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Atteggiamenti verso il lavoro e comportamento organizzativo: hope, job satisfaction e organizational committment

L'analisi degli atteggiamenti verso il lavoro dei dipendenti permette di rilevare il livello di soddisfazione in azienda e eventuali disagi tra i lavoratori

Di Miriam Melani

Pubblicato il 29 Feb. 2016

Aggiornato il 18 Ott. 2018 16:59

Gli atteggiamenti verso il lavoro sono una sintesi dell’interazione tra le tendenze affettive, cognitive e comportamentali. Gli atteggiamenti più studiati nella psicologia del lavoro sono tre: hope, job satisfaction e organizational committment.

Gli atteggiamenti verso il lavoro sono una categoria di differenze individuali che influisce sul comportamento di una persona, anche all’interno di un’azienda.

Sono sentimenti, convinzioni e tendenze comportamentali relativamente stabili nei confronti di idee, dilemmi, oggetti e persone. Sono importanti perché rappresentano la modalità in cui le persone esprimono ciò che provano.

Apparentemente gli atteggiamenti sembrano un concetto semplice ma ciò che risulta complesso sono gli effetti sul comportamento. Di fatti, le componenti degli atteggiamenti sono:

  • Emotive: sensazioni ed emozioni, stati d’animo su una persona o un oggetto;
  • Cognitive: pensieri, credenze, conoscenze e informazioni, in relazione a un oggetto o una persona;
  • Comportamentali la predisposizione ad agire sulla base di una valutazione negativa o positiva circa un oggetto o una persona.

Queste componenti funzionano in sinergia; l’atteggiamento quindi è una sintesi dell’interazione tra le tendenze affettive, cognitive e comportamentali. Alcuni di questi atteggiamenti sono più importanti di altri perché hanno a che fare con la prestazione lavorativa. Tre sono in particolar modo gli atteggiamenti legati al lavoro: hope, job satisfaction e organizational committment.

 

Tre atteggiamenti verso il lavoro

Hope

L’hope è un concetto che fa riferimento alla forza di volontà di una persona, cioè la determinazione nel perseguire gli obiettivi ma con in più la raffigurazione di una mappa mentale che il lavoratore utilizza per definire i modi per raggiungerli (assomiglia molto alla visualizzazione praticata dagli sportivi prima di una qualificazione o di una competizione). Hope equivale a volontà, mappa mentale, convinzione positiva del superamento degli ostacoli.

Esistono questionari che permettono di valutare la dimensione ‘Ottimismo‘ (vedi Snyder, LaPointe, Crowson, Early 1998). Ad una affermazione come Ho raggiunto un certo livello di successo nella vita si attribuisce un punto da 1 (assolutamente falso) a 4 (Assolutamente vero). Una persona con elevato livello di Hope ama confrontarsi con obiettivi stimolanti e relativamente complessi, fa uso del dialogo interno, si impegna in modo costante e non si lascia condizionare dal rischio di fallire. In altre parole, immagina un percorso per raggiungere l’obiettivo e alimenta la propria motivazione.

Al contrario, una persona con basso Hope manifesta apprensione verso il futuro, accumula stress sul lavoro, si fa condizionare dalle emozioni negative, ha una percezione distorta delle proprie capacità. In azienda, i manager con alto livello di hope sono più collaborativi, alimentano canali di comunicazione e si prefiggono obiettivi difficili ma raggiungibili. Un modo in cui questi manager aiutano i colleghi ad essere più efficienti, è quello di parcellizzare un grande obiettivo in tanti sotto-obiettivi. Il principio è come quello che si applica quando impariamo a guidare l’automobile: la successione dei vari step porta all’automatizzazione del processo e al raggiungimento dello scopo.

 

Job Satisfaction

La Job Satisfaction si riferisce alla soddisfazione lavorativa. Si intende la misura in cui le persone si sentono realizzate nello svolgere il proprio lavoro, rispetto al quale sviluppano emozioni positive. Studi e osservazioni hanno dimostrato che un basso livello di job satisfaction può causare turnover, ritardi, assenteismo e problemi di salute mentale. La scala che misura l’intensità della soddisfazione sul posto di lavoro (Hackman, Oldham 1980) aiuta ad esplicitare i cinque aspetti di questo concetto che sono:

  • Retribuzione
  • Sicurezza sul posto di lavoro
  • Rapporti sociali
  • Supervisione
  • Crescita personale

Nonostante la job satisfaction a prima vista sembra suggerire prestazioni efficaci sul lavoro, molti studi hanno dimostrato che non esiste una relazione lineare tra le due dimensioni. Questo perché vi sono atteggiamenti di carattere complessivo che permettono di prevedere macrocomportamenti, laddove atteggiamenti specifici sono correlati a comportamenti specifici. Inoltre ulteriori studi hanno dimostrato che, globalmente parlando, la job satisfaction è positivamente correlata con la performance dell’intera azienda. Un’azienda con dipendenti soddisfatti tende a lavorare meglio e produrre di più. Lo stesso concetto vale per quei dipendenti che lavorano con i clienti, per cui è importante essere soddisfatti per un servizio ricevuto.

La job satisfaction, quando alta e positiva, fornisce un rientro in termini di valore sociale aggiunto e anche economico. Infatti, la perdita di un dipendente, per un’azienda, rappresenta un costo aggiuntivo nel momento in cui viene assunto un nuovo dipendente.

 

Organizational Committment

L’Organizational Committment è un concetto che sta per identificazione. Si intende l’intensità con cui un dipendente si sente coinvolto nell’azienda e si identifica con essa. Una forte organizational committment si manifesta con accettazione dei valori e degli obiettivi aziendali, associati al desiderio di realizzarli. I dipendenti che hanno una forte identificazione con l’azienda per cui lavorano affermano ‘noi fabbrichiamo prodotti di alta qualità’, mentre chi non si sente veramente parte di essa tende a rivolgersi in terza persona ‘loro non offrono un servizio di qualità‘.

Questo atteggiamento, quando positivo, si correla con la tendenza a rimanere in azienda per un tempo più lungo e ad una maggior efficacia della prestazione. Il concetto di organizational committment è un concetto più ampio rispetto a quello di job satisfaction perché fa riferimento all’intera azienda e non riguarda solo il lavoro svolto dal dipendente.

Inoltre il committment iniziale è connesso alle caratteristiche individuali (personalità e attitudini) del lavoratore o del manager, quindi può variare da persona a persona. Con il passare del tempo, se la persona continua a esperire buoni rapporti con i colleghi, buone condizioni lavorative (sia fisiche, che logistiche e psicologiche) e buone prospettive di avanzamento, l’organizational committment tende a rafforzarsi perché:

  • I dipendenti rafforzano i rapporti con i colleghi e con l’azienda
  • L’anzianità aziendale permette di sviluppare atteggiamenti verso il lavoro più positivi
  • Con l’età, le opportunità di lavoro offerte dal mercato possono diminuire, cosi che i lavoratori tendono a rimanere in azienda più a lungo

 

Tutti questi atteggiamenti verso il lavoro, insieme a molti altri semanticamente appartenenti alla psicologia del lavoro e del comportamento organizzativo come l’intelligenza emotiva, la motivazione, la leadership, la gestione del conflitto ecc., determinano ciò che viene chiamato clima psicologico (e organizzativo) dell’azienda.

Un’analisi accurata del clima che si respira in azienda permette al management di rilevare il livello di soddisfazione/insoddisfazione diffuso, rilevare eventuali disagi e cause collegate, fotografare le reazioni dei dipendenti rispetto a un evento o un fatto aziendale. Ma non solo, anche i sistemi di comunicazione, lo stile di direzione, la chiarezza della struttura e dei ruoli, i risultati perseguiti dall’organizzazione.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Gennaro, A., (2004) Introduzione alla psicologia della personalità, 2° ed., Il Mulino
  • Hackman, J.R., Oldham, G.R., (1980) Work redesign, in “The Academy of Management Review”, Vol.6, No. 4
  • Slocum, W.J., Hellriegel, D., (2014) Comportamento organizzativo, Hoepli
  • Snyder, CR., LaPointe, A.B., Crowson e Early, S. (1998) Preferences in of high- and low-hope for people for self-referential input, in ”Cognition and Emotion, 12, pp. 807-823
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