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Anoressia e Terapia Familiare: i cinque elementi clinici fondamentali

Conoscere i meccanismi patologici fondamentali, di resistenza al cambiamento, della famiglia con anoressia consente al clinico un ampio spettro di azione. %%page%%

Di Mario Magini

Pubblicato il 21 Dic. 2015

Aggiornato il 24 Feb. 2016 10:30

 

In questo articolo vengono presentati e discussi i cinque meccanismi patologici fondamentali di resistenza al cambiamento, propri dell’organizzazione famigliare coinvolta nella problematica dell’anoressia.

Anoressia e famiglia: Introduzione

In questo articolo vengono presentati e discussi i cinque meccanismi patologici fondamentali di resistenza al cambiamento, propri dell’organizzazione famigliare coinvolta nella problematica dell’anoressia. Lo spettro clinico che interessa questa esposizione è l’interazione reciproca di ogni attore presente nella famiglia e gli schemi usualmente attivi all’interno del contesto, come anche verso l’esterno – in questo caso il setting clinico terapeutico – del sistema stesso di relazioni. L’approccio che più di tutti sembra avere avuto sviluppi interessanti è l’approccio della terapia sistemico familiare e dell’analisi clinica, in termini sistemici, della patologia individuale innestata alle resistenze individuali e relazionali della famiglia stessa.

Anoressia: la famiglia come cornice e sfondo evolutivo

Il contesto familiare è il substrato fertile, il contesto nodale come anche il palco elettivo per la manifestazione dell’anoressia (Ugazio, 1998). Inserito nel contesto terapeutico vero e proprio, diviene risorsa ed elemento ristrutturante il sintomo stesso in una prospettiva di diagnosi e cura. Uno dei punti nodali, derivato direttamente dalla psicoanalisi freudiana, è il rapporto madre-bambina in prima istanza e, successivamente, la posizione relazionale/affettiva del padre circa le dinamiche specifiche del disturbo.

L’approccio Sistemico Familiare, e la sua variante in termini cognitivo-comportamentali ovvero la Family-Based Treatment – FBT, sono da considerarsi, tecnicamente e strategicamente, gli approcci più indicati, per due punti nodali:

  • Considerano la famiglia come lo sfondo e al contempo la cornice del paziente designato;
  • La famiglia di origine è la radice profonda che ha nel tempo originato/favorito il sintomo stesso.

Salvador Minuchin (Minuchin, 1980) proprio a tal proposito parla di famiglia anoressica e per estensione possiamo a nostra volta usare la variante famiglia anoressizzante/famiglia anoressizzata, una duplice terminologia che sottolinea ed evidenzia come la famiglia, per il terapeuta, sia al centro dell’attenzione clinica dal principio, e a sua volta la paziente designata sia contemporaneamente la portatrice di un disturbo individuale e l’individuo che manifesta lo stile e le dinamiche di un sistema più complesso, ove tutti i soggetti sono, loro malgrado, comunque partecipanti attivi ed attori di uno psicodramma sistemico familiare.

Accogliere, osservare e valutare le relazioni e le relative azioni che intercorrono nella famiglia è centrale per il lavoro terapeutico con chi soffre di anoressia. A questo devono essere aggiunti dei lavori in nulla secondari quali:

  • Tutto il lavoro di recupero e ricostruzione del panorama trigenerazionale (figlia, genitori, nonni);
  • Le linee generazionali in termini di affettività e/o collusione tra i singoli componenti e le rispettive parentele (s’intendono i conflitti, le alleanze, le rotture, i silenzi, i ricongiungimenti);
  • Le triangolazioni relazionali all’interno della famiglia stessa, quando e come avvengono e se sono stabili;
  • Le mitologie familiari che percorrono la famiglia di chi soffre di anoressia.

La famiglia, essendo matrice e dativa dell’identità, o comunque di una parte sostanziale di essa, è luogo dove viene definito il proprio Sé – nel senso più banale – ma anche ciò che organizza e definisce le grandezze, le intensità e modalità della così detta Popolazione di Sé (Perls, 1950) ovvero: le molteplici varianti interne del Sé che cambiano e modulano la loro natura in stretta relazione con un contesto esterno cognitivo/affettivo.

Comorbidità tra anoressia, disturbo di personalità e matrice familiare

Il tema della Popolazione dei Sé (Population of Self, PoS da qui in poi per brevità) è centrale quando l’anoressia nervosa ha una coincidenza, episodica o cronica, con un disturbo della personalità o con una psiosi , eventualità affatto non banale che il clinico può e deve sondare in termini sia di testistica come anche di osservazione/interazione in vivo col nucleo familiare in terapia. L’interpolazione del disturbo anoressico con uno di disturbo della personalità rende, paradossalmente, il lavoro clinico leggermente più facile – almeno nella fase di diagnosi pura e di diagnosi sistemico relazionale – ma ne innalza la difficoltà tecnica nei termini di gestione propria delle dinamiche intra-familiari e ciò per un motivo che è bene spiegare con un adeguato esempio.

Immaginiamo dei pezzi di vetro, schegge di varia grandezza e forma, che vengono posti su un piano fisso l’uno accanto all’altro, e immaginiamo di far passare della luce su di essi: noteremmo differenti e varie polarizzazioni dell’onda in un effetto caleidoscopico. La PoS della paziente con anoressia si comporta allo stesso modo con gli stimoli cognitivi/affettivi derivanti dal sistema familiare accogliendo e restituendo in modo difforme lo stimolo. Ciò che è interessante, di contro, è che anche la famiglia – i genitori o il genitore – agisce e pone in campo la sua Pos dando come esito un gioco di specchi dinamici ove ogni individuo del sistema famiglia risponde ad incastro agli altri.

Ne risulta un sistema dinamico con un suo specifico equilibrio ove la resistenza individuale al cambiamento coincide con i meccanismi patologici di ciascun componente il sistema famiglia. La stretta circolarità delle interazioni, lo scambio reciproco di comunicazioni ed agiti, sia essi consapevoli che inconsci, struttura un sistema internamente basato su risposte di tipo simettrico/asimmetrico (Bruch, 1983) o di escalation di ciascuno e rispetto gli altri. Struttura di personalità individuale, ruolo – implicito/implicito – e livello di funzionamento sono gli elementi sui quali strutturate un’ipotesi di intervento terapeutico circa l’invischiamento che il sistema, e reciprocamente gli individui, presentano.

La resistenza al cambiamento e i meccanismi patologici si auto-declinano in queste seguenti categorie/meccanismi, che a loro volta sono specifici della famiglia anoressizzante/famiglia anoressizzata.

Sistema chiuso – il ruolo dell’ iperprotettività genitoriale nell’anoressia

Ad oggi è possibile affermare con ampia certezza che l’anoressia nervosa è un disturbo individuale con una forte relazione con la storia e le dinamiche di un sistema familiare; da esso possiamo recuperare elementi di una cultura comune nella famiglia, come anche dinamiche oramai strutturate e sedimentate, passate tra le diverse generazioni, con peculiarità e modalità di funzionamento – individuale e d’insieme – quali:

  • Evitamento a qualsiasi forma di conflitto;
  • Atteggiamento iper-protettivo genitoriale;
  • Assenza di regole definite e contigue;
  • Assenza di confini tra il piano genitoriale e quello della prole.

I genitori, in special modo le madri, delle pazienti con anoressia risultano mettere in atto modalità iperprotettive, disciplinari e dominanti (Manara, 1991). Sembra che in questo tipo di struttura familiare siano sopra ogni cosa incoraggiati, e premiati, la disciplina, l’efficenza, l’ordine e il successo, piuttosto che la conquista dell’autonomia, dell’indipendenza di giudizio, dell’acquisizione di uno stile personale di vita e di una matura consapevolezza.

Un’apparente, ma fragile, armonia tra i membri della famiglia diventa il modo in cui ci si preserva dal realizzare i problemi (e le loro eventuali implicite collusioni) al fine di mantenere una quiete in realtà sempre molto poco calma. A riprova di questo è bene far notare come ad esempio, sempre nel campo dei disturbi alimentari, lo sviluppo di un comportamento di tipo bulimico sembri essere collegato a caratteristiche familiari molto specifiche (Bruch, 2000), come la presenza di modelli familiari e madri molto protettive, con una reciproca carenza di manifestazioni positive di affettività, sostegno o contatto.

Le giovani donne che hanno una difficoltà nel controllo del proprio peso, vivono costantemente un senso di auto-squalifica e di self-judging poiché ritengono di non possedere una volontà abbastanza forte da cambiare il loro stato e conseguente condizione. Quindi venendo a mancare un sostegno positivo da parte della famiglia il senso di auto-squalifica aumenta.

Le figlie con anoressia possono esprimere una totale aderenza al modello materno con il desiderio di soddisfarla, superarla e riqualificarla agli occhi di una figura paterna.

In ambedue i casi abbiamo una manifestazione emblematica di un disturbo del concetto di sé ove il corpo viene spesso esperito come separato dal Sé, come se appartenesse a qualcun’altro, spesso l’ideazione è riferita direttamente ai genitori (L. Mainardi, G.O. Gabbard, 1995). Queste pazienti mancano di qualunque senso di autonomo riconoscimento positivo, al punto da percepirsi come non capaci di tenere sotto controllo le loro funzioni corporee, con un sottostante profondo sentimento di non valere nulla e reinvestono in modo inconscio la loro ansia ed inadeguatezza nella manipolazione della quantità e della dimensione del cibo assunto, questo come agito psicologico riferito figure significative, giudicanti ed esemplari.

Stallo evolutivo – l’influenza delle polarità manipolatorie nell’anoressia

Le ragazze con anoressia tendono a fornire un quadro, una perenne rilettura della loro famiglia sempre e comunque molto rispettabile, socialmente accettabile e quasi scevra da ogni critica o minimo appunto. Tale rilettura continua è da ascriversi in un legame tra l’anoressica e la famiglia ove quest’ultima è il termine di paragone – sia positivo che negativo – di ogni possibile evoluzione personale e di gruppo. Avendo la famiglia come quasi unico tema esistenziale, ed obiettivo condiviso, un livello estremizzato del suo ideale, per definizione irrealistico e per forza di cose castrante un dialogo diretto e senza rigide difese, la paziente con anoressia arriva ad una negazione diretta dei conflitti, degli eventuali fatti specifici – specialmente frustranti – della sua stessa persona e del suo nucleo familiare (De Pascale, 1991) . Ciò che anoressiche e bulimiche hanno in comune e l’incapacità di estraniarsi dal continuo doppio legame – dipendenza e conflitto con le figure genitoriali – con la madre e padre e di percepire la dimensione genitoriale in modo ulteriormente realistico. Ancora un punto di contatto, tra anoressia e bulimia, è che quello che dicono i genitori è, se non sempre giusto, quanto meno appropriato (anche senza un’ammissione diretta o esplicita).

In molte famiglie così strutturate si pone l’accento su un comportamento educato, su una iper valutazione del riconoscimento sociale e dei risultati conseguiti, sulla fierezza dei genitori verso la loro eterna bambina, da sempre, però, ascritta in un ruolo da piccola donna già adultizzata nelle aspettative. Non a caso la mancata espressione dei sentimenti, specie se negativi, è una regola granitica.

Le famiglie di chi soffre di anoressia sembrano quadri perfettamente dipinti, perfetti da esporre al mondo e sempre in attesa del massimo riconoscimento possibile.

Un clima apparentemente pacifico è, invece, molto suscettibile e condizionato dal possibile giudizio esterno, portando le dinamiche interne su un aspetto quasi sempre performante (Onnis, 2004) tutte volte alla potenziale subitanea altrui disconferma e le squalifiche – giudizi, premi – sono continue, anche se non richieste o volute e potenzialmente in crescendo.

La Selvini Palazzoli (1963, 1998), proprio sulla qualifica/squalifica reciproca nella famiglia, individua proprio in un continuo da Minuchin un altro elemento caratteristico di questo nucleo familiare: la possibilità che esista una polarità semantica di fondo Vincente/Perdente e che questa qualifica/squalifica rappresenterebbe esattamente la necessità di vincere e di uscire vittoriosa (per l’anoressica) da una lotta evolutiva impostata però su termini di potere patologico e labilità dell’Io.

Confusività – l’assenza di confini relazionali definiti nelle pazienti con anoressia

Minuchin (1980) fa notare come l’assenza di piani e ruoli definiti sia il motore primo nel favorire questo disturbo e come, paradossalmente, in un simile meccanismo familiare siano presenti confini molto rigidi tra l’interno e l’esterno della famiglia stessa, mentre dentro il sistema famiglia (tra i congiunti) i confini sono estremamente labili e non vi è quasi nessuna differenziazione tra un membro e l’altro, tra il piano genitoriale e quello dei figli e le rispettive peculiari responsabilità e/o risorse.

Il nascere, crescere, svilupparsi in un tale meccanismo produce uno spiccato, irrealistico, bisogno alla relazione con l’altro e ciò perché l’altro, manipolato o colluso in un sistema di potere ruolistico, definisce il Sé della persona in diretta relazione con essa.

Questo sistema esprime quindi una forte conflittualità che non solo non è affatto celata, ma diviene una dinamica manifesta elementare e continua all’interno della famiglia stessa, ove i giochi di manipolazione – seduttiva o collusiva – sono all’ordine del giorno e il riconoscimento dell’altro può passare solo attraverso una qualifica di giudizio qualificante/squalificante permanendo, quindi, in uno stato di belligeranza continua dove l’attenzione o affetto o approvazione altrui sono la meta ed il premio di ogni possibile dinamica.

Il senso di ultra responsabilizzazione, efficenza, efficacia e rigidità nell’anoressia (Selvini Palazzoli, 1998) è proprio da ascriversi in questo bisogno della paziente di qualificarsi tramite la squalifica altrui, in un gioco di superamento dove il livello massimo possibile è l’anoressica stessa che, come si ritrova nella letteratura clinica, elargisce consigli, trova soluzioni, studia, lavora, prepara da mangiare e gestisce le porzioni il tutto stando e agendo dal suo stesso disturbo in quanto figlia problematica e al contempo giovane genitore adeguato.

Anoressia e squalifica del maschile – perifericità del padre

L’elemento collusivo dell’identità nell’anoressia (Manara,1991) è il confronto e scontro con una madre percepita come ambivalente, potente come anche desiderabile nei suoi attributi sostanziali. Il gioco in campo è tutto al femminile e la figura paterna è quasi sempre in posizione periferica rispetto ad esso, o come osservatore e giudice dei giochi manipolatori o come termine di triangolazione nelle collusioni più violente ove si vuole acquisire un’alleanza.

Di contro, nello stile cognitivo/affettivo anoressico (Gabbard, 1995), si enuclea una progressiva idea del maschile profondamente squalificata, in termini di costruzione interna di un oggetto relazionale reale e realistico.

L’ambivalenza prima vissuta verso la madre è, poi, trasbordata anche sul padre (Gabbard, Selvini Palazzoli; 1995, 1998) ma questa volta nei termini di un padre prigioniero di una moglie affettivamente povera, affidabile ma carente di calore ed attenzioni e ciò è terreno fertile per la paziente con anoressia nel suo profondersi in cure ed attenzioni, ove l’idea sottostante è comunque quella di un maschile inadeguato, soggiogabile, inefficace o, in altre parole, come propagine consequenziale di un femminile potente ma coercitivo, rassicurante ma freddo, efficiente e mai vulnerabile.

Istrionismo identitario – l’inadeguatezza cronica nell’anoressia

Chi soffre di anoressia tende ad focalizzare tutta la vita familiare sulla sua patologia (Gabbard, Selvini Palazzoli; 1995, 1998), letteralmente indossandola, manifestandola ed animandola nei confronti sia dei familiari che di eventuali osservatori esterni. Ciò, sia a livello individuale che familiare, ha due distinti obiettivi:

  • L’accentramento del focus di attenzione sull’anoressia, come disagio – quindi identità anche se patologica comunque definita e raggiunta – e come elemento di prova, di sopportazione, rispetto i giudizi e valutazioni altrui, specie nei confronti della madre e poi del padre (Gabbard, 1995);
  • Manifestazione tangibile ed evidente di cronica inadeguatezza personale ma anche di conflitto – sintomo – non veramente espresso nei confronti della madre (Gabbard, 1995; Manara, 1991) .

Questo istrionismo identitario molto pronunciato, in cui anche l’abbigliamento e le movenze servono ad accentuare la più o meno evidente patologia sul corpo, è un esercizio di narcisismo che il paziente designato – l’anoressica – attua in quel sistema ascritto di perfezione e rispettabilità proprio del sistema familiare anoressizzato (De Pascale, 1991). Molte ragazze si esprimono con modalità assai simili, usando perfino immagini quasi identiche per dire che tutta la loro vita è stata dominata dal desiderio di soddisfare le proprie/altrui aspettative e dal costante timore di essere impari, meno brave di altri e pertanto causa di grosse delusioni. Questa inadeguatezza cronica è letteralmente contenuta e ridefinita nell’anoressia stessa, dove la plateale manifestazione dei segni anoressici – dimagrimento, trucco eccessivo, capelli lunghissimi e gonfi, abbigliamento ora troppo ampio ora violentemente aderente, ecc. – è sia una dichiarazione di sofferenza sia la sfida continua a stabilire, perseguire e conseguire obiettivi sempre più desiderabili e ciò mangiando il poco del pochissimo o addirittura nulla.

Non a caso l’angoscia e lo scontento riferito in terapia da ragazze con anoressia (L. Mainardi, G. O. Gabbard, 1995) contrasta, ad esempio, con non rari e straordinari risultati scolastici, con numerose e complesse attività, col volontariato, competizioni o addirittura vincenti gare sportive. Questa posizione di Istrionismo/Inadeguatezza (Ugazio, 1998) ha numerosi, riconosciuti, effetti e reazioni paradossali sulla famiglia:

  • Confina il malessere solo e solamente sulla ragazza;
  • E’ paradossale motivo di soddisfazione ed orgoglio, nonostante il disturbo;
  • Sminuisce la gravità individuale dell’anoressia procrastinando incontri specialistici tra cui la terapia familiare;
  • Distoglie dai vissuti di impotenza ed inadeguatezza genitoriali;
  • Mistifica e distorce altre triangolazioni in atto, ad esempio verso una sorella o un fratello o altri familiari componenti il nucleo.

 

Conclusioni

I cinque meccanismi patologici fondamentali, di resistenza al cambiamento, propri dell’organizzazione familiare coinvolta nella problematica dell’anoressia, se considerati in un approccio sistemico-relazionale, permettono, come se ne deduce, uno spettro di azione estremamente ampio al clinico dedicato, ponendolo in una prospettiva di efficacia ed efficienza ancor più incisiva perché capace di considerare il Sistema nelle sue cinque Condizioni cliniche fondamentali. L’agire solo sul termine patologicamente designato – il soggetto anoressico attivo – ha dimostrato come l’incisività e la tenuta del lavoro terapeutico sia costantemente a rischio perché parziali e in debito evolutivo con tutto il sistema in esame, mentre attenendosi a questi cinque punti nodali il coinvolgimento della famiglia è non solo la tipologia di terapia certamente più difficile da attuarsi in casi di anoressia, ma anche quella con maggiori probabilità di porre in essere significativi quanto stabili cambiamenti.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Bowlby, J. (1989). Una base sicura. Milano: Cortina
  • Bruch, H. (2000). Patologia del comportamento alimentare. Milano: Feltrinelli
  • Bruch, H. (1988). Anoressia, casi Clinici. Milano: Raffaello Cortina Editore
  • Bruch, H. (1983). La Gabbia d’oro. L’enigma dell’anoressia mentale. Milano: Feltrinelli
  • De Pascale, A. (1991). I disturbi alimentari psicogeni. Torino: Bollati Boringhieri
  • Gabbard, G. O. (1995). Psichiatria Psicodinamica, Milano: Raffaello Cortina Editore
  • Malagoli Togliatti, M., Telfner, U. (1991) Dall’individuo al sistema. Torino: Bollati Boringhieri
  • Manara, F. (1991). L’anoressia nervosa tra psichiatria, psicologia e medicina. Milano: Franco Angeli
  • Minuchin S., Rosman Bernice, L., Baker, L. (1980). Le Famiglie Psicosomatiche. L’anoressia mentale nel contesto familiare. Roma: Astrolabio
  • Onnis, L. (2014).Il tempo sospeso. Milano: Franco Angeli.
  • Selvini Palazzoli, M. (1998). Ragazze anoressiche e bulimiche. Milano: Raffaello Cortina Editore
  • Selvini Palazzoli, M. (1963). L’anoressia mentale. Milano: Feltrinelli
  • Ugazio, V. (1998). Storie permesse storie proibite. Polarità semantiche familiari e psicopatologie. Torino: Bollati Boringhieri
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