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Il Fenomeno Artistico: variabili psicologiche che lo contraddistinguono e ne consentono l’accadimento

Quali processi cognitivi sono implicati nella creazione e nella comprensione di un’opera d’arte? Diversi approcci psicologici hanno cercato una risposta. %%page%%

Di Daniela Voza, Laura Zamboni

Pubblicato il 12 Nov. 2015

Aggiornato il 28 Giu. 2019 12:14

Daniela Voza e Laura Zamboni – OPEN SCHOOL Psicoterapia Cognitiva e Ricerca, Milano

La psicologia e le arti hanno questo in comune: che tanto la prima quanto le seconde coprono l’intero ambito della mente umana. 

Rudolf Arnheim

L’artista è il creatore di cose belle. Rivelare l’arte e celare l’artista è il fine dell’arte […] Nessun artista è mai morboso. L’artista può esprimere qualsiasi cosa. Il pensiero e il linguaggio sono per l’artista strumenti di un’arte […] Ogni arte è a un tempo epidermide e simbolo. Coloro che vogliono andare sotto l’epidermide lo fanno a proprio rischio. Lo spettatore e non la vita viene rispecchiato dall’arte. La diversità di opinioni intorno a un un’opera d’arte indica che l’opera è nuova, organica e vitale.

Oscar Wilde

Quali processi cognitivi sono implicati nella creazione artistica? Quali fattori psicologici motivano una persona a contemplare opere d’arte? E quali abilità cognitive sono necessarie per comprendere un’opera d’arte?

Nella prefazione a ‘Il ritratto di Dorian Gray’ Oscar Wilde riassume quanto poi verrà definito oggetto di studio della psicologia dell’arte. Secondo Winner (1982), infatti, lo psicologo dell’arte è interessato ai processi psicologici che rendono possibile la creazione artistica e la risposta all’arte, ponendo particolare attenzione ad alcuni quesiti: che cosa motiva l’artista a creare? Quali processi cognitivi sono implicati nella creazione artistica? Quali fattori psicologici motivano una persona a contemplare opere d’arte? E quali abilità cognitive sono necessarie per comprendere un’opera d’arte?

Diversi sono stati gli approcci di ricerca: quello psicoanalitico che appare prigioniero delle maglie della costruzione dottrinale di riferimento e spesso limitato al terreno circoscritto della psicopatologia; l’indirizzo sperimentale che, costretto dall’esigenza tirannica dell’esattezza quantitativa, non sembra riuscire a rendere conto della reale e quotidiana esperienza dell’evento artistico e, il filone che fa capo ad Arnheim, il più proficuo e ricco di dati e di indicazioni, idealmente e concretamente precursore dell’indagine ad ampio raggio insita in questo approccio (Argenton, 1996). Negli ultimi decenni le neuroscienze cognitive hanno esteso il loro campo d’indagine anche al dominio della creazione artistica, dando origine ad un nuovo filone di studi: la neuroestetica.

Per poter esaminare le diverse risposte fornite, occorre preliminarmente definire l’oggetto di interesse e cioè il fenomeno artistico, a tal proposito risulta esaustiva la descrizione fornita da Argenton (1996), secondo cui il fenomeno artistico si impernia su tre componenti in relazione tra loro: l’opera, creata ed eseguita da un artefice, l’artista, che viene recepita e compresa da qualcun’altro, il fruitore. Tutto ciò che accade come effetto dell’interazione di queste tre componenti, la relazione artista-opera, fruitore-opera, dà luogo al fenomeno artistico, cioè ad ‘un singolo e ben circoscritto evento o ad una serie più o meno articolata, ampia e complessa di eventi che sono suscettibili, oltre che di esperienza, di osservazione e di indagine’. Con l’espressione comportamento artistico si indica l’insieme dei processi cognitivi ed esecutivi che portano l’artista alla realizzazione dell’opera e con comportamento estetico l’insieme dei processi cognitivi ed esecutivi che portano il fruitore a sancire l’artisticità dell’opera e a goderne (Argenton, 1996).

La qualità della fruizione estetica è mediata cognitivamente ed è influenzata dalla particolare cultura, dall’ambiente in cui siamo stati educati, dai canoni estetici che informano tale tipo di cultura, dal grado di expertise e familiarità che abbiamo nei confronti dell’opera verso cui ci poniamo (Gallese, 2010).

Se dell’artista e del fruitore si esaminano i processi della mente (emotivi, intellettivi e motivazionali) attivi nella creazione e ricreazione dell’opera, gli atteggiamenti, lo stile e le preferenze; dell’opera, dispositivo organizzato dall’artista per suscitare una particolare esperienza, si sottolinea e si prende in esame il suo essere forma significante. Le proprietà che caratterizzano la forma sono collegate agli aspetti di funzionamento sia del nostro apparato sensoriale e motorio sia dei processi percettivi e rappresentativi che guidano l’attività con cui traduciamo la nostra cognizione della realtà in forme simboliche. La forma artistica racchiude un significato percettivo che si regge sull’interazione dei valori di equilibrio e di dinamicità ed è percepibile indipendentemente dalla conoscenza dell’altro significato, quello rappresentativo che corrisponde a ciò che l’artista ha voluto dire o che ha voluto esprimere con la sua opera (Argenton, 1996).

Secondo Amabile e Pillemer (2012), nel comportamento artistico, esiste una motivazione intrinseca alla creatività che varia a seconda del valore individuale percepito rispetto al compito stesso, all’interesse e piacere che si provano nell’attività svolta. La creatività non viene quindi percepita come un tratto di personalità, ma sarebbe il risultato di componenti personali e di particolari abilità cognitive e sociali. Dagli studi condotti da queste autrici emerge anche come la motivazione estrinseca, ad esempio una ricompensa, in alcuni casi risulterebbe dannosa alla motivazione intrinseca.

Sembra che stia parlando di questa motivazione intrinseca Pennac, quando nel suo testo teatrale scrive:

Se solo uno pensa alla necessaria solitudine… le lunghe pause del dubbio… E quei momenti di felicità così gratuiti… o la felicità dell’alba, i giorni in cui l’idea ti fa saltar giù dal letto… perché non è il gallo a svegliarti, né il camion della spazzatura… non è neppure la prospettiva del premio o l’ambizione di lasciare una traccia… E’ l’urgenza di quel piccolo tocco di scalpello a cui pensavi quando ti sei addormentato… quella pennellata di ocra rosso all’angolo destro della tua tela, lassù in cima… ecco cosa ti fa saltar giù dal letto! Il suono inebriante di una nota, che cambierà tutto… un nonnulla in punta di penna, forse una virgola, una semplice virgola… una sfumatura essenziale… il minuscolo dell’opera… una cosa da niente… solo la necessità… Dio mio, la bellezza di quelle mattine necessarie, nella casa addormentata...

Di questa costellazione di componenti, per Gibson (2008), c’è un aspetto che caratterizza l’artista, cioè una certa libertà dalla realtà. Una poesia o un dipinto infatti costituiscono una copia della realtà, ma non si tratta di una mera riproduzione, poiché l’artista vi inserisce qualcosa di genuinamente nuovo. In quest’ottica l’arte e l’artista non ci dicono direttamente qualcosa sulla realtà, ma ci fanno credere, ci intrattengono, informano ed eventualmente rinforzano le nostre conoscenze sull’argomento. L’artista possiede la capacità di immaginare il mondo e la vita reale in un modo che sarebbe altrimenti impossibile, secondo l’autore questa capacità deriverebbe da un insight cognitivo circa l’esperienza umana e la nostra consapevolezza di essere al mondo.

Rispetto alle capacità cognitive alcuni studi sostengono che questa abilità degli artisti, in particolare dei pittori, derivi da una vasta esperienza nell’interazione visiva con gli oggetti e con le immagini durante il disegno, in tal senso l’artista viene visto come un esperto nella cognizione visiva (Kozbelt, 2001). Gli artisti sarebbero cognitivamente differenti dai non artisti, specialmente per ciò che riguarda la memoria di figure ed oggetti, l’utilizzo di immagini mentali nella comprensione di frasi e nella generazione e trasformazione mentale di immagini di figure (Winner, 1992).

Secondo Argenton (1996) l’abilità dell’artista che la sua opera manifesta dipende dal grado di padronanza con cui egli manipola le sue rappresentazioni mentali elaborando la forma che soddisfi i suoi intenti rappresentativi, e i mezzi, le tecniche, che ne consentono la traduzione in rappresentazioni concrete. La soddisfazione viene all’artista quando riscontra nella propria opera una corrispondenza ai suoi intenti rappresentativi e i risultati della sua grande fatica vengono premiati dal riconoscimento del pubblico, appagando quello che in psicologia si chiama il bisogno di autoaffermazione o di autorealizzazione.

L’arte attiva inoltre nel fruitore una serie di processi, comportamenti e cognizioni che costituiscono il comportamento estetico e ciò che è ancora più caratteristico, cioè l’esperienza estetica. Questo comportamento non consiste nel semplice piacere, un’opera d’arte può essere apprezzata in maniera singolare ed unica, non solo per la sua bellezza o la sua virtuosità tecnica o per il messaggio che trasmette. Secondo Bronowski (1978) l’esperienza estetica deriverebbe dal processo di scoperta, mentre per Urmson (1962) l’apprezzamento è il risultato di specifici criteri di bellezza (proporzioni, armonia, equilibrio). Il comportamento estetico viene visto quindi come un processo che da un lato vede implicate le caratteristiche stesse dell’opera d’arte e, dall’altro lato, coinvolge direttamente il fruitore e le emozioni che l’opera suscita in lui.

Questi due aspetti sono integrati nel modello di elaborazione delle informazioni (Leder, Belke, Oeberst e Augustin, 2004): in una prima fase di analisi percettiva vengono elaborati gli stimoli di contrasto, intensità, luminosità, colori, raggruppamenti e buone forme. L’analisi percettiva avviene in maniera rapida e senza sforzo ed incide sulla preferenza estetica. Nella seconda fase quanto percepito viene integrato con la memoria implicita e valutato come familiare e prototipico. Il modello prevede due differenti output: l’emozione estetica e il giudizio estetico, un’opera d’arte viene considerata tanto più piacevole (giudizio estetico), quanto più positiva è stata l’esperienza emozionale elicitata (emozione estetica). I soggetti esperti tendono a formulare giudizi in base allo stile, mentre per i non esperti sono importanti i riferimenti al sé e la possibilità di associare ad un’opera d’arte eventi ed emozioni riferiti alla propria vita.

I due comportamenti (artistico ed estetico) possono manifestarsi sia contemporaneamente e nel medesimo contesto, spaziale, storico, sociale, economico, culturale, sia in tempi e contesti poco o molto lontani e diversi fra di loro. Il fenomeno artistico si verifica quando e solo quando, da parte di un individuo o di un gruppo di individui, vengono riconosciute e attribuite proprietà artistiche al prodotto realizzato da altri. Esso si presenta inoltre, con delle costanti strutturali e processuali (Argenton, 1996). Sono implicati e si intersecano tra loro processi cognitivi ed attivazione emozionale. L’artista mette in gioco la propria creatività, le specifiche abilità cognitive ed il suo insight nel leggere la realtà in modi differenti ed originali, il fruitore analizza le caratteristiche formali del lavoro che a loro volta richiamano ed attivano un processo di scoperta che ci informa sulla realtà e sulle nostre emozioni. L’artista con la propria opera manifesta di sé: di aver lasciato in modo più o meno inequivocabile, il segno della sua mano, cioè l’impronta che le deriva dall’essere stata fatta da lui e non da qualcun’altro e che esprime il suo stile personale, la sua personalità artistica.

Per spiegare questa relazione importanti contributi derivano da recenti studi di neuroestetica, sulle basi neurali della capacità di apprezzare il bello e l’arte (Zeki, 1999). Solso (2003) distingue tre livelli di comprensione dell’arte descrivendo il modello SPS:

  • Sensory: percezione innata, processi di elaborazione visiva bottom up che sono comuni a tutti gli individui. Il modo in cui vengono elaborati gli stimoli visivi come forma, colore, direzione e movimento dall’occhio e dal cervello sono strettamente connessi alla fisiologia e all’anatomia del sistema visivo centrale e periferico. Il primo livello comprende la percezione sensoriale dell’opera e l’elaborazione corticale di queste caratteristiche.
  • Psychology: percezione diretta, modello top down in cui la mente umana tende ad organizzare un percetto (Arnheim,1954). Secondo Changeux (1994) l’artista sfrutterebbe la capacità umana di creare immagini che abbiano la possibilità di rimanere stabili nella mente di chi osserva.
  • Schema – story: percezione come ricerca di significato che attinge alle conoscenze ed alla storia personale dell’individuo. A questo livello l’opera viene collocata nel suo periodo storico, corrente artistica, biografia dell’autore, significato che l’autore ha voluto esprimere e che l’opera assume per l’osservatore in base alla sua storia ed ai suoi schemi di interpretazione della realtà. Lo schema personale è una struttura di dati utile a rappresentare concetti generici immagazzinati in memoria, una generalizzazione (Argenton, 1996), costruita attraverso ripetute esperienze della realtà, che orienta la percezione top down di un’opera d’arte sia sulla base dei significati personali, sia in considerazione del periodo storico o della corrente artistica (Solso, 2003). In quest’ottica quando le caratteristiche fisiche e psicologiche convergono si comprende l’arte ad un livello difficile da descrivere a parole, che Kemp (1990) definiva come unico, incommensurabile ed indefinibile sentimento che è al tempo stesso soggettivo ed universale.

Secondo il neuroscienziato Zeki (1999), in ogni esperienza estetica, il cervello, così come l’artista, deve eliminare ogni informazione inessenziale dal mondo visivo per poter rappresentare il carattere reale di un oggetto. Secondo Ramachandran (Ramachandran e Hirstein 1999), l’abilità dell’artista consisterebbe nel saper evocare nel cervello del fruitore specifici processi biologico/percettivi, inducendo un meccanismo di ricostruzione dell’oggetto artistico che si accoppierebbe a una sensazione di piacere.

Secondo Gallese entrambi questi approcci confinano l’esperienza estetica a una pura questione di pertinenza del cervello visivo. La fruizione di un’opera d’arte implica invece per il neuroscienziato una nozione multimodale della visione, cui partecipano anche sensi come il tatto e che coinvolge la sfera emozionale, il tutto guidato dalla fondamentale natura pragmatica della relazione intenzionale. Ci sarebbero quattro livelli di processamento neurale dell’esperienza estetica (Gallese e Di Dio, 2012):

  • Apprezzamento estetico: valutazione soggettiva basata sulle risposte emotive e sull’eventuale identificazione introspettiva di tali risposte. In questo primo livello gli oggetti assumono valenza estetica per il soggetto, perché caricati di significati emotivi in base alle esperienze pregresse. Il circuito che si attiva è quello della memoria, da uno studio di Di Dio et al. (2007) condotto attraverso fMRI, emerge come stimoli piacevoli fossero associati all’attivazione dell’amigdala di destra, struttura coinvolta nella rilevazione della salienza dello stimolo. Secondo gli autori questi risultati suggeriscono che gli aspetti più soggettivi dell’esperienza estetica sono mediati dalle esperienze emozionali pregresse del fruitore.
  • Attitudine estetica: stato mentale che rende possibile la valutazione del contenuto estetico dell’opera osservata. In questo secondo livello non sono più sufficienti solo le esperienze pregresse, ma è necessaria anche una particolare disponibilità mentale per cui gli elementi che innescano l’esperienza estetica diventino accessibili. Questo stato spiega la variabilità di risposte di fronte alla stessa opera sia da parte di persone diverse, sia della stessa persona in situazioni differenti.
  • Esperienza estetica: gli autori lo definiscono come un livello di processamento fondamentalmente percettivo. La scoperta dei neuroni canonici, neuroni specchio e neuroni posti alla codifica spaziale, permette di spiegare nel fruitore un’esperienza incarnata delle azioni, emozioni e sensazioni contenute nell’oggetto osservato. La simulazione incarnata consiste in un meccanismo funzionale attraverso cui le azioni, emozioni e sensazioni che vediamo attivano le nostre rappresentazioni interne degli stati corporei associati a questi stimoli sociali, come se vivessimo la stessa azione, emozione o sensazione. A livello cerebrale, diversi studi di neuroestetica (Di Dio et al., 2007; Kawabata e Zeki, 2004; Jacobson et al., 2004), riscontrano un’attivazione di alcune aree parietali e premotorie, ciò supporta l’ipotesi che l’esperienza estetica sia caratterizzata da una codifica visuospaziale accompagnata da un effetto motorio.
  • Giudizio estetico: esplicita valutazione dell’opera, determinata da canoni estetici di ordine culturale e sociale; si tratta quindi di un processo altamente cognitivo che coinvolge sistemi decisionali ed autovalutativi.

Le neuroscienze, con la scoperta dei neuroni specchio nella scimmia e la successiva dimostrazione dell’esistenza di meccanismi di rispecchiamento nel cervello umano, hanno fornito il livello di descrizione sub/personale a questa dimensione relazionale della condizione umana, un meccanismo neurofisiologico capace di spiegare molti aspetti delle nostre capacità di relazionarci con gli altri. L’oggetto artistico, che non è mai oggetto in se stesso, ma polo di una relazione intersoggettiva, quindi sociale, emoziona in quanto evoca risonanza di natura sensori-motoria e affettiva in chi vi si mette in relazione. La risonanza interindividuale, descrivibile in termini funzionali come simulazione incarnata, costituisce una dimensione consustanziale del nostro essere umani (Gallese, 2005; 2006b; 2009a,b). Tale dimensione diviene cruciale anche per interpretare l’arte, la creatività e la dimensione estetica dell’esistenza umana. Essere umani significa divenire capaci di interrogarsi su chi siamo: sia l’arte sia la scienza sono espressione specifica della condizione umana, entrambe sono volte ad interrogare l’invisibile per renderlo visibile. Da sempre la creatività artistica ha espresso nella forma più elevata questa capacità (Morelli, 2010).

Nell’espressione artistica teatrale/performativa, il corpo attoriale diviene l’epifania pubblica della capacità di rappresentazione mimetica dell’agente. Il meccanismo di simulazione incarnata abbraccia numerosi aspetti della relazione intersoggettiva, quali azioni, intenzioni, comportamenti imitativi, emozioni, sensazioni e linguaggio che derivano il proprio senso condiviso dalla comune radice nel corpo in azione, il principale protagonista e artefice dell’espressione teatrale. Il corpo in azione è il perno attorno a cui si costruisce quella sintonizzazione che secondo tale modello caratterizza la reciprocità intrinseca a ogni pratica interindividuale, e quindi, anche le relazioni di reciprocità intrinseche alla performatività teatrale. La simulazione incarnata consente di guardare al teatro da una prospettiva naturale, e quindi universale. Nella danza lo scopo dell’azione è l’azione, un’azione che già al puro livello motorio di descrizione è però carica di significati per chi la esegue e per chi la osserva. Nella danza si aggiunge la dimensione sociale, che consiste nella programmatica interscambiabilità fra attore e fruitore, tra artista e pubblico (Gallese, 2010).

Anche quando l’opera d’arte non ha alcun contenuto direttamente e analogicamente mappabile in termini di azioni, emozioni o sensazioni, in quanto priva di un riconoscibile contenuto formale (pensiamo ad un’opera di Lucio Fontana o di Jackson Pollock), i gesti dell’artista nella produzione dell’opera d’arte inducono il coinvolgimento empatico dell’osservatore, attivando in modalità di simulazione il programma motorio che corrisponde al gesto evocato nel tratto o segno artistico. I segni sul dipinto o sulla scultura sono le tracce visibili, le conseguenze degli atti motori attuati dall’artista nella creazione dell’opera. Ed è in virtù di questo motivo che essi sono in grado di attivare le relative rappresentazioni motorie nel cervello dell’osservatore (Freedberg e Gallese 2007; Gallese 2010).

Conclusioni

L’arte è uno dei più significativi prodotti e una delle più pregnanti manifestazioni della cognizione umana per cui è e dev’essere un imprescindibile oggetto di riflessione e di ricerca della psicologia (Argenton, 1996).

Oggi le neuroscienze, avendo la potenzialità di illuminare la natura estetica della condizione umana e la sua naturale propensione creatrice possono contribuire allo studio dell’espressività e dell’esperienza estetica indagando l’imprescindibile ruolo del corpo nell’espressione creativa e nella sua ricezione. La prospettiva neuroscientifica consente in tal senso un’ulteriore valorizzazione della dimensione distintiva e straordinaria dell’arte e dell’esperienza estetica (Gallese, 2010).

L’arte è eterna, ma non può essere immortale. E’ eterna in quanto
un suo gesto, come qualunque altro gesto compiuto, non può non continuare
a permanere nello spirito dell’uomo come razza perpetuata…
Rimarrà eterna come gesto, ma morrà come materia.

Lucio Fontana, Primo Manifesto dello Spazialismo, 1947

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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Kandinsky tra arte e cervello . - Immagine: © Costanza Prinetti 2014
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