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Trattamento della bulimia: le condotte di compenso

Durante la terapia della bulimia è importante che ci sia un'astensione dalle condotte di compenso, ossia lassativi, vomito autoindotto o eccessivo esercizio

Di Sandra Sassaroli, Giovanni Maria Ruggiero, Francesca Fiore

Pubblicato il 29 Apr. 2016

Per quanto riguarda le condotte di compenso (vomito, lassativi, diuretici, esercizio fisico) occorre chiarire con il paziente che l’astenersi da queste condotte è fondamentale per la buona riuscita del contratto terapeutico. Il trattamento cognitivo delle condotte di compenso è naturalmente ancora una volta centrato sull’accertamento e sulle credenze cognitive.

MAGREZZA NON E’ BELLEZZA – I DISTURBI ALIMENTARI: Il trattamento di Fairburn per la bulimia: la funzione delle condotte di compenso (Nr. 11)

 

Interrompere le condotte di compenso durante la terapia

Il paziente attua tali condotte di compenso per le solite ragioni: per controllare il peso e l’aspetto corporeo e perché fa dipendere la propria esistenza, la soddisfazione di sé e il senso di realizzazione unicamente dall’aspetto e dal peso. Se il paziente manca di astenersi dalle condotte di eliminazione e compenso, si determina un rallentamento se non un blocco del processo terapeutico.

Sarà allora necessario informare il paziente che la sua collaborazione e motivazione al cambiamento sono indispensabili e che senza un impegno attivo volto a interrompere tali condotte una terapia efficace è impossibile. Ciò non implica affatto l’abbandono completo della cura: il terapeuta può continuare a ricevere il paziente, ma deve essere chiaro che, almeno per il momento, non si tratta più di terapia cognitiva ma semmai di supporto e consulenza, in attesa di potere ripartire nel momento in cui il paziente sarà più motivato. È importante che il paziente sia consapevole che la terapia è tecnicamente interrotta, anche se gli incontri con il terapeuta continuano.

È una fase di attesa in cui il terapeuta accoglie il paziente nella sua – ci si augura – temporanea difficoltà a cambiare. Ma non è terapia. Naturalmente la motivazione a interrompere i cicli abbuffate/condotte di eliminazione va rafforzata e alimentata attraverso l’analisi cognitiva di questi cicli. E quindi, ancora una volta, si sottolineerà l’importanza sproporzionata che il paziente riserva al controllo del peso e dell’aspetto corporeo e la dipendenza rigida della stima di sé da questo controllo. Ma la consapevolezza cognitiva non sempre basta. Occorre anche una forte motivazione personale.

 

Come astenersi dalle abbuffate

In questa fase, comunque, si possono suggerire alcuni accorgimenti comportamentali per aiutare la paziente ad astenersi dalle abbuffate. Vediamoli: 1) individuare cibi temuti (che vomiterò) e cibi rassicuranti (che posso tenermi in pancia); 2) ideare, insieme al terapeuta, una lista di comportamenti alternativi alle abbuffate o alle condotte di eliminazione e portarla sempre con me (possibili attività alternative: a) sport (attenzione però che l’esercizio fisico non costituisca attività di compenso); b) passeggiare con familiari, amici; c) farsi una doccia o un bagno; d) telefonare, far visita; e) musica).

È inoltre importante incoraggiare il paziente a riflettere sugli aspetti psicologici dei suoi episodi di abbuffata e condotte eliminative. Più precisamente, il paziente deve essere maggiormente consapevole del tempo mentale occupato da un impulso ad abbuffarsi o a vomitare. Il paziente inizia così a ragionare sui suoi stati d’animo anziché obbedire loro meccanicamente e ciecamente. Un impulso va ricondotto alla sua natura di episodio che per un breve tempo occupa l’intero spazio mentale ma che è destinato a scomparire altrettanto rapidamente. In tal modo può essere possibile disinnescare un episodio impulsivo.

 

Individuare i pensieri che precedono le abbuffate

Comprendere i pensieri che portano alle abbuffate significa anche riflettere sulle circostanze che accompagnano questi episodi, In genere si tratta di situazioni stressanti in cui il paziente si sente giudicato o peggio, escluso o emarginato. Scrivere nel diario i pensieri tra un pasto e l’altro e quando emerge il desiderio di abbuffarsi, rende il paziente più consapevole dei suoi problemi e anche delle possibili attività alternative, aiutandolo a gestire meglio l’impulso di abbuffarsi. Perché mi abbuffo? A che mi serve? Mi calma? Mi punisco? Mi gratifica? Mi distrae?

L’analisi cognitiva alla Ellis aiuta il paziente a capire che le abbuffate e le condotte eliminative non capitano a caso, ma in presenza di situazioni problematiche: 1) individuare il problema; 2) definirlo con esattezza come ostacolo per uno scopo a cui tengo; 3) elaborare delle soluzioni specifiche, evitando le genericità e descrivendo azioni determinate; 4) elencare i pro e contro di ciascuna soluzione; 5) scelta; 6) esecuzione. Il paziente va incoraggiato a intraprendere questa strada e a evitare di rifugiarsi in azioni ripetitive il cui unico obiettivo è procurarsi stati emotivi di anestesia, come appunto le abbuffate. Il paziente, insomma, va aiutato a comprendere che il desiderio di abbuffarsi può essere la spia di un problema da affrontare. Come? Col problem solving, appunto.

 

RUBRICA MAGREZZA NON E’ BELLEZZA – I DISTURBI ALIMENTARI

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Sandra Sassaroli
Sandra Sassaroli

Presidente Gruppo Studi Cognitivi, Direttore del Dipartimento di Psicologia e Professore Onorario presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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