Matteo Bessone e Pietro Sarasso
Lo sportello TiAscolto! è un servizio sostenibile di ascolto, sostegno psicologico, counseling e psicoterapia nato per contrastare le disuguaglianze di salute. Si posiziona nella zona d’ombra presente tra il libero mercato della sanità privata (il privato puro), spesso inaccessibile a molti e responsabile di un’iniqua stratificazione sociale, e le scelte inerenti alle politiche sanitarie che si ripercuotono su un Sistema Sanitario Nazionale incapace di tutelare nella pratica il diritto alla salute così come sarebbe previsto dall’articolo 32 della Costituzione.
L’obiettivo del presente contributo è quello di esplicitare la possibilità di un nesso tra un ventaglio di valori e le pratiche cliniche. L’ipotesi è che il setting di un servizio costituisca il ponte tramite cui questa relazione diventa evidente. Già Basaglia sosteneva che i vari tipi di approcci al paziente e i vari setting in cui gli operatori si trovano ad agire, spesso non sono il prodotto di scelte cliniche precise, ma il prodotto dei valori del sistema socioeconomico che determina e plasma i vari servizi nel loro modo di approcciarsi al paziente, che diventa così la vittima di una violenza che Basaglia, riprendendo Foucault, diceva “tecnica”. Jervis arriva all’estrema conseguenza di tale riflessione, sostenendo che[blockquote style=”1″] i valori societari non sono definibili in termini psichiatrici, ma tali al contrario da definire la natura della psichiatria.[/blockquote]
Ma tentiamo di capire a cosa si riferisce partendo da un’esperienza reale, individuale ma senza dubbio generalizzabile.
Marco ha vent’anni, lavora per mantenersi gli studi, sta intraprendendo da qualche mese un percorso psicologico, non conosce la differenza tra psicoterapia e counseling, ma sa che quello che fa gli sta servendo molto, ne ha molto bisogno ed è molto motivato, un ottimo paziente per il suo psicologo che si vede però obbligato a interrompere il percorso quando Marco perde il lavoro e non può più pagare a prezzo pieno le sedute, ciascuna corrispondente economicamente a molte ore del suo ormai perso lavoro. Marco non si arrende, perso il lavoro non perde anche la fiducia, prende atto della rigorosità del setting e cerca altrove quello che desidera. Controvoglia si rivolge al medico di base e si reca speranzoso all’ambulatorio territoriale del Dipartimento di Salute Mentale (visto che Marco abita a Torino, va in un CSM, Centro di Salute Mentale) dove spera di poter vedere garantito il proprio diritto alla salute mentale da uno Stato che si prenda cura di lui. Trova invece una gentilissima infermiera che gli fissa un appuntamento dopo due mesi. Marco scoraggiato torna a casa ed è triste perché non capisce come sia possibile che il suo bisogno di libertà, di realizzazione, di autonomia non riesca ad essere accolto, in un paese che, dicono tutti, spende così tanto in salute pubblica.
Storie come quella di Marco prendono vita ogni giorno, ma questa è in qualche modo speciale: Marco (non proprio lui, ma una persona molto simile) è stato il primo utente preso in carico dallo Sportello TiAscolto! Dalla sua vicenda l’ equipe ha tratto la spinta e l’idea per iniziare il percorso che ha portato allo sportello così com’ è oggi: é stata una scintilla iniziale che ha illuminato un vasto campo d’ azione in cui troppo spesso il diritto alla salute mentale viene negato.
Lo sportello TiAscolto! è un servizio sostenibile di ascolto, sostegno psicologico, counseling e psicoterapia nato per contrastare le disuguaglianze di salute. Si posiziona nella zona d’ombra presente tra il libero mercato della sanità privata (il privato puro), spesso inaccessibile a molti e responsabile di un’iniqua stratificazione sociale, e le scelte inerenti alle politiche sanitarie che si ripercuotono su un Sistema Sanitario Nazionale incapace di tutelare nella pratica il diritto alla salute così come sarebbe previsto dall’articolo 32 della Costituzione. Nato nel 2013 negli ultimi due anni solari ha accolto quasi 150 persone. La sostenibilità per i pazienti è data dall’accessibilità della tariffa, variabile a seconda dei casi, sempre commisurata alle specifiche possibilità della persona e di un’ordine di grandezza simile a quello del ticket per le prestazioni equivalenti del SSN. Per il servizio invece la sostenibilità è legata alla possibilità di mantenersi autonomamente in assenza di altri contributi oltre a quelli dei pazienti, all’equilibrio tra le esigenze degli utenti e quelle dei professionisti e all’attenzione all’equità sociale.
Le pratiche dello sportello sono influenzate da una concezione di salute intesa non solo come diritto da tutelare ma come bene comune di cui prendersi attivamente cura tramite la partecipazione attiva, responsabile e diretta delle persone coinvolte (operatori) e della comunità (cittadini). Le persone che accedono al servizio, sono messe nelle condizioni di poter attivamente codeterminare e modellare, entro certi limiti, il setting clinico. La salute non viene qui intesa come un attributo meramente individuale, che riguarda la relazione tra un clinico e un paziente: chi accede al servizio viene aiutato a cogliere i legami invisibili che lo connettono alla collettività che afferisce allo sportello e che rende concretamente possibile il suo essere lì in quel momento. Il setting viene connotato come nonmedico al fine di uscire dalla dicotomia salute/malattia, proponendo un’alternativa alla dominante medicalizzazione della vita quotidiana e delle differenze. In quest’ottica viene decostruito il concetto di malattia come entità oggettiva “altra e esterna” rispetto alla persona.
L’accento è posto sui processi (biopsicosocioeconomicoculturali) che hanno generato quella sofferenza più che sulla diagnosi, talvolta poco utile ad un processo di cambiamento quando rischia di interporsi tra gli attori del processo terapeutico, allontanando dall’autentica possibilità di “conoscere attraverso” la sofferenza. La scelta di una clinica che non si fondi sulla diagnosi come strumento di conoscenza riporta l’attenzione sulle idiosincrasie dell’utente e sulle narrative emergenti nel processo. Questa prospettiva facilita il passaggio da un’ottica definitoria (che reifica e immobilizza la persona in un sintomo o una sindrome) veicolata da un linguaggio tecnicistico che legittima un’asimmetria di potere all’interno della relazione, ad un’ottica che processualmente “conosce” nel cambiamento e nell’unicità della relazione che si sviluppa. L’uso comunicativo della diagnosi tra colleghi del servizio viene meno nel confronto su precisi criteri che indirizzano la lettura della realtà clinica, mentre viene mantenuto, con una visione “critica”, nelle comunicazioni cooperative con i colleghi dei diversi servizi al fine di salvaguardare la condivisione dialogica.
Il primo obiettivo clinico è sempre quello di mettere l’individuo nella posizione di guadagnare gradi di libertà che gli permettano di autodeterminarsi e la possibilità di farlo in modo autonomo e responsabile, indipendentemente dalla presenza dello psicologo o dello psicoterapeuta. Il “lavoro paradossale” si sviluppa attorno alla chiara volontà da parte del servizio di non essere più indispensabile al paziente nel condurre una vita autonoma nel più breve tempo possibile, ma senza eccessiva premura.
La tempestività della presa in carico (disponibilità a fissare un primo colloquio entro tre giorni lavorativi dal primo contatto) costituisce uno dei punti di forza, in linea con numerose evidenze circa l’esito favorevole del percorso clinico nei casi in cui la domanda venga accolta con tempestività. Tale sollecitudine è legata alla volontà da parte del servizio di accogliere i bisogni del (forse futuro) paziente nel momento stesso in cui sorgono senza che questi vengano sacrificati alle esigenze organizzative.
L’équipe (attualmente composta da 5 persone) condivide all’unanimità questi valori clinici e sociali nonostante le divergenze d’opinione che possono emergere sulle modalità con cui perseguirli. Lo sforzo del gruppo è teso a leggere tali divergenze come stimoli e come ricchezza più che come ostacolo al lavoro anche grazie ad una struttura molto leggera e non centralizzata in cui ogni scelta è presa in maniera democratica e tramite processi decisionali partecipativi. Questa struttura decisionale non ha finora ostacolato la tempestività degli interventi clinici e dell’operatività rappresentando invece una ricchezza in termini di complessità di analisi.
I membri dell’équipe, deliberatamente non omogenei rispetto al retroterra teorico e pratico, appartengono a molte altre realtà attive sul territorio (Rete Sostenibilità e Salute, Psicologia Film Festival, Gruppo di Lavoro dell’Ordine sui Diritti Umani, Coordinamento Psicologi Psicoterapeuti Piemonte, circoli Arci e associazioni). Questo permette al servizio di mantenere una certa permeabilità dei propri confini e un’attenzione costante ai processi di cambiamento del contesto sociale entro cui opera.
L’equità nei processi decisionali si traduce, dal punto di vista contabile, in equità economica. Vista la variabilità delle tariffe corrisposte dai pazienti a ciascun professionista, ogni mese viene calcolata una tariffa oraria media in base alla quale i clinici vengono remunerati in maniera equa.
Ma nella pratica come è organizzato lo Sportello?
Oltre gli accessi tramite mail, sito e social network (facebook) gestiti collettivamente in base alla maggior rapidità nella risposta, uno psicologo accoglie gli accessi su una linea telefonica attiva 7 giorni su 7, 24h. Durante il primo contatto viene brevemente illustrato il funzionamento dello sportello. Gli accessi vengono assegnati in base ad alcuni criteri: turnazione, disponibilità del professionista, richieste di un particolare orientamento da parte del paziente, disponibilità della sede. Solo in rarissime eccezioni viene accolta la richiesta, da parte di un nuovo accesso, di iniziare un percorso con un particolare professionista. I colloqui possono essere svolti in francese, in inglese e, pur privilegiando le sedute vis à vis, anche presso le due sedi, via Skype. Dopo l’assegnazione ad un professionista viene da questi data la disponibilità a fissare un primo colloquio gratuito e non vincolante entro tre giorni lavorativi, al termine del quale, vengono illustrate due delle caratteristiche che più di altre qualificano il servizio:
1) scansione temporale del percorso: il lavoro inizia con un modulo composto da un ciclo di sedute (da 6 a 10) di counseling e sostegno, eventualmente rinnovabile per altri due cicli ( per un massimo di 30 sedute in tre cicli) intervallate da un arco di tempo (solitamente un mese). Al termine è possibile, per chi lo desidera, iniziare un percorso di psicoterapia.
All’inizio di ogni ciclo si negozia e si esplicita un obiettivo di lavoro, centrato su un problema specifico, che viene verificato in maniera condivisa al termine del ciclo ponendo le basi per una prosecuzione del rapporto (eventualmente con un nuovo obiettivo) o di un termine.
Questa programmazione condivisa dell’intervento clinico permette al paziente e al professionista di sottoporre a continua verifica il lavoro svolto, facilitando e legittimando l’eventuale sospensione del rapporto, senza che questa venga agita e/o vissuta come un fallimento da parte del paziente e senza che il terapeuta cada nell’invitante tentazione di aprire ulteriori fronti di lavoro. Incoraggia inoltre il paziente a ridefinire con lucidità i propri bisogni nello svolgimento del percorso (che tipo di cambiamento? superficiale, gestionale o profondo?) facilitandone un percorso di autodeterminazione.
2) negoziazione della tariffa: partendo da un atteggiamento di fiducia, consapevoli della violenza simbolica e dell’asimmetria di potere che implicherebbe la richiesta dell’esibizione di una certificazione del reddito in prima seduta, la tariffa viene negoziata con il nuovo
utente. Attualmente le tariffe vanno dai 20 ai 50 €, coscienti del gradiente sociale lungo cui si dispiega lo stato di salute della popolazione. Viene sottolineato, in prima seduta, che ogni mese il totale di tutti i proventi dalle sedute di tutti i professionisti saranno suddivisi per il numero di ore totalmente lavorate da tutti i professionisti e ridistribuiti in modo equo affinché ogni psicologo riceva all’ora, per lo stesso mese, lo stesso contributo degli altri psicologi. Si spiega cioè che se la cifra corrisposta da quella persona sarà maggiore della cifra media mensile, l’eccedenza sarà necessaria per permettere ad altre persone bisognose di accedere al servizio. Se invece la cifra sarà minore della media mensile, quella persona potrà iniziare il proprio percorso anche grazie alle persone che corrispondono una cifra maggiore.
Obiettivi molteplici sottendono alle pratiche cliniche sopra citate: restituire a chi accede al servizio una parte di quel potere contrattuale che, sosteneva Basaglia, se viene a mancare nel rapporto tra medico e paziente, lo configura come un rapporto di classe; creare un sentimento di appartenenza alla collettività e di attivazione rispetto a questa; responsabilizzare rispetto alla gestione del proprio percorso; costruire un setting “cooperativo”, in cui “l’altro” è rappresentato come degno di fiducia e parte attiva nel processo, consensualmente contrattato. A parte rarissime eccezioni non sono previsti percorsi gratuiti per i pazienti, visto che per gli psicologi, grazie a questo sistema, ogni ora di lavoro è retribuita, anche le prime sedute gratuite. Ogni terapeuta rilascia, ogni due sedute, una regolare ricevuta cumulativa, tramite la propria P.IVA e a fine di ogni anno gli psicologi fatturano ai colleghi i rispettivi ammonti per appianare le differenze dei diversi contributi. A questi costi va aggiunto quello per il tesseramento all’associazione, cui gli psicologi dello Sportello fanno parte e tramite cui è possibile usufruire dei locali per le sedute.
Le riunioni di équipe si tengono con cadenza bisettimanale. Durante ogni équipe si lavora sulle due dimensioni principali su cui si muove lo sportello: quella clinica e quella sociale. In ambito clinico, vengono affrontati e discussi casi in intervisione tra colleghi del servizio, non escludendo lo strumento della supervisione con colleghi esterni. Per quello che concerne l’ambito sociale invece, ci si concentra su iniziative culturali sul territorio che da una parte sensibilizzino la cittadinanza rispetto al tema della salute mentale (organizzazione di rassegne cinematografiche con altre realtà del territorio, dibattiti), dall’altra hanno una funzione clinica che non si dispiega in un setting strettamente psicologico (laboratorio di scrittura creativa, biblioteca vivente). La formazione (sia auto che etero diretta) costituisce un’attività ponte tra l’impegno clinico e sociale dello sportello. Durante ogni équipe, a turno, un professionista propone e illustra al resto del gruppo di lavoro un approfondimento su un articolo o un libro che costituirà il punto di partenza per una discussione.
Lo sportello si occupa inoltre di formazione ad esterni tramite interventi in corsi universitari, corsi per l’Esame di Stato per psicologi e seminari. Quest’attenzione alla formazione è legata alla percezione di un percorso formativo accademico sentito come fortemente incompleto, sterile, tecnico, che disattende bruscamente le aspettative di senso e mira a facilitare il percorso attraverso cui dare un significato alla propria pertinenza in ambito psicologico che prescinda dall’aspetto meramente intrapsichico o che lo affronti in maniera sufficientemente complessa.
Quando le scelte ideali e i principi che indirizzano la missione dello sportello si concretizzano nella pratica clinica emergono difficoltà e tensioni. Le principali sono legate alla mancanza di finanziamenti esterni oltre ai compensi dei pazienti, che rendono talvolta faticoso l’impegno necessario per far funzionare a pieno regime lo sportello. Questa difficoltà è fronteggiata sopratutto tramite il supporto tra colleghi, che evita l’isolamento e tramite la consapevolezza del valore delle proprie competenze professionali, oltre a quello che deriva dalla retribuzione. Un’ulteriore difficoltà emerge nel rapporto con i servizi territoriali che non sempre si sono resi disponibili nel collaborare nel corso delle prese in carico complesse.
Per il futuro lo Sportello ha molti sogni: ampliare i propri servizi aprendo ad altre professionalità (medici, assistenti sociali, infermieri, educatori) riuscire a contaminare realtà simili o contribuire alla loro nascita, consolidare ed ampliare la rete, partecipare più attivamente ai processi decisionali locali, in ambito sociale e sanitario, riuscendo ad agire non solo a valle rispetto ai determinanti sociali di salute (per ridurre i danni dell’esclusione sociale, emarginazione, marginalizzazione, isolamento una volta che siano già stati generati a partire dalle disuguaglianze) ma anche a monte (agendo sui fattori che generano le disuguaglianze).
Lo sportello è stato creato sì da professionisti, ma innanzitutto da cittadini con l’ intenzione di proporre i valori di solidarietà su cui è fondato in un sistema sostanzialmente iniquo. Il servizio offerto è allo stesso tempo il mezzo e il fine per la realizzazione professionale dell’équipe, che non può e non deve prescindere dall’ impegno civile verso un sistema salute più equo. Il fatto stesso che venga percepita nella pratica quotidiana dell’ equipe dello sportello una tensione tra professione e militanza è indice di un mercato dei servizi per la salute troppo negligente nei confronti di chi non detiene potere d’ acquisto. La sostenibilità che caratterizza il servizio offerto dallo sportello è quindi un passo verso l’equilibrio tra professione e militanza, nella speranza che in futuro il sistema salute si renda capace di accogliere i bisogni economici e morali del professionista senza che essi siano più in conflitto e nella consapevolezza dei valori generati.