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Linee guida e buone prassi per la psicoterapia: che fare?

La riforma della legge sulla responsabilità professionale del personale sanitario e cosa significa per la pratica della psicoterapia in Italia

Di Sandra Sassaroli, Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 05 Apr. 2016

Alcune settimane fa è stato approvato alla Camera un testo di riforma della legge sulla responsabilità professionale del personale sanitario che potrebbe avere significative ripercussioni per la pratica psicoterapeutica in Italia. È soprattutto l’articolo 6, articolo che regolamenta la responsabilità professionale penale e civile del professionista sanitario, che potrebbe avere queste ricadute.

Sandra Sassaroli e Giovanni M. Ruggiero

L’articolo indica che il professionista che, nello svolgimento della propria attività, danneggi la persona assistita non sarebbe incolpabile quando siano state rispettate le buone pratiche clinico-assistenziali e le raccomandazioni previste dalle linee guida così come definite e pubblicate ai sensi di legge.

La domanda diventa: quali sono in Italia le buone prassi e le linee guida nel trattamento dei disturbi psicopatologici?

Allo stato attuale queste non esistono ufficialmente, quantomento per ciò che riguarda i trattamenti psicologici. L’ultima pubblicazione al riguardo, con l’egida del Ministero della salute, è l’edizione italiana di Clinical Evidence del 2008.

Tuttavia lo stesso articolo 6 assicura che il Ministero della salute emanerà le linee guida entro due anni dall’approvazione della legge attenendosi a quelle indicate dalle società scientifiche e dagli istituti di ricerca accreditati.

Il movimento cognitivo comportamentale clinico in Italia dovrebbe avere molto da dire su questo argomento. Le società scientifiche e gli enti rappresentativi, come la SITCC (Società Italiana di Terapia Comportamentale e Cognitiva), l’AIAMC (Associazione Italiana di Analisi e Modificazione del Comportamento e Terapia Comportamentale e Cognitiva) e la Consulta delle scuole di terapia cognitiva e comportamentale. Questi organi sociali possono contribuire a definire le buone prassi e le linee guida per il trattamento dei disturbi psicopatologici, presentarle in un documento ufficiale al Ministero della salute ed essere interlocutori scientificamente autorevoli nella costruzione delle linee guida che saranno prossimamente emanate dal Ministero. Questa posizione, che è quasi un’esortazione, può essere condivisa da molti.

Da molti ma non da tutti, tuttavia. Alcuni raccomandano un atteggiamento più prudente. Non si tratta di una posizione ufficiale sostenuta esplicitamente da determinati esponenti dell’ambiente italiano del cognitivismo clinico. Si tratta semmai di timori diffusi, che si esprimono in dichiarazioni informali. Il timore sarebbe che la definizione di linee guida di buona pratica costringerebbe la psicoterapia in un modello medico che la violenterebbe e la snaturerebbe. Inoltre, data la natura difficilmente formalizzabile della psicoterapia, il rischio di esporre i psicoterapeuti alle rappresaglie legali di pazienti sarebbe non piccolo. Dietro l’angolo ci sarebbe la possibilità di abbandonare la posizione garantista della responsabilità extracontrattuale “neminem laedere” che obbliga il soggetto che ritiene di aver ricevuto un danno all’onere della prova. Ovvero prima che ognuno di noi debba difendersi da una accusa tocca a chi ci accusa provarne la veridicità.

Tuttavia forse non è il caso di allarmarsi. Sulla colpa grave, nel 1972 una sentenza della Corte di cassazione civile aveva stabilito che:

“L’imperizia dovuta a colpa grave consiste nella totale difformità del metodo o tecnica scelti, dalle conoscenze acquisite alla scienza e pratica mediche, “sia per l’approvazione delle autorità scientifiche o per la consolidata sperimentazione”. Le conoscenze acquisite dalla scienza medica devono costituire il “necessario corredo culturale e professionale del medico”.

Tuttavia, il professionista ha una libertà di scelta tra le terapie e i metodi che la scienza offre. La legge ritiene che non si siano gli estremi della colpa grave, nel caso che il medico abbia scelto, in alternativa, un rimedio che, pur essendo giudicato dal mondo scientifico non in maniera univoca, non sia però da questo scartato.

 

Questi timori sono comprensibili e non sono infondati. Lo psicoterapeuta è un operatore geloso della propria indipendenza professionale e di una certa esclusività del suo rapporto con il paziente. Il rischio di ingabbiare in un sarcofago la psicoterapia non è implausibile.

Tuttavia questi timori non sembrano sfociare in una proposta chiara, ma restano allo stato di dichiarazioni non ufficiali, riducendosi in sterili mugugni. Sembra quasi che questa posizione raccomandi una posizione di attesa e di non collaborazione, nella speranza che la bolla si sgonfi e tutto si areni in linee guida in fondo inefficaci, se non generiche.

Altri ancora suggeriscono che le linee guida siano state già definite in sedi differenti dal Ministero e funzionano bene, nei loro limiti. Ad esempio, qualcosa del genere sarebbe presente nel documento 14/131/CR08b/C8 della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, contenente una Proposta di Accordo Stato-Regioni sulla definizione dei percorsi di cura da attivare nei pazienti schizofrenici, i disturbi dell’umore e i disturbi gravi di dipartimenti di salute mentale per i disturbi personalità.

Il che è in parte vero. Ma quel che nel documento colpisce è che mentre per la farmacologia procedure decisionali, tempistiche, dosaggi e procedure sono precise e dettagliate e rivelano un’elevata competenza del legislatore, della psicoterapia si parla in maniera frettolosa e generica. Compaiono una vaga prescrizione alla psicoterapia laddove serva e un paio di fuggevoli ammissioni di superiorità della psicoterapia cognitiva nel trattamento di certi disturbi di area ansiosa.

Questa genericità può essere in parte frutto solo dell’informata saggezza di un legislatore che -dopo aver a lungo studiato e meditato- non si vuole abbandonare a facili certezze. Oppure può riflettere la scarsa informazione del legislatore italiano verso la psicoterapia, soprattutto cognitiva. La sanità psichiatrica italiana, si sa, punta sulla farmacologia e sulla biologia e della psicoterapia nulla o poco sa.

Come si vede, siamo molto lontani da prescrizioni rigide e restrittive, in grado di ammanettare la pratica clinica e i psicoterapeuti.

Un dato a favore della strategie attendista è quello che fa notare che i tempi sono ancora lunghi. Il disegno di legge è ora al Senato, in attesa di ricevere i pareri di diverse Commissioni. Nei prossimi mesi, dopo le audizioni informali e i pareri delle Commissioni verranno apportate modifiche al testo approvato. Questo richiederà una nuova lettura alla Camera. Una volta approvata, la legge prevede che entro sei mesi il Ministero della salute istituisca e regolamenti con apposito decreto l’elenco delle Società scientifiche che contribuiranno all’elaborazione delle buone pratiche clinico-assistenziali e alle linee guida. Il tutto non avverrà in tempi brevi.

Davanti a questo scenario prolungato nel tempo una strategia prudentemente attendista potrebbe essere in parte corretta. E in parte no. Possiamo solo paventare mille timori davanti ai quali sarebbe meglio tacere? Perché non pensare anche ad attrezzarsi di fronte all’incremento delle regole di aderenza alle procedure, incremento che innegabilmente è parte di quella modernità scientifica a cui la terapia cognitivo-comportamentale spesso si richiama?

Una possibile roadmap per attrezzarsi a fornire il proprio contributo alla futura richiesta di parere tecnico da parte del ministero dovrebbe comprendere la prosecuzione dell’opera di formazione e di aggiornamento sulla responsabilità professionale, sulle buone pratiche cliniche e sulle Linee guida diagnostiche, terapeutiche e riabilitative; la promozione, la diffusione e l’applicazione, delle Linee guida più valide già esistenti; la costituzione di gruppi di lavoro per l’elaborazione di Linee guida relative all’utilizzo dei trattamenti psicoterapeutici comportamentali e cognitivi nei diversi disturbi e/o ambiti assistenziali. Facendo questo ci si potrà proporre come interlocutori competenti del Ministero.

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Sandra Sassaroli
Sandra Sassaroli

Presidente Gruppo Studi Cognitivi, Direttore del Dipartimento di Psicologia e Professore Onorario presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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