Secondo diversi studi spesso sono caratteristiche apparentemente superficiali e giudizi immediati ad influenzare le decisioni degli elettori.
Se domandassimo a un gruppo di amici statunitensi, che vivono in Iowa o nel New Hampshire, chi vogliono votare alle prossime elezioni presidenziali, tra Jeb Bush e Bernie Sanders, le risposte potrebbero essere non dissimili da queste: ‘Il più alto, quindi Jeb Bush!‘, oppure: ‘Bernie Sanders: ha una voce più profonda e il suo nome mi ricorda come ho chiamato da sempre il mio migliore amico!’
Per quanto queste affermazioni possano apparirci ridicole, non sono in realtà così diverse dalle modalità superficiali che il nostro cervello utilizza, talvolta, per prendere decisioni.
Il tono della voce nella scelta di un candidato
Casey Klofstad, professore associato di scienze politiche all’Università di Miami, ha studiato come fattori sociali e biologici influenzano i processi umani di decision making. Lo scorso anno, in collaborazione con la moglie, biologa, specializzata nel canto degli uccelli, ha realizzato uno studio in cui, durante la sessione sperimentale, i soggetti erano invitati ad ascoltare voci, femminili e maschili, modificate, che dicevano ‘Ti esorto a votare per me a Novembre!‘; dopo, i partecipanti erano chiamati a prendere parte a delle finte elezioni e i risultati finali mostrano come ci sia una preferenza, sia maschile che femminile, a scegliere i candidati con una voce più bassa.
Tali risultati sono un’ulteriore dimostrazione del fatto che, spesso, sono caratteristiche apparentemente superficiali e giudizi immediati ad influenzare le decisioni dei votanti.
L’altezza fisica, lo sguardo, le caratteristiche della fisionomia che influenzano le scelte di voto
Un’altra ricerca ha poi mostrato come la maggior parte dei presidenti americani abbia un’altezza superiore alla media e che i votanti tendano a scegliere i candidati più alti.
In uno studio del 2005, invece, lo psicologo Alexander Todorov presentò ai soggetti sperimentali le foto di due candidati e chiese di scegliere quello che sembrava loro più competente: più dei due terzi delle volte, il criterio di scelta dell’apparente competenza, da parte dei partecipanti, si basò sulla presenza di una mandibola squadrata o di uno sguardo intenso.
Inoltre vi è un effetto primacy ben documentato nelle votazioni: i candidati che sono elencati prima sulla scheda elettorale ottengono, in media, il 2,3% di voti in più, rispetto a quando sono elencati più in basso sulla stessa. In più, è stato riscontrato anche che avere un nome dal suono familiare aiuta il successo del candidato.
A questo punto la domanda sorge spontanea: perchè tutti questi ragionamenti superficiali? La spiegazione ha a che fare con i processi euristici di decisione o, più semplicemente, con le nostre scorciatoie mentali. Noi umani, infatti, abbiamo bisogno di usare il nostro cervello efficientemente e lo facciamo, riducendo la quantità di sforzo che passiamo a valutare ogni interazione, decisione o attività. Le euristiche ci aiutano a elaborare la mole di informazioni in cui ci imbattiamo ogni giorno; di conseguenza, prendiamo decisioni non spuntando faticosamente una lista di pro e contro, ma valutando le informazioni, o gli stimoli, che sono più facilmente disponibili.
Ci sono certamente casi in cui sono proprio le nostre scorciatoie o preconcetti a distorcere la verità e a farci cadere nei cosiddetti bias cognitivi. Ad esempio, la preferenza vocale per il tono descritta da Klofstad è piuttosto obsoleta: il tono della voce può infatti aiutarci a capire quale candidato abbia più testosterone, qualità che non equivale però necessariamente all’essere un leader migliore.
Le tre I degli elettori nella democrazia
Daniel Oppenheimer, professore di psicologia presso l’Università della California e co-autore di ‘Democracy Despite Itself’, sostiene che ci sono tre ‘I’ che uniscono gli elettori: ignoranza, irrazionalità e incompetenza. Egli afferma che, come votanti, non riflettiamo sulle nostre convinzioni cardinali per poi cercare il candidato che meglio le soddisfa, piuttosto facciamo spesso il contrario: scegliamo il candidato che ci piace, sulla base di indizi molto soggettivi e superficiali, e, successivamente, plasmiamo le nostre convinzioni per soddisfare le nostre preferenze.
La maggior parte delle persone non ha un’idea chiara dell’opinione dei candidati su molte questioni; ciò sta a significare che la corrispondenza degli ideali decantata non è spesso reale quanto supposta.
Con questo non si vuole denunciare che i processi euristici di decisione sono necessariamente sbagliati, anzi, spesso portano a buoni esiti e sono espressione di un vantaggio evolutivo conquistato. ‘Solo che a volte non lo sono’ dice Oppenheimer.
I bravi politici conoscono bene la superficialità con cui gli elettori prendono gran parte delle loro decisioni, e questo è il motivo per cui, durante la campagna elettorale, vengono spesi tanto tempo ed energia per elaborare un’immagine efficace del candidato: anche quelli che sembrano disordinati o senza copione agli occhi di un profano, stanno probabilmente calcolando come mostrarsi ai loro elettori.
Di fronte a tutte queste propensioni implicite, ciò che possiamo fare è provare consciamente a remare contro alcuni dei nostri istinti più basici, e quindi, quando decidiamo di votare per un candidato, chiederci perché ci piace e con che cosa siamo d’accordo rispetto a quello che rappresenta. Insomma, invece di negare il nostro grado di superficialità innato, provare ad abbracciarlo e guidarlo. Dopo tutto, siamo umani!