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Soddisfazione lavorativa e cinismo organizzativo

La soddisfazione lavorativa consiste nel considerare il proprio lavoro piacevole e in grado di soddisfare valori personali importanti connessi al lavoro.

Di Ernesto De Simone

Pubblicato il 15 Apr. 2016

Aggiornato il 10 Ott. 2019 12:45

L’articolo descrive le conseguenze psicosociali delle difficoltà attuali negli ambienti di lavoro, i fattori che determinano la soddisfazione lavorativa e il concetto di cinismo organizzativo.

 

Breve excursus storico

Ai tempi di Taylor (1911), con l’avvento dell’industrializzazione e della catena di montaggio, si era portati a pensare che per il lavoratore la fonte predominante di soddisfazione lavorativa fosse la retribuzione monetaria. Ma fu già con Elton Mayo (1949) che si iniziarono a fare indagini sulle motivazioni sottostanti le soddisfazioni, scoprendo che c’erano anche motivazioni intrinseche per la soddisfazione di un lavoratore, come un buon ambiente lavorativo, buoni rapporti con i colleghi, riconoscimento personale per il proprio lavoro svolto.

Da queste prime indagini, si arriva ai più esaustivi lavori di Locke che ha studiato a fondo la soddisfazione lavorativa dandone questa definizione: [blockquote style=”1″]La soddisfazione lavorativa è un sentimento di piacevolezza che deriva dalla percezione che la propria attività lavorativa è in grado di soddisfare valori personali importanti connessi al lavoro. [/blockquote] Ed i fattori principali sottostanti la soddisfazione lavorativa sono i valori personali connessi al lavoro, l’importanza personale che questi valori assumono per il lavoratore, la percezione e la valutazione individuale del proprio ambiente e contenuto lavorativo, per quanto riguarda le aspettative e le attese che per il singolo assumono. Come afferma la teoria della discrepanza, la soddisfazione è definita in base al grado di discrepanza tra i risultati percepiti e ciò che la persona vuole o che si aspetta di ottenere.

 

Soddisfazione lavorativa e Corporate Social Responsibility

Il modello della Core Self-Evalutation del 1997 definisce quattro componenti che determinano le disposizioni personali nei confronti della soddisfazione lavorativa: autostima, autoefficacia, locus of control e nevroticismo. Questo modello ci vuole indicare che un lavoratore con alti livelli di autostima e di autoefficacia è portato ad avere livelli più alti di soddisfazione lavorativa. Se poi questo lavoratore ha anche un locus of control interno, ebbene sarà ancora più soddisfatto del proprio lavoro, così come se ha livelli bassi di nevroticismo.
Come affermato precedentemente, ci sono anche altri costrutti collegati a quella della soddisfazione lavorativa.

Nel Libro Verde (2001) della UE la Corporate Social Responsibility viene così definita: l’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate. Essere socialmente responsabili significa non solo soddisfare pienamente gli obblighi giuridici applicabili, ma anche andare al di là investendo “di più” nel capitale umano, nell’ambiente e nei rapporti con le altre parti interessate.

L’esperienza acquisita con gli investimenti in tecnologie e prassi commerciali ecologicamente responsabili suggerisce che le imprese possono aumentare la propria competitività. L’applicazione di norme sociali, ad esempio nel settore della formazione, delle condizioni di lavoro o dei rapporti tra la direzione e il personale, può avere un impatto diretto sulla produttività. Si apre in tal modo una strada che consente di gestire il cambiamento e di conciliare lo sviluppo sociale e una maggiore competitività.

Nell’ambito dell’impresa, la CSR ha riflessi in primo luogo sui dipendenti e riguardano ad esempio gli investimenti nel capitale umano, nella salute e nella sicurezza e nella gestione del cambiamento, mentre le prassi ecologiche responsabili riguardano soprattutto la gestione delle risorse naturali utilizzate nella produzione. Esse aprono una via che consente di gestire il cambiamento e di conciliare lo sviluppo sociale e una maggiore competitività.

Attualmente, una delle maggiori sfide che debbono affrontare le imprese è di attrarre e conservare i lavoratori qualificati. In tale contesto, una serie di misure adeguate potrebbero comprendere l’istruzione e la formazione lungo tutto l’arco della vita, la responsabilizzazione del personale e un miglioramento del circuito d’informazione nell’impresa.
Successivamente troviamo la moralità percepita. Si avrà alta percezione quando la propria azienda viene vista come rispettosa delle norme etiche e morali e, quindi, fa sentire più sicuro e stabile il posto di lavoro. Inoltre, perché sa che ha alle spalle una organizzazione affidabile e rispettosa che, grazie a queste caratteristiche, avrà anche performance migliori.

Naturalmente, come possiamo intuire dal termine “percepita”, questa dimensione morale non è assoluta e uguale per tutti, ma viene percepita in modo parzialmente diverso tra i lavoratori, perciò è difficile avere tra i lavoratori di un’azienda un punto di vista comune sulla moralità aziendale.
Per le aziende è, quindi, importante avere un codice morale, ma altrettanto importante è anche saperlo comunicare ai propri dipendenti dato che in alcuni studi è stato riscontrato che nonostante delle aziende avessero dei codici etici, i lavoratori non ne erano a conoscenza. Cosi, la consapevolezza dei dipendenti del codice etico è probabilmente più importante che l’esistenza o non esistenza del codice di etica stesso.

Un codice etico di un’organizzazione è l’espressione scritta delle sue norme morali e dei valori, e farlo percepire ai propri lavoratori può avere affetti positivi su di loro e può anche contribuire ad innalzare i livelli di condotta morale. Inoltre, nella misura in cui i lavoratori percepiscono i propri valori morali congruenti con quelli dell’azienda, possono anche portare a maggiori livelli di commitment organizzativo.
E proprio il commitment organizzativo è un altro dei concetti fondamentali che si lega alla soddisfazione lavorativa. Una traduzione letterale del termine “commitment” si riferisce a dei comportamenti individuali e/o di gruppo che possono essere definiti nei termini di impegno, senso di responsabilità, senso del dovere verso la propria organizzazione.

In modo più specifico e dettagliato, Mowday parla di forme di identificazione degli individui con l’organizzazione, identificazione con i suoi obiettivi unitamente al desiderio di rimanere a farne parte, identificazione e condivisione degli stessi valori tra lavoratore e organizzazione.
Ultimo, ma non per importanza troviamo il concetto di cittadinanza organizzativa, che indica quei comportamenti e quei gesti del lavoratore che vanno oltre lo specifico ruolo richiesto dall’azienda in cui lavora, utili all’organizzazione che non possono né essere imposti sulla base dei doveri di ruolo né indotti dalla garanzia di una ricompensa contrattuale.

 

Il cinismo organizzativo

Roe e Dean lo descrivono come un atteggiamento che può essere scomposto in tre dimensioni: cognitiva, affettiva e comportamentale. La dimensione cognitiva è espressa attraverso concezioni mentali negative come la convinzione che l’egoismo e la falsità siano al centro della natura umana e, più specificatamente, esprimono seri dubbi sulla sincerità ed onestà della propria organizzazione. La dimensione affettiva del cinismo organizzativo è rappresentata in concettualizzazioni emozionali come frustrazione e disillusione o pessimismo. Infine, la dimensione comportamentale del cinismo viene ben rappresentata dal concetto di “acting out” (agire fuori da noi, “buttare fuori”), agito direttamente o indirettamente con comportamenti ostili e disprezzo delle motivazioni, alienazione, ritiro psicologico e disimpegno, perdita di fiducia nei leader che promuovono il cambiamento, o diffidenza verso persone, gruppi, ideologie, convenzioni sociali e istituzioni.

Per spiegare la formazione del cinismo organizzativo bisogna parlare del contratto psicologico dei lavoratori. Questo contratto indica cosa i lavoratori devono aspettarsi dal proprio lavoro, il loro ruolo nell’organizzazione e come questa dovrebbe trattarlo in modo equo rispetto a tutti gli altri. Purtroppo spesso si verificano eventi come scarsa comunicazione, percezione dei propri manager come incompetenti, spazio limitato o nullo nelle decisioni aziendali, un ruolo ambiguo e un conflitto con la chiara percezione di una giustizia interna caratterizzata da ineguaglianze interne. Tutto questo non fa altro che portare il lavoratore a vedere distrutta ogni forma di contratto psicologico e dare il via al cinismo verso l’organizzazione.

Dati tutti questi elementi possiamo ipotizzare che il cinismo organizzativo possa indurre a insoddisfazione lavorativa e alienazione, diminuzione del commitment e della citizenship verso la propria organizzazione. Naturalmente, tutte queste considerazioni negative incidono sfavorevolmente sia sul lavoratore, che non esprime al meglio il suo potenziale produttivo, che sull’organizzazione, che risentirà necessariamente di tutte queste problematiche sul posto di lavoro.
Inoltre è importante far capire che non tutti i lavoratori percepiscono un evento allo stesso modo, l’evento in sè non ha un significato specifico uguale per tutti, ma viene percepito diversamente da ogni lavoratore.

Dopo tutte queste considerazioni negative bisogna menzionare anche alcune considerazioni positive. Dean ipotizza che i cinici sarebbero portati a criticare più apertamente e frequentemente tutti quei comportamenti dei dirigenti dell’azienda diretti verso scopi personali e quindi contro i principi etici e, ovviamente, contro gli stessi lavoratori. Questa ipotesi è supportata anche da Andersson e Bateman, che hanno scoperto nelle loro ricerche che i cinici sono portati a rifiutare le richieste di comportamenti anti-etici promossi dalla propria organizzazione.
Le conseguenze del cinismo sono riassunte nell’impatto che ha sui costrutti ad esso correlati, come la soddisfazione lavorativa, il commitment organizzativo, l’alienazione al lavoro e la cittadinanza organizzativa.

Concludendo, il cinismo organizzativo è senza dubbio un argomento di crescente interesse per quanto riguarda gli studi nel campo delle organizzazioni, sia per quanto riguarda il lavoratore, perché conoscendo le dinamiche interne a questo fenomeno si possono cercare di sviluppare strategie per ridurre o eliminare del tutto questo fenomeno negativo che impatta sul benessere dell’individuo-lavoratore, sia per l’organizzazione stessa perché avere dei lavoratori cinici porta solo svantaggi in termini di impegno, presenze, identificazione. Tutto ciò si ripercuote inesorabilmente anche sulla performance lavorativa e sulla efficacia ed efficienza dell’organizzazione, aumentandone i costi e diminuendone i profitti.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Andersson, L. M., & Bateman, T. S. (1997). Cynicism in the workplace: Some causes and effects. Journal of Organizational Behavior, 18, 449-469.
  • Commissione Europea (2001). “Libro Verde: Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese”. (18/7/2001).
  • Dean, J. W., Brandes, P., & Dharwadkar, R. (1998). Organizational cynicism. Academy of Management Review, 23, 341-352.
  • Judge, T. A., Locke, E. A., & Durham, C. C. (1997). The dispositional causes of job satisfaction: A core evaluations approach. Research in Organizational Behavior, 19, 151-188.
  • Mayo, E. (1949). Hawthorne and the Western Electric Company. The Social Problems of an Industrial Civilisation. Routledge publications.
  • Mowday, R. T., Porter, L. W., Steers, R. M. (1982). Employee-organization linkages: The psychology of commitment, absenteeism, and turnover. San Diego, CA: Academic Press.
  • Roe, R. A., Naus, F., & Van Iterson, A. (2007). Organizational cynicism: Extending the exit, voice, loyalty, and neglect model of employees' responses to adverse conditions in the workplace. Human Relations, 60, 683-718.
  • Taylor, F. W. (1911), The Principles of Scientific Management, New York, NY, USA and London, UK.
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