua canzone Costruire. Bel colpo! I musicisti cosa pensano della tua attività? Come viene accolto di solito “lo psicologo del rock” nel mondo della musica?

In realtà l’articolo parlava dell’effetto che la canzone “Costruire” di Fabi ha avuto sui partecipanti ad un gruppo di Songtherapy: questo brano ha coeso il gruppo intorno all’idea di investire sulle relazioni, quelle del gruppo in primis. Sono molto contento che Niccolò Fabi l’abbia ricondivisa sul suo canale con parole veramente emozionanti (ha postato il mio articolo e ha scritto: “quante cose possono accadere dopo la pubblicazione di una canzone…questa è una delle più gratificanti”). I musicisti sono molto interessati al mio approccio: scopriamo che abbiamo molte più cose in comune di quanto pensiamo; alla fine sia io che loro lavoriamo con e attraverso le emozioni. A volte mi è capitato di essere stato accolto con un po’ di freddezza o di ironia: pensavano che “lo psicologo del rock” fosse uno scherzo, che non fossi un vero psicologo o avevano il timore classico di “essere psicanalizzati”; ma bastano pochi minuti poi per scoprirci in quello che siamo: delle persone che amano la musica, l’incontro con l’altro, la comunicazione vera.

Hai scritto un libro sull’uso di Facebook per gli psicologi. In che modo i nuovi media possono diventare strumento di lavoro per gli psicologi?

Si chiama appunto “Facebook per Psicologi”. Secondo me ignorare il mondo di Internet è una follia: come fai a parlare con un adolescente che vive sui social se non li conosci? Internet e Facebook forniscono grandi possibilità di studio, di promozione e di informazione per il grande mondo della “Psi”; la nostra missione per il futuro è usare questi mezzi per evitare la deriva tecnologica a favore del contatto reale con l’altro; ma non possiamo farlo demonizzando i social media, dobbiamo aiutare le persone a usarli per quello che sono, cioè mezzi, per raggiungere la soddisfazione dei propri bisogni: far capire che comunque una carezza o una lacrima sono molto più belle e forti di mille mi piace.  Appunto “Lo psicologo del rock” che era iniziato come un blog adesso ha molte attività “fisiche”: non voglio creare una pseudorelazione con le persone che seguono il mio progetto, non voglio che mettano solo “mi piace” a quello che scrivo, voglio fare musica, ascoltare musica e incontrare persone, guardandoci negli occhi e non attraverso uno schermo.

Progetti per il futuro? Cosa ti frulla nella tua testa rock?

Tante cose. Ora partiremo con una  serie di appuntamenti: facciamo “Cantautori: terapeuti dell’anima” in uno dei festival letterari più importanti d’Italia e stiamo ultimando gli accordi per portare i “laboratori di Songtherapy” in festival musicali italiani e europei. Per il futuro: voglio creare qualcosa che integri canzoni e psicologia in un’esperienza totale,  portarlo in giro e vivere così di musica e di contatto emotivo.

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Claudio Longhi è professore presso il Dipartimento delle Arti dell'Università di Bologna e direttore del progetto Carissimi Padri della Fondazione ERT.

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