L’esposizione può essere definita come “qualunque metodo che porta una persona ad affrontare dal vivo o in immaginazione uno stimolo generalmente evitato o affrontato facendosi scudo con comportamenti protettivi”.
Siete anche voi tra quelli che alla vista di un minuscolo ragnetto strillano in maniera isterica e fuggono a gambe levate? Con una singola sessione di psicoterapia espositiva potreste vincere la vostra paura ed arrivare ad accarezzare una simpatica tarantola di 12 cm di diametro (Hauner et Al., 2012). Vi vedo scettici… Non sottovalutate la potenza dell’esposizione!
L’esposizione può essere definita come “qualunque metodo che porta una persona ad affrontare dal vivo o in immaginazione uno stimolo generalmente evitato o affrontato facendosi scudo con comportamenti protettivi”. Tecnica tradizionalmente associata alla terapia cognitivo-comportamentale, viene in realtà utilizzata in moltissime forme di psicoterapia, in particolare per il trattamento dei disturbi d’ansia, ma anche dell’ipocondria, del disturbo dell’immagine corporea e dei disturbi dell’alimentazione.
E proprio a questa tecnica lo psicoterapeuta Emiliano Toso dedica il libro “L’esposizione in psicoterapia”, in gara nell’edizione 2015 del Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica.
Toso scrive un testo sì divulgativo, ma corredato di una vasta bibliografia che offre numerosi spunti di riflessione per tutti gli addetti ai lavori, facendo il punto della situazione sullo stato dell’arte di una tecnica che, secondo l’autore, oggi viene un po’ trascurata e relegata a “vecchia carcassa in disuso”.
Attraverso una disamina dei più recenti contributi scientifici riscontrati in letteratura sul tema, l’autore illustra i differenti tipi di esposizione e la loro efficacia, e si interroga sui non ancora chiari meccanismi curativi sottostanti. Inizialmente – afferma Toso – l’esposizione era considerata un mezzo per estinguere risposte riflesse e condizionate; successivamente è stata considerata un metodo per ristrutturare credenze distorte, fino ad arrivare alle concettualizzazioni più recenti che vedono l’esposizione come uno strumento per creare nuove memorie antagoniste e inibitorie.
Indubbiamente i progressi nel campo delle neuroimaging hanno contribuito a comprendere maggiormente l’esposizione, mostrando come possa modificare strutturalmente e funzionalmente alcune aree cerebrali, ma i meccanismi d’azione di base restano ancora alquanto oscuri.
Assodato che l’esposizione funziona, appare lecito domandarsi se esistono modi per aumentarne l’efficacia. A tal proposito Toso descrive sia metodi “chimici” che “fisici” utilizzati in combinazione con l’esposizione e ne discute l’efficacia alla luce di quanto presente in letteratura. Per quanto riguarda l’esposizione combinata con il trattamento farmacologico (ansiolitici o antidepressivi) la maggior parte degli studi sembrano sostenere che la combinazione porti per lo più vantaggi modesti se non, addirittura, negativi. Molto interessanti invece gli studi condotti su sostanze “cognitive enhancers” (es. L-dopa e D-cicloserina) che sembrano essere in grado di potenziare l’effetto dell’esposizione agendo sui meccanismi di apprendimento e memorizzazione. Tra i metodi fisici risultano invece di particolare interesse la possibilità di utilizzare il sonno per manipolare il fenomeno dell’estinzione, il verbalizzare ed esplicitare le proprie emozioni durante l’esposizione per ridurre le emozioni negative, e l’uso della realtà virtuale e del biofeedback.
Toso non dimentica infine di dedicare un capitolo al ruolo giocato dalla consapevolezza sia durante l’esposizione che durante l’evitamento, recuperando i contributi della Terapia Metacognitiva di Wells (esposizione metacognitiva e rifocalizzazione attentiva) e della Mindfulness.
Il testo si conclude con un tentativo, che l’autore stesso definisce forse una scelta azzardata, di fornire una propria personale concettualizzazione dell’esposizione. La teoria presentata considera l’evitamento e l’esposizione fenomeni psicologici al servizio dello scopo di “ricerca del piacere”. L’uomo, secondo Toso, per natura sarebbe infatti guidato dalla ricerca di gratificazione e non dall’istinto di sopravvivenza. Pertanto di fronte a stimoli minacciosi metterebbe in atto comportamenti di evitamento non allo scopo di sopravvivere, bensì con il fine di provare piacere evitando la sofferenza dovuta allo stimolo temuto; rimanendo però in questo modo bloccato in circoli viziosi paradossalmente gratificanti (perché riducono la sofferenza), ma che ne limitano l’esplorazione e la funzionalità. In quest’ottica, l’esposizione ripristinerebbe il funzionamento adattivo dell’individuo dando vita a nuove fonti di piacere, raggiungibili mediante comportamenti espositivi in grado di sviluppare circoli virtuosi.
Una teoria ambiziosa, che non mancherà di stimolare nel lettore riflessioni in merito.
Ciò che è certo è che Toso ci regala un testo che rende più consapevoli noi terapeuti della potenza, delle potenzialità e dei limiti dell’esposizione in modo da utilizzarla in terapia con la massima cognizione di causa, e offre ai pazienti a cui proponiamo di affrontare gli stimoli temuti la possibilità di comprendere e apprezzare una tecnica non banale né scontata, ma tanto potente da poter far sì che addirittura un aracnofobico possa arrivare a coccolarsi una pelossissima tarantola.