Le esperienze e i meccanismi che portano alla stabilizzazione e al mantenimento di una situazione di benessere o di disagio sono tanto importanti quanto le prime esperienze che in qualche misura dirigono lo sviluppo verso la salute o la patologia (Gennaro, 2006).
Fino agli anni ’50, il paradigma dominante nell’ambito della ricerca e della clinica era quello psicoanalitico (soprattutto negli USA) in tutte le sue declinazioni (psicoanalisi dell’Io, delle relazioni oggettuali, la teoria bowlbiana dell’attaccamento), ponendo grande enfasi sugli effetti quasi irreversibili delle esperienze precoci di frustrazione e separazione dal caregiver (Bowlby, 1951; Freud, 1965; Spitz, 1958; Winnicott, 1957). Ad oggi vi è motivo di ritenere, in seguito all’acquisizione di una casistica clinica più ampia, che l’impatto delle esperienze relazionali primarie, anche quelle negative, può avere effetti a lungo termine molto diversi in base alla natura delle esperienze di vita successive. Infatti l’azione dell’ambiente interpersonale modula le varie espressioni della stabilità emotiva o di altre caratteristiche.
Tuttavia è stato rilevato che le cause delle condotte e della maggior parte delle manifestazioni della personalità non vanno ricercate solo nell’ambiente ma anche nell’organismo biologico (Gennaro, Scagliarini, 2007) . Ad esempio, studi sul temperamento hanno dimostrato che bambini estroversi hanno più probabilità di essere invitati ad occasioni sociali, così come i bambini più dotati intellettualmente sono frequentemente più propensi a scegliere attività più competitive e impegnative. Questo è tanto vero sia per gli aspetti disfunzionali della personalità (ad. es. la propensione a fare scelte rischiose) sia quelli più funzionali, come l’attitudine allo studio, i quali possono implicare anche l’influenza di alcuni neurotrasmettitori come la dopamina e la serotonina (Gennaro, Scagliarini, 2007).
Plomin (2000) ha scoperto che l’influenza genica e l’ereditarietà aumentano all’aumentare dell’età. I geni sono programmati per attivarsi alcuni anni dopo la nascita e gli effetti, per potersi manifestare, hanno bisogno di tempo e di certe situazioni ambientali“critiche”; la potenzialità genica si riduce poi nel corso dello sviluppo a causa delle interrelazioni con l’ambiente che dirige le influenze genetiche lungo una serie di esperienze che poi col tempo amplificano le similarità dovute a un’origine comune.Questo significa che l’invecchiamento più che riflettere quello che si è consolidato con la cultura, rivela sempre di più le nostre predisposizioni.
Come giustamente ha notato Gottlieb (1998), i geni non costituiscono un sistema chiuso, portatore di un progetto preciso, ma sono elementi di un sistema biologico in continua evoluzione, tant’è che la [blockquote style=”1″]la selezione naturale ha preservato gli organismi che sono adattivamente più responsivi nei confronti delle loro condizioni di sviluppo, sia a livello comportamentale che fisiologico[/blockquote] (Gottlieb, 2000, p.796).
Riprendendo il discorso di apertura, si evince che l’aspetto biologico (meccanismi neurologici ed endocrini presenti fin dalla nascita, che determinano il grado di attivazione emotiva, il livello di attività motoria, la socievolezza e l’impulsività) della personalità e le influenze ambientali (la famiglia, la scuola, il lavoro ecc.) determinano i caratteri e le condotte degli individui in modo però non troppo deterministico. Come sostiene Strelau (1983), la personalità è il risultato delle condizioni storiche e sociali, così come dell’apprendimento e della socializzazione, esprimendo desideri ed aspettative personali. I cambiamenti, seppur lenti, vi sono durante tutto l’arco della vita.