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La diagnosi di anoressia come moderno disturbo alimentare

La diagnosi di anoressia prevede che il peso sia insufficiente, un disturbo dell’immagine corporea, il timore di ingrassare e l’amenorrea.

Di Sandra Sassaroli, Giovanni Maria Ruggiero, Francesca Fiore

Pubblicato il 18 Mar. 2016

Diagnosi di anoressia: Nel caso dell’anoressia i criteri diagnostici stabiliti dal DSM sono quattro: il peso insufficiente, il disturbo dell’immagine corporea, il timore di ingrassare e l’amenorrea.

MAGREZZA NON E’ BELLEZZA – I DISTURBI ALIMENTARI: La diagnosi di anoressia (Nr. 7)

 

La diagnosi di anoressia

I disturbi alimentari si articolano nelle due grandi categorie dell’anoressia e della bulimia. Entrambe, a loro volta, prevedono due sottotipi. Esiste, inoltre, una terza categoria residuale (ma non per questo poco interessante, come vedremo) in cui confluiscono i casi clinici che rispettano alcuni ma non tutti i criteri per la diagnosi dei due disturbi maggiori.

In psichiatria la diagnosi si basa su criteri descrittivi, mancando la possibilità di individuare lesioni specifiche di organi interni. I disturbi, quindi, non corrispondono a entità definite in base alla sicura individuazione di una causa, ma a descrizioni sulle quali la comunità scientifica ha raggiunto un accordo. Questi criteri descrittivi -raccolti nel cosiddetto DSM (Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders)- enumerano comportamenti e stati mentali la cui composizione definisce una sindrome psichiatrica.

 

I criteri per la diagnosi di anoressia

Per la diagnosi di anoressia i criteri diagnostici stabiliti dal DSM sono quattro: il peso insufficiente, il disturbo dell’immagine corporea, il timore di ingrassare e l’amenorrea.

Vediamoli in dettaglio.

a) Rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra o al peso minimo normale per l’età e la statura (per esempio, perdita di peso che porta a mantenere il peso corporeo al di sotto dell’85% rispetto a quanto previsto, oppure incapacità di raggiungere il peso previsto durante il periodo della crescita in altezza, con la conseguenza che il peso rimane al di sotto dell’85% rispetto a quanto previsto).

b) Intensa paura di acquistare peso o di diventare grassi, anche quando si è sottopeso.

c) Alterazione del modo in cui il soggetto percepisce il peso o la forma del corpo; o influenza eccessiva del peso e della forma del corpo sui livelli di autostima; o rifiuto di ammettere la gravità della condizione di sottopeso.

d) Nelle femmine dopo il menarca, amenorrea, cioè assenza di almeno tre cicli mestruali consecutivi. (Una donna viene considerata amenorroica se i suoi cicli si manifestano solo a seguito di somministrazione di ormoni, per esempio estrogeni.)

L’anoressia nervosa prevede due sottotipi: può essere con o senza abbuffate o condotte di eliminazione (vomito autoindotto, uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi).

Tradotto letteralmente il termine anoressia si riferisce alla perdita di appetito. Tuttavia, il significato di questo disturbo psicologico non è l’inappetenza bensì la repulsione volontaria e ossessiva nei confronti del cibo, generata da un intenso timore di ingrassare (criterio b), o addirittura dalla percezione distorta del proprio peso che sfocia nella convinzione erronea di essere sovrappeso (criterio c). Il criterio c è però da sempre più controverso del criterio b. Studi empirici hanno dimostrato che molte pazienti non sovrastimano il loro peso; sono semmai attanagliate dall’idea di poter ingrassare troppo e preferiscono quindi raggiungere il sottopeso, come per stabilire una distanza di sicurezza dalla temuta grassezza. Più che percezione errata del proprio peso, il disturbo dell’immagine corporea oggi è inteso come un’eccessiva carica emotiva che le pazienti attribuiscono e legano al proprio aspetto, vissuto come fonte di disagio, vergogna, perfino colpa. A questo si unisce la sottovalutazione o addirittura la negazione dei rischi a danno della salute che si corrono costringendo il proprio corpo a un peso così insufficiente.

Il soggetto inizia pertanto a rifiutare il cibo, eliminando quasi completamente gli elementi ipercalorici, e spesso anche a praticare una serie di esercizi fisici nel tentativo di bruciare calorie. Le formulazioni precedenti del DSM parlavano, in maniera più generica, di instancabile ricerca della magrezza o desiderio di essere magri. Il DSM ha aggiunto un grado maggiore di precisione stabilendo il riferimento al peso normale, il quale, a sua volta, è un canone non assoluto ma in parte arbitrario, basato su tabelle del peso normale in base all’età, al sesso e all’altezza compilate secondo parametri stabiliti dalle compagnie assicurative. Il sottopeso che consente la diagnosi di anoressia si ha quando il peso corporeo scende sotto l’85% del peso previsto (criterio a).

La perdita di peso comporta anche – come abbiamo visto – il blocco del ciclo mestruale, che diventa amenorrea (criterio d) quando si verifica l’assenza di almeno tre cicli mestruali consecutivi. L’amenorrea è regolarmente osservata nelle pazienti anoressiche con una facilità e una frequenza maggiori che nella perdita di peso dovuta a malnutrizione non volontaria. Spesso il ciclo si arresta dopo la perdita di pochi chili. In alcuni casi si è osservato che il ciclo cessa addirittura prima che inizi la perdita di peso.
Viceversa, donne malnutrite per cause di forza maggiore conservano tenacemente il ciclo anche di fronte a un forte calo di peso. Si tratta, indubbiamente, di un fenomeno ancora tutto da comprendere. Anche in questo caso si osserva una sottovalutazione dei rischi legati alla perdita del ciclo e alle connesse disfunzioni endocrine.

 

La diagnosi di anoressia di tipo 2: con abbuffate e condotte di eliminazione

L’anoressia si suddivide nel sottotipo 1 (con restrizioni) e 2 (con abbuffate/condotte di eliminazione). Il sottotipo 2 controlla il peso non solo attraverso la restrizione alimentare, ma anche attraverso condotte compensatorie di tipo bulimico: vomito autoindotto, uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi.

Il sottotipo 2 differisce dal sottotipo 1 anche per altri aspetti. Spesso le pazienti presentano un sottopeso meno grave rispetto al sottotipo 1 spesso pesavano di più prima della comparsa del disturbo e hanno più frequentemente parenti sovrappeso o obesi in famiglia. La bulimia nervosa è invece contraddistinta da episodi di abbuffate di solito accompagnati da atteggiamenti compensatori (per esempio, vomito autoindotto). Le abbuffate consistono nel consumare abbondanti quantità di cibo, preferibilmente a elevato contenuto calorico.

In genere il soggetto agisce di nascosto e può andare avanti per anni senza che nessuno se ne accorga. Gli atteggiamenti compensatori hanno lo scopo di “neutralizzare l’abbuffata”, nel tentativo di attenuare il senso di colpa e di ridurre al minimo l’aumento di peso che potrebbe aver luogo a seguito dell’abbuffata stessa. I comportamenti di compensazione, presumibilmente, sono più distruttivi dell’abbuffata per due ragioni: innanzitutto, presentano un più rilevante numero di rischi medici e fisici; in secondo luogo, aiutano a giustificare l’abbuffata, eliminando l’eccessiva quantità di cibo ingerita e aumentano la possibilità che gli episodi bulimici si ripetano in futuro.

I comportamenti possono variare molto da persona a persona. Laddove alcuni soggetti si abbuffano e ricorrono a comportamenti compensatori parecchie volte al giorno, altri lo fanno solo sporadicamente. Cambia anche il significato che si attribuisce ad “abbuffata”. Per alcuni può significare cinquemila calorie di cibi dolci, per altri può voler dire mangiare qualunque cibo che non sia a basso contenuto calorico. Mentre la maggior parte delle persone affette da bulimia tende ad autoindursi il vomito, altre vomitano raramente, altre mai. Molte abbinano più metodi di compensazione: il vomito e l’abuso di lassativi, il digiuno, l’attività fisica eccessiva o l’abuso di diuretici.

 

RUBRICA MAGREZZA NON E’ BELLEZZA – I DISTURBI ALIMENTARI

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Sandra Sassaroli
Sandra Sassaroli

Presidente Gruppo Studi Cognitivi, Direttore del Dipartimento di Psicologia e Professore Onorario presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • American Psychiatric Association (APA) (1994), Diagnostic and Statistical manual of mental disorders, Washington, DC, IV ed.
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