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I tratti callous-unemotional: l’importanza di prevenire la psicopatia in infanzia e adolescenza

Per prevenire la psicopatia è fondamentale individuare già nella prima infanzia quelli che sono importanti predittori di personalità psicopatica.

Di Jacopo De Angelis

Pubblicato il 15 Mar. 2016

Aggiornato il 05 Lug. 2019 12:23

Prevenire la psicopatia: a partire dalla fine degli anni ’90 del secolo scorso, la letteratura ha individuato una costellazione di tratti, definiti appunto callous-unemotional, che, se presenti fin dall’età scolare, associati al disturbo della condotta, possono essere in grado di predire la psicopatia in adolescenza e in età adulta.

 

La psicopatia: la definizione e la misurazione

Una delle prime definizioni scientifiche di Psicopatia venne redatta dallo psicologo canadese Robert Hare, il quale, basandosi sui tratti individuati e definiti già nel 1941 dallo psichiatra Hervey Cleckley, definì lo psicopatico come una persona totalmente incapace di provare empatia, rimorso, senso di colpa e improntata allo sviluppo di relazioni basate sull’uso della manipolazione, lo sfruttamento e , in casi estremi, violenza e aggressività (Hare, 1991).

Riprendendo la definizione di Cleckley, Hare sviluppò uno strumento atto alla misurazione dei tratti psicopatici: la Psychopathy Checklist (PCL, Hare, 1985) e la sua rivisitazione, ovvero la Hare Psychopathy Checklist – Revised (PCL-R, Hare, 1991). La scala definisce la psicopatia sulla base di due dimensioni sovraordinate, ossia una dimensione Interpersonale-Affettiva (Factor 1: Interpersonal/Affective) e una dimensione relativa allo stile di vita antisociale (Factor 2: Antisocial Lifestyle) che spesso contraddistingue la biografia degli psicopatici. A partire da questi due fattori troviamo una serie di sub-fattori che vanno ad identificare tratti più specifici della personalità psicopatica, tra cui la loquacità, la superficialità emozionale, l’assenza di empatia, l’impulsività e un deficit del controllo comportamentale.

Lo studio della psicopatia ha delle importantissime ripercussioni, soprattutto, a livello sociale (Cooke, Forth & Hare, 1998). Il tratto psicopatico, a differenza di molti altri disturbi caratterizzanti l’area delle nevrosi e in parte dei disturbi psicotici, si contraddistingue per una totale assenza di egodistonia e sofferenza. Lo psicopatico, in sintesi, non riconosce la presenza e la natura del suo disturbo, tende a non sperimentare nessuna sofferenza, dunque l’approccio clinico alla psicopatia non deve essere considerato in chiave “classica”, ovvero puramente riabilitativa.

Lo psicopatico non è, infatti, una persona da re-inserire o riadattare socialmente. Paradossalmente, Babiak e Hare (2006) hanno sottolineato come, in alcuni settori, tra cui in particolare spiccano il mondo finanziario e quello giuridico, la presenza di alcuni di questi tratti risulti addirittura predittiva di una carriera di successo ed economicamente soddisfacente. Ecco che allora prevenire la psicopatia diventa fondamentale per il contesto sociale ed economico in cui viviamo.

Tralasciando i casi più estremi di omicidio, quotidianamente assistiamo, tramite i notiziari, a notizie di truffe finanziarie, furti, violenze fisiche o psicologiche entro le mura domestiche, a cui spesso attribuiamo etichette demoniache, in assenza di una possibilità, da parte della nostra mente, di dare un volto e un nome a tali brutalità e al cinismo e alla freddezza che si celano dietro questi atti. In realtà, nella maggior parte di questi casi il volto (la maschera) che si nasconde dietro questi episodi è proprio quello di uno psicopatico: per questo capire e prevenire la psicopatia è importante.

 

Come prevenire la psicopatia

Ma esiste una cura per la psicopatia? La risposta ad oggi è no. La psichiatria, la psicologia e tutti gli approcci psicoterapeutici non hanno identificato un approccio ideale per la cura dei sintomi della psicopatia, al contrario sembra che in taluni casi la psicoterapia possa peggiorare la sintomatologia dello psicopatico, rendendolo ancor più abile a comprendere strumenti di manipolazione e ricatto nei confronti dell’altro (Patrick, 2006).

 

I predittori della psicopatia: tratti callous-unemotional

PsicopatiaL’unico strumento possibile sembra quello di prevenire la psicopatia, ossia quello di cercare di prevedere l’entità del disturbo già durante l’infanzia, se non nei primissimi mesi di vita. In tal senso, a partire dalla fine degli anni ’90 del secolo scorso, la letteratura ha individuato una costellazione di tratti, definiti appunto callous-unemotional, che, se presenti fin dall’età scolare, associati al disturbo della condotta, possono essere in grado di predire la psicopatia in adolescenza e in età adulta (Frick & Ellis, 1999; Frick & Moffitt, 2010).

Da notare come, nell’ultima versione del DSM (DSM-5), i tratti callous-unemotional siano stati inseriti per la prima volta come tratti a tutti gli effetti diagnosticabili. In particolare, il profilo del bambino/adolescente callous-unemotional, che emerge dal DSM-5, è quello di un individuo con disturbo della condotta che ha mostrato nel corso degli ultimi 12 mesi almeno tre delle seguenti caratteristiche in una o più delle relazioni sociali caratterizzanti la sua vita:
1) Mancanza di rimorso e/o senso di colpa
2) Mancanza di empatia
3) Mancanza di preoccupazione riguardo alle proprie performance in ambito scolastico o in altre attività rilevanti (a seconda dell’età)
4) Affettività superficiale.

Come si può evincere dalla descrizione riportata dal DSM, il profilo di questi bambini è pressoché identico a quello di psicopatici adulti, sebbene, ovviamente, le manifestazioni fenotipiche si presentino in maniera molto diversa. Ad esempio, difficilmente osserveremo un bambino con forti tratti psicopatici ingannare un adulto truffandolo o inducendolo a un investimento che, probabilmente, lo porterà in rovina, ma potremmo osservare un bambino capace di mentire con una spudoratezza sconcertante riguardo ad atti violenti e spesso premeditati come possono essere la sottomissione fisica e psicologica di un coetaneo o di un animale.

Tali bambini e adolescenti si distinguono, infatti, da altri loro coetanei con disturbi esternalizzanti quali deficit dell’ attenzione con iperattività (ADHD), disturbo oppositivo provocatorio o disturbo della condotta senza comorbidità con tratti psicopatici, per la freddezza emotiva, la razionalità e la premeditazione dei loro atti, connotando, dunque, la loro aggressività come aggressività proattiva, ossia premeditata e calcolata piuttosto che semplicemente figlia dell’impulso e della reattività emotiva.

Sebbene la prognosi di questi bambini risulti spesso significativamente negativa se comparata a quella di coetanei con altri disturbi comportamentali (Frick & Viding, 2009), intervenire su questi tratti il più precocemente possibile potrebbe essere la chiave di volta per un intervento più efficace. Se da un lato è vero che l’empatia non può essere insegnata, è altresì vero che esiste una possibilità di lavorare sulle abilità socio-cognitive sottostanti queste abilità, come training basati sul riconoscimento delle emozioni o sul perspective taking di natura affettiva, senza dimenticare l’importanza della componente relazionale che, se utilizzata non come strumento pedagogico classico o diciamo “comportamentista”, bensì come strumento di interazione e di scambio profondo e reciproco potrebbe portare a risultati importanti. Prevenire la psicopatia è dunque possibile.

In quest’ottica è fondamentale il ruolo delle famiglie e delle scuole, che hanno la responsabilità di identificare e segnalare i comportamenti sospetti senza sperimentare senso di colpa o di autoaccusa, in quanto la ricerca ha dimostrato come la causa primaria di questa condizione disfunzionale sia prettamente di natura genetica piuttosto che ambientale o familiare (Viding, Fontaine, McCrory, 2012). Ciò sembra essere testimoniato anche da studi che hanno messo in rilievo una innaturale mancanza di eye-contact e preferenza verso volti umani, in particolare quello materno, in questi individui fin dalle primissime settimane di vita (Dadds et al., 2012; Bedford et al., 2015).

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Bedford, R., Pickles, A., Sharp, H., Wright, N., & Hill, J. (2015). Reduced face preference in infancy: a developmental precursor to callous-unemotional traits? Biol Psychiatry, 78, 144-150.
  • Babiak, P., & Hare, R.D. (2006). Snakes in suits: when psychopaths go to work. New York, NY: HarperCollins.
  • Clecley, H.M. (1941). The Mask of Sanity. Louis, MO: Mosby.
  • Cooke, D.J., Forth, A.E., & Hare, R.D. (1998). Psychopathy: theory, research and implication for society. Dordretch, The Netherlands: Kluwer.
  • Dadds, M.R., Allen, J.L., Oliver, B.R., Faulkner, N., Legge, Katherine., Moul, C., Woolgar, M., & Scott, S. (2012). Love, eye contact and the developmental origins of empathy v. psychopathy. The British Journal of Psychiatry, 200, 191-196.
  • Frick, P. J., & Ellis, M. (1999). Callous–unemotional traits and subtypes of conduct disorder. Clinical Child and Family Psychology Review, 2, 149–168.
  • Frick, P. J & Viding, E. (2009). Antisocial behavior from a developmental psychopathology perspective. Development and Psychopathology, 21, 1111-1131.
  • Frick, P. J., & Moffitt, T. E. (2010). A proposal to the DSM-V childhood disorders and the ADHD and disruptive behavior disorders work groups to include a specifier to the diagnosis of conduct disorder based on the presence of callous–unemotional traits. Washington, DC: American Psychiatric Association.
  • Hare, R. D. (1985). The Psychopathy Checklist. Unpublished manuscript, University of British Columbia, Vancouver, Canada.
  • Hare, R.D. (1991). The Hare Psychopathy Checklist–Revised. Toronto, Ontario, Canada: Multi-Health Systems.
  • Patrick, C. J. (2006). Handbook of psychopathy. New York: Guilford Press.
  • Viding, E., Fontaine, N. M. G., & McCrory, E. J. (2012). Antisocial behaviour in children with and without callous-unemotional traits: A targeted review. Journal of the Royal Society of Medicine, 105 (5), 195-200.
  Note sull’autore: Jacopo De Angelis è Dottore in Psicologia presso l’Università degli Studi di Pavia (Psicologia Sperimentale e Neuroscienze Cognitive). Attualmente sta svolgendo un tirocinio di ricerca presso l’Università di Milano-Bicocca incentrato sullo studio empirico dell’ipotetica relazione tra attenzione ed empatia. A breve si trasferirà alla Goldsmiths University of London (Unit for School and Family Studies), dove, come Researcher Intern, proseguirà i suoi studi sull’empatia da una prospettiva clinico-evolutiva, ovvero basandosi sull’analisi di campioni composti da bambini e adolescenti con tratti antisociali e psicopatici (callous-unemotional traits).
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